IL CAOS HA PARTORITO LA SUPERSTAR DANZANTE (remix)
Ho visitato anch’io l’EXPO.
Sindrome di astinenza, voglia di chorus
line, nostalgia della Grande
Bellezza, o solo casus
belli (frutto del caso)?
Tutti e quattro. Ho semplicemente unito l’utile (un matrimonio in loco) al dilettevole (vida loca). In ogni caso, lasciando da parte ogni altra considerazione, il magical mystery tour mi ha rinfocolato la mai spenta passione per l’Architettura.
Tutti e quattro. Ho semplicemente unito l’utile (un matrimonio in loco) al dilettevole (vida loca). In ogni caso, lasciando da parte ogni altra considerazione, il magical mystery tour mi ha rinfocolato la mai spenta passione per l’Architettura.
E visto che questo
blog è nato come blog di Architettura (e affini, poi sopraffini, poi ancora oltre
confine), vi ripropongo un mio articolo ospitato, con tutti gli onori, da un paio di
blog di Architettura.
Penso che sia più che
mai attuale, in un periodo in cui il Caos, più che partorire la stella danzante, sembra abbia
partorito… non vado oltre: il nemico ascolta.
By the way, proprio ieri, invitato da mio fratello – lì per curiosità più che per causa, o forse per entrambi – sono andato a vedere la Sabina Guzzanti di “Come ne venimmo fuori” (proiezioni dal futuro). Che dire …co(s)mico (al di là di qualsiasi appartenenza politica, partitica o di casta): sembra proprio che nel 2041 saremo usciti, a passo di danza, dal Caos.
By the way, proprio ieri, invitato da mio fratello – lì per curiosità più che per causa, o forse per entrambi – sono andato a vedere la Sabina Guzzanti di “Come ne venimmo fuori” (proiezioni dal futuro). Che dire …co(s)mico (al di là di qualsiasi appartenenza politica, partitica o di casta): sembra proprio che nel 2041 saremo usciti, a passo di danza, dal Caos.
”La verità non è venuta
nel mondo nuda, ma è venuta in simboli ed immagini: il mondo non la riceverà in
altra maniera. C’è una rigenerazione e un’immagine di rigenerazione. Ed è
veramente necessario che si sia rigenerati attraverso l’immagine…” (dal Vangelo di Filippo).
“Gesù disse loro: Quando farete di due uno e quando farete che
l’interiore sia come l’esteriore e l’esteriore come l’interiore, e ciò che sta
sopra come ciò che sta sotto, e quando farete che maschio e femmina siano una
sola cosa, così che il maschio non sarà maschio e la femmina non sarà femmina,
e farete che occhi siano al posto di un occhio, e una mano al posto di una
mano, e un piede al posto di un piede, e un’immagine al posto di un’immagine, allora
entrerete nel Regno.” (dal Vangelo di Tommaso).
Verità, simboli, immagini… L’architettura è la ‘materializzazione’
(tekton) del ‘principio’ (arké), è il ‘rivestimento’ dell’’idea’ (la verità). E come si sa, l’abito non
serve solo a proteggere dal freddo, ma è anche ‘esibizione’ di sé… È quindi
naturale (è nella natura delle cose) che, a fronte di tanta architettura (o
solo ‘edilizia’) ‘organica’ o comunque ‘eteroreferenziale', ci siano “architetture
autoreferenziali, egomaniache, de-contestualizzate, sempre diverse le une dalle
altre ma tutte eguali nell’impossibilità di poter trovare un criterio di
giudizio se non di tipo esclusivamente individuale.” (Pietro
Pagliardini – in “La crisi
dell’archistar”, su Architettura
Moderna).
Architettura ‘bella’, architettura ‘brutta’? È nella natura delle cose… Il
problema è che, mentre un vestito lo si può togliere o eliminare tout-court, l’architettura ha anche, e soprattutto,
un corpo e l’eliminazione del suo
‘vestito’ quasi sempre non risolve il problema: l’impatto visivo e la risonanza
di un ‘fatto’ di architettura ‘disturbante’ può avere effetti, non solo sul
singolo passante o utente, ma anche, e soprattutto, sull’immagine e sull’idea di città; e il genius loci, sempre in allerta, può reagire rigettandola (a livello
subliminale probabilmente ciò può incidere negativamente in chi frequenta certi
luoghi, sommandosi così al ‘disturbo’ percettivo e ‘somatizzandolo’). L’unico
fatto positivo, sempre alla Kevin Lynch, è che un’architettura ‘esibizionista’
può fungere da riferimento e orientamento,
essendo un oggetto dello spazio velocemente identificabile anche a distanza.
Fatto è che l’architettura è soggetta anch’essa all’unità
triadica, e per questo conflittuale, tra Io,
Super-Io ed Es, ossia tra continuità e discontinuità nel tempo e nello spazio (integrazione o
dis-integrazione nel tessuto urbano), con l’Io
che dovrebbe fungere da ars combinatoria,
nel tentativo di contemperare la ‘fuga
da’ (fuga dalla ‘storia’, dalla ‘tradizione’, dall’’usuale’, ecc.) con l’’accanto a’ (contestualizzazione, integrazione)
e il 'verso' (il futuro).
Diceva Pierluigi Nicolin (in Lotus 1984/2): “L’architettura contemporanea va alla ricerca della figurazione in
aperta polemica con l’astrattismo degli anni passati; ma questo avviene in
quella circostanza che Lyotard ha chiamato la fine delle grandi narrazioni. Per
l’architettura si verifica un’altra più specifica circostanza, che possiamo
chiamare la fine della progettazione per modelli (nozione spesso confusa con
quella della tipologia). Una fine confermata anche dai progetti di architetti
che per essere legati a questo concetto sono costretti dai fatti a realizzare i
loro edifici come unità infrante …”
Firmitas, utilitas,
venustas, propinquitas… Fine
dei ‘modelli’, destandardizzazione, unità infrante.
La casa romana fu l’esito di complesse sedimentazioni e di ri-definizione
o ri-orientamento del significato stesso di ‘abitazione’. Ulteriori
sedimentazioni e articolazioni hanno attraversato tutta l’architettura fino a
oggi, in un connubio, non sempre felice ma comunque vitale, tra mythos e logos (il mito tace, il logos parla). Parole e silenzi, idee
senza parole…
Il mito è il ‘vivaio’ delle idee d’architettura, in quanto racconta sempre la stessa cosa – essendo la matrice di ogni forma culturale e simbolica, con forte valenza estetica – ma in modo sempre diverso.
Il logos, logos endiathetos (discorso interiore) e logos prophorikos (discorso proferito), è il tentativo dell’idea di farsi ‘fatto’, ‘evento’ ‘avvenimento’. Il mito è il ‘silenzio’ dell’architetto che, nel farsi parola, provoca la ‘scintilla’ (il ‘fiat lux’/Big Bang) che muta il Caos in Cosmos (il caos – nel ‘cuore’ dell’architetto – partorisce la stella danzante). Ma sempre più spesso si sentono balbettii, o urla…
Il mito è il ‘vivaio’ delle idee d’architettura, in quanto racconta sempre la stessa cosa – essendo la matrice di ogni forma culturale e simbolica, con forte valenza estetica – ma in modo sempre diverso.
Il logos, logos endiathetos (discorso interiore) e logos prophorikos (discorso proferito), è il tentativo dell’idea di farsi ‘fatto’, ‘evento’ ‘avvenimento’. Il mito è il ‘silenzio’ dell’architetto che, nel farsi parola, provoca la ‘scintilla’ (il ‘fiat lux’/Big Bang) che muta il Caos in Cosmos (il caos – nel ‘cuore’ dell’architetto – partorisce la stella danzante). Ma sempre più spesso si sentono balbettii, o urla…
Cade il ‘grande stile’,
o lo stile tout-court basato sulla concinnitas
(armonia, simmetria, equilibrio, eleganza, bellezza, proporzione). E si
batte la via della ‘dissoluzione della totalità’ e della sua ricostruzione
‘soggettiva’, caotica, disorganica (pur con la pretesa di puntare a un presunto
organicismo, ossimoricamente disorganico, della natura): ciò può partorire il ‘monstrum’ (nel senso, latino, di prodigio – i non molti capolavori in
circolazione – o, forse più spesso, di mostro
vero e proprio, nel senso comune del termine).
Ma perché tanti monstra? Dimostrazione
di bravura o desiderio di migliorare il mondo? Esibizionismo dal basso o lo
Zarathustra che scende dal mondo a portare i suoi doni? Più che altro, il
desiderio dell’architetto contemporaneo di abbracciare anche nel più breve
brano la totalità del mondo.
Se la sintesi medioevale lasciava spazio alla differenziazione (il tutto nel frammento) e la modernità assumeva la totalità indifferenziata, riflessa nel progressivo depauperamento e sradicamento dell'individuo (la sua dis-animazione), mentre il post-modern tutto dissolveva (e continua a dissolvere), in una tiepida liquidità scongelante, il nostro tempo (post-liquido? sublimato?) cerca una nuova solidità ‘sublime’ in costruzioni sempre più decostruite, in un funambolico vorticoso tentativo di ri-creare un nuovo ordine (s)oggettivo, frantumando così l’idea progettuale in un fantomatico (fantasmatico, talvolta fantastico) flusso di segmenti di realtà. In una società (post)liquida come la nostra l’architettura rischia, dunque, di perdere la sua ‘solidità’, senza per questo ‘sublimarsi’. Per dirla alla Spengler: ”idee senza parole è l’unica cosa che garantisce la solidità dell’avvenire”.
Se la sintesi medioevale lasciava spazio alla differenziazione (il tutto nel frammento) e la modernità assumeva la totalità indifferenziata, riflessa nel progressivo depauperamento e sradicamento dell'individuo (la sua dis-animazione), mentre il post-modern tutto dissolveva (e continua a dissolvere), in una tiepida liquidità scongelante, il nostro tempo (post-liquido? sublimato?) cerca una nuova solidità ‘sublime’ in costruzioni sempre più decostruite, in un funambolico vorticoso tentativo di ri-creare un nuovo ordine (s)oggettivo, frantumando così l’idea progettuale in un fantomatico (fantasmatico, talvolta fantastico) flusso di segmenti di realtà. In una società (post)liquida come la nostra l’architettura rischia, dunque, di perdere la sua ‘solidità’, senza per questo ‘sublimarsi’. Per dirla alla Spengler: ”idee senza parole è l’unica cosa che garantisce la solidità dell’avvenire”.
Educare l’uomo è impedirgli la “libera espressione
della sua personalità” ‘reagisce’ Nicolás Gómez Dávila, dall’alto della sua ‘turris
eburnea’. Nondimeno, ‘incatenando’ l’architetto, ‘educandolo’, si avranno città
forse vivibili, ma senza respiro ‘sacro’.
E io – e qui sto con Dávila – respiro male in un mondo non attraversato da ombre sacre…
E io – e qui sto con Dávila – respiro male in un mondo non attraversato da ombre sacre…
Nessun commento:
Posta un commento