domenica 13 maggio 2012

NIETZSCHE: SNEAKERS O TACCHI A SPILLO?

 
NIETZSCHE
SNEAKERS O TACCHI A SPILLO?

Tra suicidi, CSI e assassini, dove va Zazà? Zuzzurellando a destra e a manca…
No, non è più così: il berluscaosnismo dell’Italia da bere (negli anni Ottanta c’era il radical-chic al beluga) ha lasciato il posto al pasto nudo delle scimmie nude (gli italioti): il re è nudo e il reggente stenta a rivestirsi, ma, come si sa, ogni difficoltà è una risorsa. La PNL lo insegna, la Kabbalah lo ribadisce da sempre, il messaggio di Cristo l’ha impresso con i chiodi: cercate prima il Regno… e ogni altra cosa vi sarà data in aggiunta.
E aggiungo io: questo è il momento dello “Stop & Go”. Ai blocchi di partenza…

Ci incontriamo agli angoli delle strade. A coppie, a grappoli, a stringhe sempre meno sottili. Cresciamo all’ombra dei portici, come batteri, morule, embrioni di future miriadi, angeli sparsi in cerca di paradisi possibili.
Siamo le membrane plasmatiche del centro e delle periferie urbane, giunzioni occludenti il vuoto delle menti e delle anime, teurgi plastici in cerca di corpi da rigenerare. Col forcipe dello spirito recidiamo le sbarre dell’anima e liberiamo dai ceppi impazienti i dèmoni dormienti. I nostri e gli altrui.
Senza addomesticarli li mandiamo allo sbaraglio tra i ‘petits bourgeois’ della ‘comédie humaine’ (dèmoni versus demòni: slitta l’accentazione cambia l’eone). Randomizzati vagano impacciati ma indomiti nelle piazze, nelle case, nelle menti, nelle paludi del caravanserraglio globale – dove sbuffa behemot, gingillo degli dèi e trastullo dei titani, e striscia il leviatano, un po’ biscione un po’ caimano.
Bariamo sui numeri (ma nel frattempo cresciamo a dismisura), saltiamo sui corpi, puntiamo sulle anime (e lo spirito? Sotto sale). Ci arrampichiamo sui muri, scivoliamo nei sottotetti, glissiamo sui salotti buoni. Ma verrà anche il loro turno – tour e retour.
E allora, che aspettate? Il turn-over? Tornite e guarnite le tartine al caviale, la pallina sta per fermarsi! Là bas.
Rien va plus. Il gioco si fa duro. E scivoloso. Ma dolce è l’attesa (meno le doglie). Arde il rovo, la voce chiama… “Siate caldi oppure freddi: ma i tiepidi li vomiterò nella Geenna.” Caos calmo, ciechi spasmi, miasmi cosmici: l’universo attende con ansia l’epifania teandrica – non sa cosa vuole, ma vuole qualcosa!
Alta marea: la terracquea arena è lì che aspetta, vociante, torbida, ondeggiante. Bassa marea: nella platitude vacua vaticina torpida la platea (e non è il Vaticano). Ogni tribuna e tribuno è in tiepida attesa di un messia o di una miss (tutto fa brodo – questa la voce del mondo). “Ah, se Erostrato il grande li ghermisse e facesse assaggiare a tutti i tiepidi il caldo estremo che raggela!” (la cultrea voce dal profondo).
E noi? Infine nudi nello spirito, ancora paludati nell’azione, palestrati nell’animo  continuiamo a nasconderci nelle segrete latebre delle lubriche piazze affollate. Per poi sbucare alla Kubrik nelle strade bucate e imbucarci, zampillanti e ludici come eroine zompanti, tra gli zombi nei corridoi sussurranti – riservando ai gorgoglianti portici le nostre residue ore aliene (è lì, nelle gallerie urbane, il nostro brodo di coltura).
Tuareg nel deserto che cresce, effimeri panici al galoppo, ossimorici lunatici grondanti gelide passioni; cammelli sgobbanti, leoni reboanti, fanciulli vocianti investiti da folate di sottile silenzio: questi noi siamo. L’ultimo uomo è appena nato e una donna sta per ucciderlo.

Arts and crafts. Una grammatica delle nostre ‘posture’ linguistiche, una sintassi dei nostri ‘siti’ logici, una parete fonoassorbente contro il rumore della vita quotidiana. Diana ci analizza, organizza, sintetizza. Sunto dei sunti. Anche un po’ sufi (grazie al soffio della Sofia divina e al vento d’Oriente – ma l’Occidente c’è, non nicchia). Ci traguarda dall’alto, ci spinge dal basso. Ci massaggia il fianco sinistro, ci irrobustisce quello destro. Ci reidrata (la goccia ci sta ‘chiamando’: trabocchiamo…). Ci rende soggetti, autonomi, liberi. E soprattutto, si premura di stabilire gli obiettivi. Diverremo frecce.
«La pubblicità ha spinto questa gente ad affannarsi per automobili e vestiti di cui non ha bisogno. Intere generazioni hanno svolto lavori che detestavano solo per comperare cose di cui non hanno veramente bisogno… Noi non abbiamo una grande guerra nella nostra generazione, o una grande depressione, e invece sì, abbiamo una grande guerra dello spirito. Abbiamo una grande rivoluzione contro la cultura. La grande depressione è quella delle nostre vite. Abbiamo una depressione spirituale... Dobbiamo mostrare la libertà a questi uomini e a queste donne rendendoli schiavi e mostrare loro il coraggio spaventandoli... Quando abbiamo inventato il fight club, io e Tyler, nessuno dei due aveva mai partecipato prima a un combattimento. Se non sei mai stato in combattimento sei pieno di interrogativi…»
Diana continua a scorrere il libro di Palahniuk, il nostro ‘manuale di sopravvivenza’ (io ero rimasto – fuoco amico – al “Trattato del ribelle” di Jünger e alle “Lezioni spirituali per giovani samurai” di Mishima: me li ero divorati, non si sa mai… – meglio mettere le mani avanti –, la settimana precedente l’incontro iki-haiku-shaulin a casa di Gaia. Prefigurando l’ambiente mi ero attrezzato: conosco i miei polli…). Ne trae le perle, a grappoli, morule, stringhe. Ci siringa, rasserena, spranga, e poi ci benda (in seguito dovremo farlo noi). Diana dalle bande nere (noi la band). E mai sbanda. Eppure, la strada davanti a noi è dissestata.

Si soffermò ancora una volta – era da trent’anni che lo faceva – sulla copertina ‘vissuta’, retrò nel design ma dal messaggio ancora attuale. La scritta – La politica dell’esperienza – campeggiava in giallo su un fondo nero costellato da immagini smozzicate: mani, braccia, gambe, piedi, un occhio, un orecchio, un ventre... (l’assemblaggio, seppur sessantottino, occhieggiava a Hieronymus Bosch). E poi, scorrendo all’impazzata la densa copertina, quasi come sottotitolo: “Esiste per caso qualcosa come un uomo normale? Imparate a conoscere la vostra pazzia, le vostre nevrosi, e le camicie di forza che la società v’impone!”
E non era finito… Ancora: “Noi che siamo ancora vivi per metà e abitiamo nel cuore alterato di un capitalismo decrepito, possiamo fare di meglio che riflettere lo sfacelo che è fuori e dentro di noi, e che cantare le nostre tristi canzoni di sconfitta?”  
Ne era ormai certo (lo sentiva nello spirito, la ‘cantaride’ dell’anima): lo sconosciuto oggetto del desiderio non poteva aver attinto che dal libretto underground di Ronald D. Laing – strizzacervelli fuori rotta – che portava sempre con sé, quasi un Così parlò Zarathustra da viaggio (per lo spirito, e non solo, ci pensava la Bibbia pocket); ma anche, più prosaicamente, un vademecum di frasi a effetto da snocciolare in circoli radical-chic e dintorni (lui era un po’ à la page un po’ vintage, mai retrò).
E così, dopo un attimo di sospensione, un tentativo di retromarcia, scavalcate le prime pagine del ‘breviario’, che conosceva ormai a memoria, imboccò a tavoletta la scorciatoia verso l’epilogo, lì dove i dialoghi da épater le bourgeois si facevano più frequenti e intensi. Tra un “Cristo mi perdona se Lo crocifiggo?” e “nel mio vagabondare d’un tratto m’imbattei in una delle mie molte fanciullezze conservate nell’oblio, per questo momento in cui più ce n’era bisogno”, finalmente si scontrò, a pagina 188, con la frase fatidica. Crash, ecco dove l’aveva scovata, la scippatrice radical-chic!

«Se il figliol prodigo non avesse mai lasciato casa sua – dice il meccanico – il vitello grasso sarebbe ancora vivo…” Hai voglia ad arrabbiarti, fratello maggiore il vitello grasso tra poco ingoierà il tuo stesso lardo! Grande Fratello, è il tempo delle vacche magre! “Siamo cacciatori e siamo a caccia di grasso.” Faremo pulizia, pulizie di primavera…» queste le ultime parole di Diana mentre sto ancora a terra (il pavimento in seminato alla veneziana del salon). Poi ridiscendo. Sciolgo l’asana del loto. Semino ogni residuo del mio pasto (il passato, il purè esistenziale – pappa e ciccia). Lei spreme il limone fino all’ultima goccia. Questa cade su di me e io ripiombo nel gorgo akashico (vado avanti e indietro nel tempo: è la ‘scala di Diana’ – lei è l’angelo che sale e scende. E io con lei). Rain on me.

(Brani tratti dal mio inedito “Nietzsche: sneakers e tacchi a spillo”. Per gli editi, vai sulla colonna a destra: troverai libri di sommo interesse, da ordinare anche sul web.)