venerdì 29 ottobre 2010

RUBY TUESDAY

RUBY TUESDAY

“È un inganno ottico associare la mobilità all’efficienza. Il cameriere che, trafelato, volteggia tra i tavoli con i piatti in equilibrio, è più lento del cameriere impassibile che posa i piatti con cautela, tra gli sguardi carichi di diffidenza dei commensali. I pochi secondi che l’altro guadagna nella corsa vengono infatti persi nelle acrobazie per non cadere, nelle diversioni di rotta, nelle pause per riprendere fiato …” E tra diversioni di rotta (i vari lodi, ludi e ludibri, tra Montecarlo e carlonate varie) e acrobazie (sono o non sono nani e ballerine?), di inganni ottici, e non solo, siamo carichi. Sfatti e strafatti. Eppure, come i commensali del ‘trancio’ della Grande sera, i nostri sguardi, drogati dalla ‘polvere’ attaccaticcia dell’attivismo dei ‘rampanti’ berluscones, un po’ sneakers un po’ tacchi a spillo, hanno ‘indulto’ (diciamo, indugiato, frettolosamente… ma sai ora l’indulto, sia lodo o Lodo – Francesca – tira…), insomma, si sono rapidamente soffermati con diffidenza sulla scarsa efficienza degli ‘impassibili’ (che sono poi quelli con vere passioni: i ‘trafelati’ sono più che altro ‘impazienti’. E pure ignoranti – e per dirla sempre con Giuseppe Pontiggia, quello della ‘Grande sera’: “Tu non sai quante angosce risparmia l’ignoranza...”).

E poi, dopo il ‘trafelato’ (dalla carità ‘pelosa’: e che pure ‘tira’), c’è l’uomo ‘normale’: aspirato dai suoi pensieri, dai suoi ricordi, dai suoi desideri, dalle sue sensazioni, dalla bistecca che mangia, dalla sigaretta che fuma, dall’amore che fa, dal bel tempo, dalla pioggia, dall’albero vicino, dalla vettura che passa...” Questo è l’uomo ‘robot’ (ne parla Gurdjieff, ma un po’ tutti ne aspiriamo qualcosa…). E che dire dei tanti pseudo-manager fuma-fuma (anche solo mamme o babbi che portano il pargoletto a scuola) che impazzano per le strade sgommando come folli su SUV ingrifati, quasi dovessero correre a chissà quale appuntamento ‘capitale’. Alla fin fine tutti stressati (e non sto parlando dello stress positivo – l’eustress – quello del primo bacio o della discesa su una pista di sci, e sei uno sciatore provetto, ma del distress: quello che ti logora la vita, ti avvelena l’anima e ti può condurre sul baratro).

Insomma, da una parte l’uomo robotico (moscio o agitato), dall’altra l’uomo comatoso. Sì, lo so, certe cose ci sono sempre state (è nella natura dell’uomo: un po’ in cielo un po’ a terra…), ma il tam tam dei mass-media – puoi avere tutto subito (dal fast food al prestito su misura, fino al fast love) e devi essere ‘così’ (tacco dodici o rasoterra, tutta-tette o filiforme, grasso è bello…) – ha creato l’era dell’ansia: un continuo mordi e fuggi alla ricerca di una soddisfazione effimera e un susseguirsi di copia-e-incolla di modelli mass-mediatici belli ma impossibili.

Dall’eccesso d’informazione all’eccesso di attenzione: si è passati dall’epoca delle ‘grandi narrazioni’ a quella del gossip. Brani, brandelli, brandy à gogo, gogo guys & girls. A brand new bag. Il salon (di Arcore: c’era pure la Arcuri?) ha inaugurato un nuovo brand (è un circolo trendy): il superuomo prêt-à-porter… E la catwoman mordi e fuggi. E non è l’unico salon… ”Abbiamo il Progetto Caos a Los Angeles e Detroit, un grosso Progetto Caos a Washington e a New York. Abbiamo un Progetto Caos a Chicago di quelli che non ci crederesti mai.” E c’è pure quello di Avetrana (un Fight club per carovane di voyeur alla ricerca del buon De Sade dei tempi andati – quelli moderni sono più Von Masoch). Che musica (e parole)! Sade, Sartre, Satie… Boogie nights (fosse così! Ora solo bunga-bunga e bongo-bongo…).

“She would never says where she came from…” Sì, Ruby (Ruby Tuesday? Era di martedì? No one knows… she comes and goes). Sì, una toccata e via, un tiro e vai… “Ti versi una bella riga sul dorso della mano. Ti porti la mano al naso e la boccetta ti sfugge e va a cadere con nauseabonda precisione nella tazza. Rimbalza una volta contro la porcellana, poi affonda con un tonfo insolente che sembra il rumore prodotto da una grossissima trota per sputare una minuscola esca finta accuratamente preparata.”

“I fatti sono semplici, i fatti sono fatti… I fatti sono pigri, i fatti sono matti… I fatti dipendono dal punto di vista… Se non fai attenzione ti portano fuori pista.” Tutti in pista, vai con le danze! Goodbye Ruby, Tuesday, who could hang a name on you? Sì, Karima è il nome, Ruby il nome de plume (e le piume? Volate via prima dell’estate). Ombre a Letojanni, Mille luci a New York, in brodo di giuggiole ad Arcore. Arno d’argento, pendente d’oro bianco (il lettuccio di ‘biancaneve’ al collo della Diana o della Galatea di turno; fosse solo una Ruby rampante o una Sabrina rampicante). Occhi di brace (le pupille, infuocate). Voglia di vivere, ansia da morire. Ma doce doce. Sì, la ‘magrebizza’ (la magrebina con le bizze, pure ‘nipote’ di Mubarak – Osama e Obama permettendo… mi consenta) è quella che meglio esce dal copione ahrimanico-luciferino (o solo da sciacquettopoli) delle notti da berluga (quello spalmato sulle ‘tartine’ della Milano da bere, anzi dell’Italia bevuta).

Ma se drink ci dev’essere, sia almeno on the rocks. ”Meriterà il nome di uomo, e potrà contare su tutto ciò che è stato preparato per lui, solo colui che avrà saputo acquisire i dati necessari per conservare indenni sia il lupo sia l’agnello che gli sono stati affidati.” E noi che sinora siamo stati un po’ pecoroni (fatte salve le pecore del racconto evangelico: lì la pecora non bela…), tiriamo fuori le unghie e… agitiamo i remi, agitiamo il tirso. Agiamo… Coscientemente, ma con passione. Leoni biondi, lupi azzurri (senza nostalgia ‘canaglia’), orsi bruni… (per par condicio). Farfalle notturne (le pari opportunità. E non è per retorica: il sapere è una farfalla notturna – il pensiero è volatile, ma presto ci verrà a trovare anche di giorno). Nuovi barbari liquidi contro la solidificazione borghese… Donne amazzoni. Occidentali, ma che guardano a ‘oriente’. Misura quando ci vuole, eccesso se il kairòs (non il Berluska) lo impone...

Sì, c’è il tempo per ogni cosa: per il mistico caos danzante, per la vitalità dionisiaca, così come per l’organizzazione ‘diaccia’ del caos delle passioni, per l’autocontrollo, per la sobrietà (mai per la verminosa moralità dello schiavo – della tivvù an-alcolica e dei sobri diktat). Sobria ebbrezza, ebbra sobrietà. Ma se il caos lo impone, ebbrezza satira..

Ruby, still I miss you!

sabato 23 ottobre 2010

SHOP SHAPE SHAKE SHARK… SHOT!

SHOP SHAPE SHAKE SHARK… SHOT!

"We shape our cities and thereafter they shape us" (Churchill). Nondimeno, "la forme d'une ville change plus vite …. que le cœur d'un mortel" (Baudelaire). Sì, diamo forma alle nostre città, ai nostri quartieri, alle nostre case, alle nostre ‘cose’… e poi loro danno forma a noi, ci conformano, ci deformano.

Form follows fiasco. Sì, è dal nostro insuccesso che si (de)genera la forma e i contenuti della nostra vita. Spesso presunti insuccessi (un fallimento non significa il fallimento: ogni difficoltà è un’opportunitàrepetita iuvant) ci condizionano. E come ormai, dopo Hillman (e non solo), tutti (o quasi) sanno: non è scavando nel pozzo del passato che si ‘guarisce’ e si inizia a ‘volare’. Dal pozzo si tira fuori solo la morte… Se si vuole la vita bisogna ‘cambiare canale’.

“Le città sono stati d’animo, stati emotivi, umori.” Con o senza John Steinbeck e Saul Bellow. Città da abbandonare, ma per andare dove? “When you leave New York you ain’t going nowhere.” Eppure, “Living in New York is never easy” (e nemmeno leaving). Vivi e lascia vivere. Da svegli, dormendo o in fase rem, New York è assolutamente da vivere, fosse anche “vedi New York e poi muori...” E Lorenzo, che pure mai come in quello scorcio esistenziale (uno squarcio di vita autentica) voleva vivere, si fece ‘prendere’ dal gorgo macro-metropolitano (e dal suo gergo). Dal vortice tritarifiuti, dalla fonderia di corpi e anime, dal laboratorio alchemico. Reading from New York. Città biblica. Come la Bibbia: puoi rileggerla infinite volte e ogni volta scopri un senso nuovo. Settanta sensi. Città fucina, laboratorio di un futuro charming. E il presente? Il sole che sbanda sui muri di vetro, le pareti di mattoni che si fanno rubizze… New York, città di rubino, cristallo e porcellana (cinese). Paradiso, inferno, purgatorio… (il limbo era passato di moda). Chiasso generale tra i silenzi individuali. La musica? From the beginning, di Emerson, Lake e Palmer. Così sentiva (come sintesi) il ‘suono’ della metropoli in quel particolare stato d’animo (alla Emerson: non il pop-singer, ma Ralph Waldo, sempre lui, il filosofo del ‘divenire’, quello per cui “le preghiere degli uomini sono una malattia della volontà e i credi una malattia dell’intelletto”). Sì, questo il suo preludio nuiorchese. Un po’ alba di Pugnochiuso un po’ notti al Cairo. Una malattia e una preghiera. Ma lui ora era in convalescenza. E una volta guarito, avrebbe vissuto d’altro: di architettura, forse di preghiera… (da Gocce di pioggia a Jericoacoara).

Architettura, preghiera… Il sole che sbanda sui muri, chiasso generale tra silenzi individuali… L’ambiente è sia ”fondo indefinito e informe”, spazio ‘vuoto’ da ‘riempire’ (con elementi ‘autentici’), sia “ente pervaso da forze generate dagli oggetti” interagenti con quelle prodotte dall’ambiente. E tra lo spazio dei pieni e dei vuoti ci sono gli interspazi, gli ‘spazi negativi’. E sono questi ultimi – l’’inframondo’ (mitwelt) – a generare il ‘pattern’ totale, ossia l'organizzazione funzionale della città e dell’uomo. L’holos, il tutto, superiore alla somma delle parti (almeno nella città 'organica'), è in grado di soddisfare all’obiettivo ‘città’ o ‘uomo’. La città e l’uomo: il macro e il micro (supra e infra. Talvolta, infradito…), la forma e la funzione che, unite, costituiscono l’organismo ‘città’ e l’organismo ‘uomo’.

La forme d'une ville… Sì, il cuore della città cambia più velocemente di quello dell’uomo. Le città mutano, invecchiano, fanno le grinze, subiscono amputazioni, mettono su pancia (e protesi), cercano un’improbabile eterna giovinezza sfoggiando vestiti sgargianti, all’ultima moda, trendy, trash… Qui e là qualche punturina, ma sì… botox a volontà, squarci e ricuciture, omogeneizzazioni, outing, yoghurt, transgenderizzazioni: sì, le città bene o male cambiano (o ci provano), ma lui (o lei…), il cuore dell’uomo, resta lo stesso. Capace, ora come allora, di slanci vitali e di scivolate suicide (e sudice). Eppur ancora fermo all’Adamo della mela e al Caino dei fagiolini. E non solo il sempre-adamo continua a mangiare la mela, ma si è ormai identificato con essa: è diventato un oggetto al servizio degli oggetti. Sempre più ci identifichiamo con e nelle cose, continuamente ci abbassiamo al loro livello e …scivoliamo (su di esse? su di noi? È lo stesso: ormai siamo tutt’uno con le cose. Siamo diventati una protesi del cellulare…). Malgré tout, c’è ancora vita sulla terra! Sì, Deo gratias (gratia sine gratis gratia non est...), c’è sempre più chi, dopo l’ubriacatura dell’Italia da bere, vuole tornare all’Itaca da centellinare (siamo o non siamo entrati nell'era dello Spirito?). Sì, c'è chi si ribella... e qui viene il bello: i ribelli non sono più d’un solo colore (ma non lo sono mai stati: c’era il Che – Guevara e c’era Jünger. E poi il Che batte anche a destra...). Insomma, c'è chi vuole disidentificarsi, uscire dalla platitude. Sì, in tempi di omologazione, anche eterologa, c’è chi vuole uscire dal coro, vuole fare outing (non che nel passato ci fossero più voci dissonanti: sì, c’era la pizzica, ma solo per i tarantolati; gli altri erano delle comuni lucertole. Poi c’è stato Re lucertola – Jim Morrison – ma non è che le cose siano andate meglio…). Ma per fare coming out occorre aprire la porta. E per i più timidi… passare sotto la soglia.

Per volare in alto l’ala si deve abbassare… Ultimamente forse abbiamo alzato troppo le ali… E come si sa, un battito d’ali ad Avetrana ha scatenato un cataclisma mediatico da Bressanone a Milazzo. Ma non è stato un battito d’ali: solo battiti (prima battiti live, poi ‘battipanni’: battute, botte, solo battiti… poi sempre meno, poi più nulla…). Le ali si sono spezzate, sono state mozzate. De profundis te clamo… In cantina, nel pozzo, in the cut. Cunto de li cunti, è possibile uscire dal fossato? O cambiare canale? Sì, siamo nell’epoca del ‘tutto è possibile’. Basta toccare il fondo (se non l’hai fatto, datti tu l’ultima spinta, ma poi, con tutta la rabbia possibile, alla Osborne, devi ri-decidere, devi risalire… possibilmente non dopo quarantuno giorni… By the way, vai al mio post del 3 dicembre 2008 sul numero quarantuno, in Tramonto dell'Occidente - Alba dell'Oriente (quello messianico, non massonico). Di tecniche per uscire dal pozzo ce ne sono tante, ma non ce le insegnano: a tal proposito, visto che ne parlo spesso (e qui passo dalla città agli stati d'animo: ma siamo lì...), la PNL ha potenzialità eccezionali: tecniche come quelle (pardon per l’argot) dell’ancoraggio, dello swish, dello squash, del reframing, della time-line, danno all’individuo ‘depotenziato’ (e chi in un certo senso non lo è?) quell’ego-drive capace di farlo catapultare dal girone ‘infernale’ al cosmodromo 'edenico' (un odeon in cui non si è solo spettatori, ma attori e registi).

Sono arrivato al pit-stop. Al prossimo post i prossimi step. Stop and go. La penna continua a tirare... Uso la scrittura per sopravvivermi… (per dirla con Corona. Non Fabrizio – e non lo dico per invidia, del Fabri o, già va meglio, di Belen ma Mauro: sì, Mauro Corona, quello del bosco antico). E soprattutto, per far di me stesso fiamma… (senza far la fine del sommo Michelstaedter, né del ‘minimo’ zi’ Miché).