mercoledì 30 marzo 2011

SAVE THE LAST DANCE


SAVE THE LAST DANCE


Danza macabra. Quella di questi giorni. (A proposito, sapete che ‘danza macabra’ significa danza del becchino, o danza dei Maccabei, in ricordo degli eroi ebrei martirizzati da Antioco di Siria?). Macabri e maccabei…
Stelle danzanti partorite dal caos? Fosse così… Sì, siamo in ballo ma imballati. Siamo al palo, ma ‘incollati’ sopra, neanche abbarbicati o serpicanti a mo’ di DNA o di ‘Ouroboros’, il serpens qui caudam devorat. Il tempo, la tigre che divora, ci sta mangiando: c’è rimasto poco tempo, a meno che…
Non ci sono più le lap-dance di una volta! Nostalgia del Berluska (quand’era ‘ska’, ora si limita a scalpitare o a scotennare) e delle ‘olgettine’? No, sempre più voglia di un ritorno al Nuovo, a una novità di vita che si scrolli di dosso tutte le banalità e i qualunquismi che ci riversano (o ci versiamo) quotidianamente addosso. Ma è possibile che la massa debba stare rintronoglita davanti a tivvù e discorsi alla Ecce Bombo?: Che famo? Che mangiamo? Che telefonamo? (a dire il vero il Michele del film morettiano era molto più interessante e propositivo: Ma tu, concretamente, che cosa fai? ...Come campi?» E la lei del momento: «Giro... vedo gente... mi muovo... conosco... faccio cose...»).
E famolo pure noi! Torniamo al muoverci, al conoscere, al vedere gente, al fare cose! Oppure, per volare più alto (basta coi polli in batteria), va bene pure un discorso da Gocce di pioggia a Jericoacoara:
«Pensi che l’amore sia uno svago? Nient’affatto, esso è un compito, e il più rude di tutti.» Sulla citazione da Emmanuelle, declamata a voce stentorea, quasi fosse un ordine, Gaia prese la bottiglia e la ributtò in mare.
«Getta via il contenitore, perché appartiene al passato remoto, quella parte del tuo vissuto che la corrente del presente deve portare al largo, lontano dal tuo futuro. Ma trattieni il foglio: è il tuo passato prossimo, quello che ha dato il via al tuo presente e al tuo futuro anteriore, anzi al tuo infinito. Non è un condizionale, è un imperativo!»
Bene. È un imperativo. Futuro, anzi, presente. Danziamo. Save the last dance ...and go with the next dance. Take a second chance!
Apro le danze, vi do un paio di spunti (il primo dal mio romanzo citato, il secondo da quello in progress). Meditate, non tanto sullo stralcio di trama, ma sulle parole, sui suoni, sulle sensazioni. Fatevi avvolgere dalla stimmung, fatevi penetrare dai rami… L’albero m’è penetrato nelle mani, la sua linfa m’è ascesa nelle braccia. L’albero m’è cresciuto nel seno profondo, i rami spuntano da me come braccia.” (Ezra Pound).
E poi cercatene, se c’è, la bellezza. Altrimenti, da una goccia di profumo risalite (o scendete) alla sua ‘essenza’: “Ricerco la gloria non il successo. Ricerco la bellezza, non la ricchezza. Ricerco la verità, non la menzogna. Io non scrivo libri per intrattenere i passanti, oppure me stessa, io scrivo perché ho una missione, sfondare porte.” (Isabella Santacroce).
Ok, partiamo, sfondiamo porte!

E gira tutt’intorno la stanza mentre si danza…
     Arianna si svegliò come toccata dall’ala di un angelo. Si guardò intorno: era sola. Ma non solitaria. C’era presenza di vita. Autentica. Julim era nel bagno: sentiva chiaramente lo scroscio dell’acqua della doccia sulla sua pelle bronzea (pendant di quella di Tomás: ma per lei, ora, l’epidermide del gringo, qualche giorno prima così calamitante, e così calmante per i suoi bollori da donna caliente, era fredda. Untuosa al tatto, repellente al solo ricordo).
     Aveva dormito da sola, ma l’angelo (quello in carne e ossa, ben poco vegetale eppur verginale), toltesi le ali, e ripiegatele con cura sotto il cuscino, era rimasto alla fonda nella camera attigua. Nondimeno, si era ritrovata con una candida piuma addosso. Palombella rossa? Paloma? Palombaro? Pesce palombo? Unica certezza: la canzone di Battiato che, come un derviscio rotante, le girava nella testa.
     Il grosso pesce reticolare stilizzato, memore del fish di Alexander Calder – quello delle sculture mobiles – e delle pitture murali dei primi cristiani, dondolava appeso al soffitto, sospinto da ali invisibili (e dall’arietta che si faceva largo attraverso la finestra socchiusa). I ricordi di Jericoacoara si confondevano con le memorie giovanili, i sogni a occhi aperti duellavano con gl’incubi notturni, senza renderla succube. Si sentiva libera, riscattata. Accettata. La verità l’aveva resa libera, redenta. L’Hotel California aveva lasciato il posto a Vila Paraiso.
     Il getto d’acqua tiepida cominciò a distribuirsi generosamente ed equamente su dossi e curve. Scivolò, quindi, fin nelle cunette, non disdegnando le superfici piane (poche) e le valli fiorite. Toccò poi il fondo rugoso, deviando all’improvviso verso l’omphalos, per scomparire infine negli abissi. Acqua a fiotti, frettolosa, per masse fluttuanti. Acqua nei fiordi. Per Fiordaliso.
     Le pareti translucide, sia pur riottose, non poterono evitare il contatto bagnato che ne imperlava la superficie interna. E lo scontato scontro con le masse oscillanti. Anzi, queste parevano godere della situazione. E per ricambiare la cortesia, furono ben liete di fornire un esile ma volenteroso sostegno ai volumi dinamizzati. Diritti, flessi, combacianti, intricati. Il segreto e l’ignoto. Spazzolati. Cento colpi. Uno più, uno meno. Corpi scolpiti. Ben torniti. Vincolati, slegati, vincenti. Persi, costretti nel piccolo ambito, ma incuranti del contorno. Vibranti oltre i limiti di sicurezza (e della decenza). Bastevoli a se stessi, ma in procinto di tracimare.
     Silenzio prima di uscire, silenzio prima di entrare. In mezzo, una cascata di suoni. Il contatto delle masse e delle superfici, il fluire e il rifluire dell’acqua corrente, il perlage, l’aria vintage, il parlottio sincopato, quasi dopato. Forse metalinguistico. Tutto parlava. Tutto taceva nell’infittirsi dei suoni. E dei movimenti. Iniziali, al climax, finali. E al calare del sipario, ecco subentrare l’uscita trionfante dalla cabina della doccia e l’ingresso sottotono negli accappatoi impazienti…

Altro giro, altra corsa, altra danza (alla Billy Elliot o, meglio, alla Thomas Eliot: Giro attorno a Dio, alla torre antica dell'inizio, le giro attorno da migliaia di anni: e ancora non so: sono un falco, o una tempesta...)

     «“I Vangeli e il Manifesto del partito comunista sbiadiscono; il futuro del mondo appartiene alla Coca-Cola e alla pornografia.”» Basta Gómez Dávila a chiudere il sermone di Diana (e a spegnere la luce sulla sarabanda dei miei pensieri). Meglio passare ad altro. La notte è lunga. L’oceano notturno si è ormai contratto in un’anoressica pozzanghera… V’intingo la mia plume mentale, strappata all’uccello nottaiolo… Because the night belongs to lovers, because the night belongs to lust, because the night belongs to us…
     Tonight will be fine. Di domani non v’è certezza. “Eravamo lì uno davanti all’altro, Tyler a massaggiarsi il collo e io a tenermi una mano sul petto, tutti e due coscienti di essere finiti in un posto dove non eravamo mai stati e, come il gatto e il topo nei disegni animati, eravamo ancora vivi e volevamo sapere fin dove saremmo potuti arrivare restando vivi.” Fiuto l’aria, le vibrazione del mio tempo, ne assaporo voluttuosamente le gocce di pioggia, danzando nudo come il folle Nietzsche all’ombra della Mole (e delle Molinette). “Io giro intorno a Dio, intorno all’antica torre – e giro per millenni – e ancora non so se sono un falco, una tempesta o un lungo canto.” Girare intorno a Dio, girare per millenni, e non curarsi di nient’altro. Giocare con le stelle… Sto cominciando a farlo con assiduità. Prima per aspera ad astra, ora astra ad libitum. Freie liebe! E Frei? Lui aveva partorito la stella danzante: «...di tutte le conoscenze che ho fatto, una delle più preziose e feconde è quella con Lou. Soltanto dopo averla frequentata sono stato maturo per il mio Zarathustra.»
     E anch’io sono maturo per il Progetto. È una sorpresa (almeno per me, ma anche gli altri erano ancora ai preliminari). Diana lo spacchetta, lo srotola, lo dipana, ce lo spalma addosso: «“Quando Tyler ha inventato il Progetto Caos, Tyler ha spiegato che lo scopo del Progetto Caos non aveva niente a che fare con il prossimo. A Tyler non importava se qualcun altro si faceva male o no. Lo scopo era far prendere coscienza a ciascun partecipante al progetto del potere che ha di controllare la storia. Noi, ciascuno di noi, possiamo assumere il controllo del mondo. È stato al fight club che Tyler ha inventato il Progetto Caos.”»      
     Niente è statico. Tutto va a pezzi. Evitiamo di cospargerci il capo di cenere: siamo troppo ebbri. E non voglio nemmeno dormire. “Per anni ho desiderato addormentarmi. Quella parte dell’addormentarsi che è spegnersi, rinuncia, disfacimento. Ora dormire è l’ultima cosa che voglio.” Sono in pieno  caos. Meglio… vuol dire che il parto (della stella) è ormai vicino. E io che credevo di essere sterile… Posso partire (anche senza bagagli – l’attrezzatura ce l’ho addosso). Passion flower.
     «“Non è la sensualità che allontana da Dio, ma l’astrazione.” – “La vera sensualità è brama d’eternità per il suo oggetto.”» (È vero! Un mio amico d’università una volta mi disse: Più mi sento spirituale più la mia carne urla…) «“Tutto scricchiola nel cuore degli altri uomini quando uno di loro si fa avanti di due passi, si stacca dalla fila e così foggia intorno a sé una barriera invarcabile di rispetto.”» È un continuo autocitarsi ed eterocitarsi (il che la eccita, ma anche noi siamo in piena ovazione). Riconosco l’ultima: è Jean Cau. Quello del Che. Fidel! E pensare che tutto è iniziato con: «Ma tu credi a Nietzsche?»
     Tutti noi siamo membra del Fight Club number seven. Tutta gente desiderosa di dare la vita per qualcosa.

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