sabato 29 marzo 2014

La Grande Bellezza



BEAUTY FORM

La Grande Bellezza



“Gli dèi hanno abbandonato l’uomo ed il mondo ha perduto il suo incanto.”
In tempi di disincanto – lo cunto de li cunti – dobbiamo arrabattarci con i barattoli dello sbaraccamento quotidiano (sempre meno vestiti di marca, sempre più cibi in via di scadenza, sempre più bollette scadute) e dello stravaccamento dei media.
Sempre più vacche magre: siamo ormai nella «notte in cui tutte le vacche sono nere» le nostre riflessioni su ciò che accade intorno (e dentro) a noi si rivela una speculazione incapace di cogliere la contraddittorietà e complessità del reale, senza peraltro riuscire a cogliere i bagliori dell’”oltre”.

Nondimeno, più è buio più rifulge la bellezza. E questo vale, soprattutto, ora – anche se non è l’età dell’oro, semmai del ferro (ormai arrugginito: vedi ILVA) o del silicio (Silicon Valley e siliconate varie e avariate). D’altronde, “I Vangeli e il Manifesto del partito comunista sbiadiscono; il futuro del mondo appartiene alla Coca-Cola e alla pornografia" (Nicolás Gómez Dávila). Eppure, “è sufficiente che la bellezza sfiori appena il nostro tedio, perché il cuore ci si laceri come seta tra le mani della vita" (ibidem)

Vi blocco… Non vi voglio parlare della “Grande Bellezza” di Sorrentino – non l’ho visto, se non qualche ‘bagliore’ – ma di bellezza tout court (il seguito ideale dell’ultimo post – analogo è pure il ‘logo’):
Il mondo, scriveva ne «L’idiota» Dostoevskij, sarà salvato dalla bellezza. Una profezia che sembra ormai essersi rovesciata. Perché il culto della bellezza – sfruttata dal mercato, amplificata dai media, ostentata dal potere – produce un mondo che non è mai stato tanto brutto. Esiste una via d’uscita da un simile nichilismo estetico? «Non c'è più tempo», sembra suggerire il titolo dell’ultimo romanzo di Sergio Givone. Del resto la disperata discesa nel sottosuolo fiorentino dei protagonisti, veri e propri demoni dostoevskiani, non lascia ben sperare. Ma non tutto è perduto assicura l’autore, perfettamente a suo agio nella doppia veste di filosofo e scrittore.
Professore, che rapporto ha la nostra società con la bellezza?
«Ossessivo e compulsivo, direi. A tal punto da ritenere che solo ciò che è bello abbia valore, sia degno di essere apprezzato, comprato, votato. Siamo tutti vittime di questo abbaglio. Perché si tratta di un’idea di bellezza vuota che si concretizza nel trionfo del brutto. In questo senso, più che salvare il mondo, la bellezza sembra averlo condannato».
Come si è imposta una simile ideologia?
«La bellezza muore quando perde il legame con ciò che è buono e con ciò che è vero. E se non è più capace di fare cenno ai valori etici e morali diventa un guscio vuoto, appunto, qualcosa che inseguiamo solo per affermare noi stessi».
Ma cos’è la bellezza, qual è il suo significato più autentico?
«È la cosa più inutile che esista, ma di cui non possiamo fare a meno. Senza bellezza perdiamo la nostra umanità, siamo ridotti allo stato di natura. E come insegna il mito biblico della caduta, lo stato di natura non è affatto il luogo da cui proveniamo, bensì quello in cui siamo stati cacciati. E dal quale perciò dobbiamo uscire. Ecco, la bellezza è lo scarto che c’è tra lo stato di natura e quel “di più” a cui siamo chiamati per essere davvero uomini. La bellezza è l’ideale che ci ricorda che non siamo fatti per vivere come bruti. È per questo che gli antichi la legavano al Bene e al Vero. Noi l’abbiamo dissociata».
E l’arte contemporanea come vive questo tradimento?
«Rifiutando la bellezza e tutto ciò che a che fare con l'armonia, la composizione luminosa, l' immagine. Penso a Beuys, che raccoglie delle pietre e le scarica sul pavimento: non perché scelte in base a qualche criterio estetico, ma in quanto pietre e basta. Oppure a Rothko, con il suo imprigionare frammenti di luce dentro a una tela nera che li inghiotte».
Non abbiamo dunque scampo dal pensiero unico di una bellezza autoreferenziale?
«Non tutto è perduto, anche perché la bellezza si dà in molti modi. Non esiste infatti solo la visione occidentale di proporzione formale, la bellezza può essere anche ad esempio pensata come bellezza del gesto: nei giardini giapponesi l’idea è quella di intervenire senza che l’intervento si veda, lasciando che la natura faccia ciò che deve. Altre forme di bellezza non ossessiva si affacciano nella nostra esperienza quotidiana, penso al piacere che proviamo nel servire una cena come si deve, nel disporre i fiori nel vaso in un certo modo. Il bello ci seduce e ci guida sempre, anche se noi lo tradiamo di continuo».
Cutri Fabio – Corriere della Sera del 3 maggio 2008.

La bellezza dev’essere mostrata, ostentata (nel senso di ‘ostensione’  e ‘di ‘osculum’ – bacio), se ne devono fare dei poster immaginari da avere sempre davanti agli occhi:
“Devi creare delle belle sensazioni e renderle intense e creare delle sensazioni motivanti e renderle intense. Devi farti immagini grandi, grandissime, non delle stupide immaginette minuscole e indistinte. Quelle non sono buone basi di una vita motivata, e con delle buone basi puoi vivere una vita davvero forte.” (Richard Bandler)

Prima di andare avanti, una sosta, sempre nell’ambito della ‘bellezza’ (la scrittura, se tale – non come semplice movimento della mano – è essa stessa bellezza). È fuori tracciato, ma, heideggerianamente, porta, su “sentieri interrotti”, alla lichtung (la ‘radura’ dell’esistenza). Consideratelo un beau geste letterario – non certo l'unico.

MARZO               
Ci incontriamo agli angoli delle strade. Poi saliamo nelle stanze e chiudiamo le finestre. Spegniamo le luci e accendiamo le nostre passioni. Col forcipe dello spirito recidiamo le sbarre dell’anima e liberiamo i nostri corpi. Stiamo in silenzio. Nessuno sforzo. Notti di marzo…
Ci incontriamo negli autogrill. Poi ripartiamo e torniamo nelle nostre alcove. Scendiamo solo per accendere l’aurora. Circonfusi dei suoi raggi, ci incontriamo al buio di case ignote alla città – centrali, periferiche, ma sempre lontane dal cicaleccio urbano. Gridiamo. Con strazio. Albe di marzo…
I luoghi che attraversiamo, che ingoiamo, sono sempre più reali, nella loro cupa irrealtà quotidiana. Luoghi dell’anima in città senz’anima. Spazi muti tra suoni vuoti, angoli dello spirito in cucine del ventre. Lì pasteggiamo a pane e champagne. Bisbigliamo. Nessuno sfarzo. Mezzogiorni di marzo…
Apriamo le finestre alla luna, le chiudiamo al sole, ma cerchiamo la luce. A volte piangiamo, a volte ridiamo, a volte danziamo, ma la sapienza è sempre la nostra compagna. E da camerata spavalda ci dà gran pacche sulle spalle e buffetti sulle guance. Combattiamo. Senza ambasce. Sciamiamo. Senza angoscia. Filiamo la tela. Facciamo follie. Andiamo a folle. Giorno e Notte.
(da "Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo?" inedito)

“Questi amanti incorporei s’incontrarono, un cielo nello sguardo, cielo dei cieli a ognuno il privilegio di contemplare gli occhi dell’altro.” (Emily Dickinson)

Ovviamente, la bellezza ha al suo seguito l’amore (non sempre), lo spirito (quasi sempre), l’uomo e la donna (qui il sempre confina con il mai).

«Sì, il primo attributo che Dio ha duplicato di sé nell’uomo è la bellezza. Essa riassume tutto: essere, divenire, libertà. La bellezza è apollinea – ossia, statica (se così si può dire) – ma anche dionisiaca, in movimento. E ci sono civiltà dionisiache e altre apollinee, come sosteneva Ruth Benedict, l’antropologa. E anche individui dionisiaci e apollinei. Ma anche né l’uno né l’altro. E così, non solo varia la concezione e l’applicazione del Bello, ma c’è chi ne è completamente all’oscuro. Al buio. Ma la Bellezza è luce! È mistica ed ebbrezza, suono e silenzio: la bellezza è lo specchio del divino. È la vera, inconfutabile, dimostrazione dell’esistenza di Dio! E qui ti cito, non solo Urs von Balthasar, ma pure il ‘tuo’ Jonathan Edwards. Detto papale papale – e qui il teutonico si sciolse in una risata mediterranea – la bellezza vivifica, la bruttezza deprime. La bellezza copre una moltitudine di peccati…»
Arianna, fino ad allora stupita al punto da rimanere inabissata nel silenzio più tombale, riemerse dall’avello, ruppe la guaina e, svelta, impugnata l’elsa, sfoderò il miglior doppio taglio (anche una bellezza sfolgorante).
«I primi cristiani mostravano la buona novella coi fatti. La bellezza doveva prendere il posto della bruttezza. Il buono era, di necessità virtù, bello. I cristiani apostolici e post ripristinavano, a parole e coi fatti, la bellezza, l’armonia, anche quando all’apparenza sembrava dissonante, dodecafonica. Guarivano le malattie e scacciavano gli spiriti. Tutti sintomi, lo si ammetta o no, della bruttezza. Combattevano gli ‘orchi’ con l’esorcismo (in seguito subentrarono le favole, oggi gli psichiatri e la tivvù). Lo psichiatra Scott Peck, bontà sua (o per bellezza), ha riscoperto il diavolo e l’esorcismo (non che fossero mai andati in pensione, specie il primo). Entrambi brutti, il primo a ‘vedersi’, il secondo a farsi. Ma quest’ultimo è un male necessario. Anche se da scacciare (il Male. Sì, inseguiamolo – visualizzazione creativa – fino a stancarlo e poi ammazziamolo. Oppure, finiamolo al primo colpo. Siamo o non siamo figli di Dio? Ma qualche volta occorre camminare al suo fianco, oppure osservarlo tranquillamente dalla propria ‘finestra’, come si guardano i passanti: prima o poi volterà l’angolo…).»
Arianna continuò per la sua strada. Voltò solo pagina.
«Il Brutto è dentro e fuori di noi. Rimarrai tu sola. Bellezza è Verità. Verità è Bellezza…”»
 (Da “Gocce di pioggia a Jericoacoara”) 

Sì, per dirla con John Keats, verità è bellezza. 
Chiudo con un passo di Céline citato nel film (Sorrentino me l’ha scippato – scherzo… dal mio “Prendi la PNL con Spirito!”):
«Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. […] è dall’altra parte della vita»

Insomma, dalle beauty farm alla Beauty Form...

Nessun commento: