mercoledì 4 febbraio 2009

Dall'Arké alla Techné (passando per Kakà): il ruolo dell'Etica


L’ETICA COME ‘SEGNO DEI TEMPI’ E ‘SOGNO DEL FUTURO’

Il campo (seminato/minato o arido?) dell’etica è un territorio privilegiato – pathfinder per esplorare quali saranno le prospettive di questo Terzo Millennio ancora in fase aurorale. È il terreno di gioco (o di lotta) in cui si affrontano il retaggio del passato, la realtà del presente e le sfide del futuro.
Al primato della politica, mattatrice nelle discussioni post-sessantottine, si è, infatti, man mano andata sostituendo la riflessione sulle questioni etiche. E il dibattito si è ancor più acceso nel turning point degli anni 70/80, che ha segnato il passaggio dalla modernità alla post-modernità.
Un cambio di paradigma: dalla verità (antropocentrica) dell’homo modernus (che sostituiva la verità teocentrica dell’homo antiquus) alle molte verità dell’homo post-modernus. Da Cartesio, Kant, e la ‘ragione illuminata’, svoltando per Nietzsche e lo ‘smascheramento dei valori’, per poi arrivare, con qualche affanno, al ‘decostruzionismo’ di Derrida, alla ‘condizione postmoderna’ di Lyotard e, infine, alla ‘società liquida’ di Bauman: così l’etica è arrivata sino ai nostri giorni, tra storicità, mobilità e relatività.
Perché, dunque, questa voglia di etica ora, nell’avanzante Next Age, ‘periodo di prova’ in cui si riassemblano i pezzi del ‘domino’ dell’ormai ‘rotta’ New Age e, con la lampada di Dio(gene), si va alla ricerca dell’Uomo Nuovo, di una Società Nuova, zigzagando tra Globalizzazione e Localismo, tra le onde del Web e le verdi valli della Tradizione e del senso di Comunità?

Perché senza Etica non c’è Identità…

L’etica, infatti, connota la volontà di distinzione propria dell’uomo, evita che, malgré tout, ci sia la ‘Ribellione delle masse’ (Ortega y Gasset) o l’Uomo senza qualità’ (Musil). Al di là del valore ontologico e della Stimmung – atmosfera – da salotto radical-chic (o da pour parler da supermarket), ben oltre l’essere una delle espressioni dello Zeit-Geist – lo Spirito del Tempo –, con il suo piangersi addosso per la ‘perdita dei valori’, l’etica assume connotazioni eminentemente pratiche (ontiche): fa sì che una città sia una città – e non una somma di ‘pieni’ o un ‘vuoto a perdere’ (per non dire un garbage can) – e che un’impresa non sia un’impresa…
I can, I care… L’etica tocca le corde dell’individuo nei suoi rapporti con l’altro (e l’Altro) – siamo nei territori della psicologia, della filosofia e della teologia – e la sua empatia con gli altri e col territorio in generale (temi della sociologia e dell’urbanistica): insomma, dal cucchiaio alla città. Sì, l’etica riveste un ruolo fondamentale anche nella gestione urbana, se improntata ai principi di sostenibilità e sussidiarietà. La rigenerazione urbana, il community-based planning, l’advocacy planning, tutta l’urbanistica con finalità sociali, in sintesi, parte da premesse etiche. Ma l’etica tocca e investe anche le istituzioni, l’economia, le aziende. Entriamo in queste ultime ‘finestre’ e soffermiamoci all’interno di questi ambiti, dopo aver ‘messo i piedi per terra’. Consideriamo, anzitutto, l’identità di un’azienda, la sua corporate identity: notiamo come il ‘fattore etico’ (senza trascurare quello ‘estetico’…) sia una garanzia di successo e di approvazione da parte della comunità o del ‘villaggio globale’.
L’etica, ossia la somma dei comportamenti ritenuti conformi alla moralità o al senso del ‘bene’, non solo è un tema ‘sensibile’ per la cultura d’impresa e l’identità dell’azienda, ma è il minimo irrinunciabile per instaurare un rapporto di fiducia tra un’impresa (lo stesso ente pubblico) e i vari detentori della posta in gioco (gli stakeholder: le aziende, pubbliche o private, i partner con cui interagiscono, nonché le varie controparti – cittadini, clienti, fornitori, opinione pubblica, ambiente).
E poi, le ricadute sull’immagine e sul versante del ‘politico’, per chi assume comportamenti ‘etici’, sono facili da immaginare (e senza per questo necessariamente cadere nel qualunquismo e nel facile buonismo della ‘moralina’, così invisa – giustamente – a Nietzsche). Specie poi oggi, in cui c’è un potenziale di ‘consumatori’ e di organizzazioni sempre più sensibile e ‘critico’ nei confronti delle problematiche inerenti allo sfruttamento dei lavoratori, ai privilegi iniqui, alla finanza rapace – e alle tematiche ecologiche e le altre istanze etiche in generale. L’approccio ‘etico’ nei rapporti tra stakeholder ripropone i temi ‘vincenti’ dell’agire comunicativo’ e dell’‘organizzazione comunicativa’ di Habermas, ossia la dialettica tra ‘sistema’ (gli apparati amministrativi e direttivi) e ‘mondi vitali’ (i valori ‘base’ della comunità). Solo un agire etico e razionale, teleologico e strategico, porta all’empatia tra le parti e alla reciproca soddisfazione ('efficacia' organizzativa e sistemica).
Potere comunicativo che si riallaccia al finalismo operativo strategico di radice weberiana e al potere non verticistico, ma orizzontale, di Hannah Arendt, esercitato da cittadini di pari dignità e circolante tramite la comunicazione.
D’altronde, la glocalizzazione (cocktail a dosi variabili tra mire globalizzanti e derive localistiche, ma anche il senso di ‘comunità’) e il sempre crescente mix tra etnie e culture diverse impongono, anche nell’ambito della cultura d’impresa, un orientamento verso scopi e valori condivisi e l’implementazione di una cultura della fiducia, della plausibilità e della reciproca attendibilità: in una parola, un comportamento etico al passo coi tempi.
Segno dei tempi, c’è sempre più urgenza di una corporate ethics etica dell’azienda – che combatta il pressappochismo, la criminalità economica, le speculazioni finanziarie, i fattori devianti in generale, e riaffermi, o costruisca ex novo, rapporti sani, stili etici e franchi di comunicazione, clima interno rassicurante e motivante, tutela della dignità personale, miglioramento della qualità della vita e del benessere personale, difesa dell’ambiente, lotta all’esclusione sociale, pari opportunità, trasparenza…
Non solo, ma l’etica è indispensabile, affinché, al di là di qualche successo effimero (e delle comunque inevitabili ricadute deleterie, su almeno uno degli stakeholder), le società, le imprese, gli enti e i loro sotto-sistemi funzionino senza intoppi e in maniera efficace ed efficiente. L’etica aziendale, e degli affari in generale, legittima così i comportamenti e gli approcci strategici e guida le decisioni individuali, traducendo la teoria (i valori di base) in prassi (le azioni conseguenti), introducendo così un nuovo modello di governance che punti a soddisfare tutti gli stakeholder interessati: pertanto, d’ora in poi (è auspicabile), non solo bilancio contabile ma anche bilancio sociale (in cui ha il suo peso anche la legalità). Le imprese sono sistemi in grado di ‘agire’, quindi responsabili moralmente, sia all’interno (inter-agiscono con il comportamento etico dei loro membri) sia all’esterno, avendo obblighi morali nei confronti degli altri ‘portatori di interesse’, attivi o passivi (stakeholder).
Ma il pluralismo non è una scelta sufficiente. Se la parola ‘pluralità’ ha connotazioni positive, denotando la compresenza di tante posizioni, come pure positivo è il termine ‘tolleranza’, in quanto referente di convivenza civile, entrambi però ‘vacillano’ quando si voglia pervenire a un concetto di etica che non sia ‘debole’. In questo caso la propensione è per un semplice affastellamento di posizioni diverse. In pratica: un “compromesso”. Nondimeno, una decisione dev’essere presa, e questa non può mai essere di natura pluralista. Un percorso lo si deve seguire, anche quando appare un sentiero scabro, un tracciato politicamente scorretto. Non si potranno seguire, in maniera indifferenziata, dei ‘percorsi’. C’è necessità, e voglia, di una vox clamans in deserto…
Se ambiguità e frammentarietà sono state l’approdo in campo morale nel passaggio dal moderno al postmoderno, occorre perciò recuperare il principio secondo cui, all’interno di un’opzione di scelte (profitto, economicità, bontà del prodotto, raggiungimento del target, immagine, utilità immediata, ecc.), c’è sempre una radice morale che l’orienta e ne determina il contenuto.
Nessuna posizione o decisione è neutrale per quanto attiene ai valori etici: “Il tuo dire sia sì sì, no no, perché il di più viene dal maligno” (Matteo 5,37 – passo ripreso da Paolo Flores D’Arcais nel suo famoso tête-à-tête del 21 settembre 2000 – a Roma, al teatro Quirino – con l’allora cardinale Ratzinger). Le scelte etiche, pur partendo da presupposti assoluti (ossia ‘sciolti’ dalla contingenza), sono altresì ‘in situazione’, ossia devono tener conto del Sitz im Leben, del contesto vitale (oltre che, ovviamente, della Weltanschauungvisione del mondo – sottesa. E ça va sans dire, dello Zeit-Geist). Sembra un ossimoro, ma non è così: il valore etico è forte, ma non rigido, si piega ma non si spezza. Infatti, l’approccio epistemologico prospettico presume l’interazione dialogica e, pertanto, i valori morali informativi dell’etica devono essere coniugati in relazione sia al soggetto sia al contesto sociale e culturale all’interno del quale ci si muove.
Un’impresa, per tornare alle dinamiche aziendali, pur tenendo conto dei diversi ambiti con cui si confronta deve agire con responsabilità sociale, secondo un codice deontologico partecipato e condiviso, rigoroso ma non rigido, autorevole (exousia) ma non autoritario (dynamis) – in definitiva: carismatico (nel senso di Max Weber).
Mancano le regole, c’è assenza di vincoli? No, tutt’altro, ce ne sono pure troppi! Un intreccio talora complesso e inestricabile di criteri di valutazione, reso ancor più problematico dalla frammentazione dei ruoli. L’articolazione dei principi di valutazione si è diramata in direzioni sempre più divergenti l’una dall’altra: dalla ‘giusta maniera’ di agire si è passati al tecnicamente efficace’, all’‘esteticamente gradevole’, al ‘professionalmente (per non dire, politicamente) corretto’. C’è, insomma, un distacco’ fra razionalità strumentale – competente sui mezzi – e razionalità pratica, competente sui fini. Da un lato, un incremento delle possibilità di scelta, dall’altra l’indebolimento della capacità d'opzione. Occorre, quindi, riprogettare un impegno etico che abbia un fondamento e una validità assoluta, globale, che passi attraverso una ri-fondazione dell’etica della responsabilità, come strumento di autoconoscenza. Una Weltanschauung, uno sguardo sul mondo, che riagganci e riallinei il proprio agire, anche come impresa, a dei ‘buoni motivi’ e a delle opzioni eticamente giustificate: la politica dell’impresa come commitment (impegno) aziendale. Non solo ‘corpo’, non solo ‘anima’, ma anche – e soprattutto – ‘spirito’.
L’etica deve diventare parte integrante dell’identità e della filosofia di un’azienda, di qualunque azienda. Solidarietà, giusta rendicontazione, cultura della non violenza e del rispetto per tutta le modalità dell’esistenza, giusto orientamento economico, tolleranza, pariteticità: segno dei tempi, non solo un sogno del futuro…
E non è nel libro dei sogni: sin già da ora un’impresa ‘ethically oriented’ può in questo modo emergere e non essere più un’impresa ‘qualunque’ e nemmeno da ‘capitalismo da casinò’ (con tutti i rischi, non solo etici), potendo ritagliarsi una sua nicchia vincente nel mare magnum delle imprese ‘qualunque’. Può, infatti, fare più affari, perché i clienti si fidano, sapendo che tutto è chiaro e trasparente. La gestione etica risulta appagante e pagante, migliora l’immagine aziendale e la produttività, comporta anche meno costi in nero.
Per dirla col teologo Hans Küng, lider maximo di etica e dintorni: …lo scopo finale dell’impresa andrebbe individuato nell’orizzonte di tutta la società e comprende il benessere dell’economia, dello stato e della società, i quali si attendono che l’impresa globale contribuisca in molteplici modi (ad esempio, mediante la creazione di posti di lavoro, il pagamento delle tasse e la promozione della cultura) a promuovere il bene comune. (…) Consapevolezza del fine da raggiungere, senso di orientamento, criteri etici e bussola interiore: tutti questi sono elementi strutturali dell’etica, non dell’etica come dottrina, bensì dell’etica quale atteggiamento morale interiore.

1 commento:

Salvatore D'Agostino ha detto...

Nike,
non conoscevo questo neoblog di 'architettura'.
E non ho mai letto un post/biblioteca come il tuo.
Comunque ho perso il senso etico tra i colori del tuo pensiero.
Benvenuto,
Salvatore D'Agostino