domenica 30 ottobre 2016

URGENCY – Scappa scappa scappa: ma ‘ndo vai?



URGENCY
Scappa scappa scappa: ma ‘ndo vai?

Per tutto c’è il suo tempo: c’è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo. (Ecclesiaste 3,1).

Non è questo il momento per scappare. Certo, c’è chi fugge, a buona ragione, dalle case in fase di crollo, o già crollate (per poi spesso ritornarvi); c’è chi fugge dai problemi incombenti, dalla realtà travolgente (e risucchiante), dal presente spaesante e spiazzante, per rifugiarsi in un tranquillizzante passato mitico o in un eccitante futuro chimerico. Molto fumo e poco arrosto.
Sempre più sbucano dal suolo metropolitano, come funghi dopo un acquazzone, i copia-e-incolla dei tanti pseudo-manager fuma-fuma (anche solo mamme o babbi che portano il pargoletto a scuola), che impazzano per le strade sgommando come folli su SUV ingrifati, quasi dovessero correre a chissà quale appuntamento ‘capitale’. Oppure, altra faccia della medaglia, gli zombie zampettanti o caracollanti con smartphone incollato sul muso e la mano-mouse in perenne vibrazione.
Alla fin fine tutti stressati (e non sto parlando dello stress positivo – l’eustress – quello del primo bacio o della discesa su una pista di sci, se sei uno sciatore provetto, ma del distress: quello che ti logora la vita, ti avvelena l’anima e ti può condurre sul baratro).  
Ma ‘ndo vai?

A tutto stavo pensando stamattina, non certo alla fretta (forse alla quiete dopo la tempesta), specie dopo le ultime notizie “bomba” non ci sono solo le bombe d’acqua o di terra/aria/mare –, quando, nell’aprire il mio calendario quotidiano (Più che vincitori), è sopraggiunto, urgente, un senso irrefrenabile di calma (pardon per l’ossimoro). Sì, calma irrefrenabile… (come dire: ghiaccio bollente, fredda passione, pavido eroe).
Ma ecco, con lurgenza del caso, il messaggio di oggi del calendario cristiano, valido per tutti, specie al giorno d’oggi e non è retorica o buonismo, ma urgenza rasserenante.

Urgente: è una parola che viviamo giorno dopo giorno nella nostra agitata vita, ma che ci ha fatto perdere il senso delle priorità.
Urgente: è il giorno più povero che possiamo vivere, sapendo che il tempo trascorso non ci sarà restituito. 
Urgente è guardarsi per un attimo dall’esterno e chiedersi quale senso hanno le nostre azioni.
Urgente: è fermarsi per un istante a valutare quanto vali.
Urgente: è trovare il tempo, quando cammini per strada, di alzare lo sguardo e guardare il cielo, gli alberi, gli uccelli, la gente...
Urgente: è essere più umani, più fratelli e meno concorrenti.
Urgente: è alzarsi domani all’alba e vedere nascere il sole, sentirne il calore e ringraziare Dio per un regalo così grande.
Urgente: è fermarsi un attimo durante il lavoro, prendendo una boccata d’aria, lasciando riempire i polmoni e sentirsi vivi!
Urgente: è non permettere a nessuno di controllare il tuo tempo, i tuoi sentimenti e le tue emozioni.
Urgente: è guardare al passato, senza il rimpianto di non aver fatto qualcosa, sapendo di non poterla fare più perché sei vecchio.
Vivi, ama, fai del bene, sorridi, rallegrati, trascorri tempo con le persone che ami e sii attento ai loro bisogni. 
Fallo, ma oggi, non aspettare domani …è urgente.

Parole scontate, banali, ovvie? Forse, ma ci fanno nascere l’urgenza (a me per primo!) di tornare a essere Umani (figli di Dio, superiori agli angeli), e non semplici bipedi con smarphone come protesi e stampella quotidiana.
E oggi che è domenica, lascia tutto e ascolta il tuo Dio!

domenica 23 ottobre 2016

GOCCE DI PIOGGIA A JERICOACOARA – Lì dove batte il sole




GOCCE DI PIOGGIA A JERICOACOARA
Lì dove batte il sole

La baia danzante di una Pugnochiuso non ancora stile Bollywood, le spiagge infinite di Copacabana e Jericoacoara, la Manhattan ancora fumante da "Diavolo veste Prada": tutte legate da un filo rosso che tiene uniti passione, avventura e mistero. Un nastro sottile che, a ogni istante, rischia di essere tranciato dal filo tagliente degli eventi, ma che poi, magicamente, continua a riavvolgersi nello 'spin' del tempo: il '68 dell'immaginazione al potere e del "fou rire", gli anni '80 dell'Italia da bere, Nietzsche e Marx che parlano insieme al bar, Beyoncé, Rihanna, il Papa seduto al piano... Fino all'imprevedibile esito finale.
Nulla si fanno mancare Lorenzo, Gaia, Arianna, Tomàs, Julim, l'inquietante Galatea... Notte fonda a Jericoacoara, bagliori di luce nella Grande Mela: una galassia di "particelle elementari" filanti senza direzione e senso, staccatesi da quel magma incandescente che è la vita. Ma che poi, tra Taranto, Roma e Firenze, "terza stella a destra", cominciano a puntare dritte verso il traguardo.
(dalla quarta di copertina del mio Gocce di pioggia a Jericoacoara).

L’occasione di questa rivisitazione del mio romanzo tourbillon? La mia fresca chiamata a far parte del nucleo produttivo (nell’ambito prevalentemente della ‘scrittura’) di un nascente portale olistico (iRbuk – la libreria dei Rimanenti – i Rimanenti per il tuo diritto alla libertà). E nel richiamare i miei trascorsi (a futura memoria), ecco saltare un’intervista fattami all’epoca dell’uscita del mio romanzo (primo premio Emily Dickinson 2013) – parlo di epoca perché penso che concetti (il sottotesto) e “confetti” (la scrittura, lo stile) del romanzo possano andare al di là della mera quotidianità. Ma bando alle ciance e vai con quest’ulteriore chance – in un’epoca che sembra amare il cambiamento, purché non cambi veramente (l’essenza delle cose).  

Tratto dall’intervista di Silvia Barbato (su Terza pagina – trimestrale di editoria e cultura – maggio 2011).

Nasce per istinto romanziere, anche se diverse circostanze lo portano lontano da questo genere e verso la saggistica. Nicola Perchiazzi svela la sua prima passione pubblicando con Sovera Gocce di pioggia a Jericoacoara, un romanzo completo e ricco sotto ogni angolazione lo possiamo analizzare. Ci stupisce nella cifra stilistica multistrato con stili e livelli in continua evoluzione, nel movimento e nello spostamento, sì geografico ma soprattutto interiore, diviso tra la crescita e la voglia di restare fanciulli legati al proprio presente; alle sintesi sensazionali che uniscono il panta, pur evidenziano le singolarità, a cominciare dai protagonisti. Un romanzo che ispira voglia di sperimentare, di tentare e di evolversi in tutto e per tutto, sempre.

Questo è il suo primo romanzo. Cosa l'ha spinta a cambiare genere?
Non direi cambiamento, ma riaffermazione del genere ‘romanzo’. In effetti sono nato come romanziere, ma, pur credendoci molto, ho lasciato Gocce di pioggia a Jericoacoara nel cassetto per alcuni anni, cinque. Nondimeno, una scrittrice e pensatrice ‘borderline’, con cui ebbi un incontro/scontro sul web, avendo letto ampi stralci del romanzo ne fu così colpita che mi spinse a tenere sempre il ‘cassetto’ aperto…

Il Brasile è il protagonista della storia. Cosa la lega a questo paese?
Un legame antico, risalente agli anni ’70, ma legato più all’architettura che alle tradizioni o al folklore. Infatti, all’epoca, nell’ambito dei miei studi di ingegneria edile, m’innamorai della ‘scuola’ brasiliana, con il suo ‘stile’, per così dire ‘flessuoso’, armonico, sensuale, complice dei luoghi, della saudade e, insieme, alegria dei suoi abitanti. E poi la musica, sia nella versione ‘soave’ sia in quella jazz. E le sue spiagge, le sue baie, i suoni di quella lingua così intrigante.
Sì, come contraltare alla mia passione giovanile per l’India e, più ‘cinematografica’, per Bora Bora e spiagge cantando, quella per il ‘panciuto’ Brasile è da sempre una mia passione non tanto nascosta.

Quanto è importante per lei viaggiare?
Per dirla con Céline, riprendendo l’incipit del ‘settimo giorno’ del percorso di miglioramento peak performance del mio Prendi la PNL con Spirito!, potrei dire: “Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione (…) Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita.” Sì, i miei sono, innanzitutto, viaggi interiori, anche se, alla Salgari, più realistici del re… Non viaggi per scavare nell’inconscio – non li ritengo (Freud mi perdoni) utili – ma esplorazioni nei ‘mari interni’ e nel ‘deserto’ (qui e là delle oasi, anche qualche foresta). In ogni caso, il viaggio è per me, sì il tragitto, ma soprattutto l’arrivo. E la sosta, ma sempre in movimento…
Tante esperienze e viaggi sono serviti a dare sostanza a quello che sono, in definitiva, i miei veri viaggi – ripeto, viaggi interiori che, un po’ per ‘vocazione’, un po’ per intralci vari, hanno, spesso di necessità virtù, frenato i miei viaggi ‘esteriori’. Ma ora mi sento obbligato – obligado – a toccare con mano Rio, Jericoacoara e New York. Noblesse oblige.

Le storie che si intrecciano vedono protagonisti un gruppo di ragazzi. C'è qualcosa di autobiografico, o è pura fantasia?
Hai detto ragazzi. Giusto, i due protagonisti, per quanto a cavallo dei cinquanta, sono ancora dei middlescents, dei bambulti, dei ‘bambini adulti’: pieni di sogni, di ideali, di idee… Dei forever young. Sì, questo mi ‘appartiene’. Come pure, anche se con un po’ di ‘glosse’ e ‘cancellazioni’, il periodo sessantottino e post.
Le vicende sentimentali, rouge & noir (ma anche il ‘colore’ ideologico), sono in parte vere, in parte romanzate. C’è il solito intreccio tra realtà e reality (sai, la ‘civiltà dello spettacolo’...). Comunque, nel sostrato e nell’afflato ideologico, spirituale e filosofico, mi rispecchio in gran parte.

Qual è il messaggio che vuole che arrivi al suo pubblico attraverso il romanzo?
Il messaggio, come ben si intuisce, è ‘multilivello’.  Per dirla con quella ‘web friend’ (una che di scrittura ne capisce, anche se ideologicamente ‘scorrettissima’), il mio romanzo è: romanzo-rapsodia, fervido di vita e voci, di ritmi e canti e risa, dal profumo di ingenue aurore … vorticoso nel suo ritmo da derviscio tournant, vibrante di tensione e trepidazione, ossimorico nei suoi dolci contrasti, dalla scrittura vivace, geniale, estetizzante, ma tutt'altro che décadent, capace di affratellare Policleto e i Beatles. Un ‘panta rei’ entusiastico ed entusiasmante, un fluire di sapienze ed eresie, dall'oscillare inarrestabile, ebbro … una scrittura da giocoliere della parola e da funambolo della nuance.”
Quindi, tema di fondo, invogliare, specie i giovani, alla scrittura ‘creativa’, ossimorica, dai cambi continui di ‘registro, giochi linguistici e assonanze (sviluppano il ‘cervello destro’). E poi un ritorno ai grandi temi, al Pensiero Forte (anche quello Debole ha avuto le sue ragioni, di cuore): la ‘grande’ politica, la spiritualità, il mistero… Un nuovo Sessantotto in chiave rinascimentale e un po’ medievale, insomma. Ma aperto al Nuovo (che avanza – non gli avanzi di quello pseudo-nuovo che sembra ancora troneggiare sulle nostre tavole, mediatiche e familiari).
In definitiva, un tentativo di ‘nuove sintesi’. E una ‘visione’. E per questo l’ossimoro e l’eclettismo – ma in senso creativo e critico – la fanno da padroni nel romanzo. Che le ‘gocce di pioggia’ diventino un acquazzone…

Ha già in vista nuovi progetti editoriali?
È chiaro che l’appetito vien mangiando. Se prima pensavo di insistere nel filone ‘saggi’, ora è chiaro che la mia passione fou preme underskin perché scriva un altro romanzo. Ma questo senz’altro più slim del primo, molto in ciccia (ma balla bene…). E poi, un po’ di carne già coceva. Si tratta di aggiungere un po’ di contorni, frutta e molte, molte spezie. Ci sarà molto vissuto e molta fantasy, ideologia e humour, ma vorrei farlo ancor più magical mystery tour, sia pure più ‘porta a porta’. Mi sa che sarà, non dico un thriller, ma sempre un po’ noir. Penso a un ‘giallo’ filosofico-politico, un po’ alla Fight Club, diciamo. Un romanzo sneakers e tacchi a spillo...

venerdì 21 ottobre 2016

IL RIBELLE – Cosa bolle in pentola



IL RIBELLE
Cosa bolle in pentola

Partiamo da Clint Eastwood. Lasciamo solo Clint (e la sua colt). Passiamo poi, sull’altra sponda, a Rupert Everett. Ma anche a Rupert Murdoch, per alcuni versi sulla stessa onda politica di Clint. E anche qui lasciamo solo il nome: Rupert.
Facciamo una crasi (o craxi?) tra Clint e Rupert, modificandola un po’, anche geneticamente, ed ecco, da un lato la Clinton dall’altra Trump: una conservatrice ribelle e un ribelle conservatore (o viceversa; oppure, un po’ dell’uno un po’ dell’altro, con un bel po’ di additivi).
Un inizio un popo’ sgangherato per introdurre alcuni concetti e definizioni: quelle di ribelle, identico, identarismo, false identità…
Tutto nasce da un articolo – sul blog Barbadillo – di Alain de Benoist, filosofo e scrittore francese, tra gli animatori, a partire da fine anni’60, del movimento Nouvelle Droite (Nuova Destra). Ecco un estratto (valido per tutti, al di là delle appartenenze o simpatie ideologiche Destra – Sinistra, anche Centro). Il grassetto e i corsivi sono miei.

Dovendo intervenire in una discussione dedicata all’idea di ribellione, la prima delle cose da fare è senz’altro quella di interrogarsi sulla definizione del ribelle, e il miglior modo di farlo è forse quello di paragonare la figura del ribelle a due altre figure, il cui nome comincia tra l’altro con la stessa lettera: il rivoltoso e il rivoluzionario. Queste tre figure hanno indubbiamente degli aspetti in comune. Il ribelle, il rivoltoso e il rivoluzionario, per esempio, incarnano tutti e tre una legittimità che si oppone alla legalità dell’ordine costituito. Ma tra di loro vi sono anche delle differenze.
Il rivoltoso appartiene senza alcun dubbio a tutte le epoche, e il nostro passato ne è testimone. La storia della Francia e dell’Europa può infatti leggersi come un susseguirsi quasi ininterrotto di rivolte popolari, movimenti di protesta e insurrezioni. (…)
Naturalmente le rivolte non sono una prerogativa dell’Ancien Régime, ma sono continuate anche nel periodo repubblicano, e ciò è un segnale di come l’avvento dell’ideologia dei diritti umani non abbia per nulla cambiato le cose. Quest’ultima, universalizzando alcuni valori particolari, ha messo fine a certe oppressioni, ma in compenso ne ha da subito suscitate delle nuove; preoccupandosi degli individui, si è disinteressata delle comunità e dei popoli (…).
Il rivoluzionario appare invece in circostanze storiche molto particolari. Rispetto al rivoltoso, presenta soprattutto due grandi tratti caratteristici: da una parte è dotato di una coscienza ideologica molto più forte, dall’altra manifesta un’esigenza di trasformazione molto più radicale. Ecco perché si oppone a ciò che considera come puramente istintivo, se non ingenuo, nella semplice rivolta. Ed ecco perché, allo stesso modo, rifiuta ogni riformismo, contrapponendo all’ideologia dominante una visione del mondo diversa. In questo senso, il rivoluzionario è una figura della modernità (…).
Tuttavia, accanto ai rivoltosi ed ai rivoluzionari, ci sono anche i dissidenti, i liberi pensatori e i non credenti, i fondatori di samizdats ante litteram, le vittime dei cacciatori di streghe e dei tribunali della Santa Inquisizione, tutti coloro che nel corso della storia sono stati perseguitati, censurati, imprigionati per anticonformismo rispetto alle ortodossie del momento (…). Tutti questi sono già dei ribelli, e continuano ad esistere al giorno d’oggi. Sono coloro che disturbano, coloro di cui i guardiani del pensiero unico hanno deciso di non parlare; se non sono imprigionati, sono messi al bando. Le loro pubblicazioni sono a malapena tollerate, in ogni caso emarginate, condannandoli in questo modo alla morte mediatica e sociale.
Alla pari del rivoltoso, il ribelle rifiuta l’ordine dominante del mondo in seno al quale è stato gettato. Come il rivoluzionario, lo rifiuta in nome di un altro sistema di valori, di una concezione del mondo che trova in se stesso e di cui si fa portatore. Tuttavia, al contrario del rivoltoso o del resistente, il ribelle trae innanzitutto da se stesso ciò che anima il suo atteggiamento. La rivolta è legata ad una situazione, ad una congiuntura che ne è la causa, e si spegne nel momento in cui tale causa sparisce e la situazione cambia. La ribellione invece non è legata solamente alle circostanze, ma è di ordine esistenziale. Il ribelle sente fisicamente ed istintivamente l’impostura. Rivoltosi si diventa, ma ribelli si nasce.
Il ribelle è ribelle perché ogni altro modo di esistere gli è impossibile. Il resistente cessa di resistere quando non ha più i mezzi per farlo. Il ribelle, anche in prigione, continua ad essere un ribelle. Ecco perché se può dirsi perdente, non può mai dirsi vinto. Non sempre i ribelli possono cambiare il mondo. Ma mai il mondo potrà cambiare i ribelli. (…)
Il ribelle è fatto per la lotta, sia essa anche senza speranza. Il ribelle si sente straniero al mondo che abita, ma senza mai smettere di volerlo abitare: sa che non si può nuotare contro corrente se non a condizione di non abbandonare mai il letto del fiume. La distanza interiore che lo caratterizza non lo conduce a rifiutare il contatto, poiché sa che il contatto è necessario alla lotta. E se fa «appello alle foreste» per riprendere un’espressione conosciuta, non è per rifugiarvisi – anche se spesso è in esilio –, ma per riprendere forza.
D’altra parte, scrive ancora Ernst Jünger, «la foresta è dappertutto. Ci sono foreste nel deserto così come nelle città, foreste in cui il Ribelle vive nascosto dietro la maschera di qualche professione. Ci sono foreste nella sua patria, così come in ogni altro suolo in cui si può concretare la sua resistenza. Ma ci sono soprattutto delle foreste nelle retrovie del nemico». Se ciò che distingue il rivoluzionario è la volontà di raggiungere uno scopo, il ribelle incarna innanzitutto uno stato d’animo ed uno stile. Ciò non toglie che sappia anche fissarsi degli obiettivi (…).
Contro che cosa ci si deve ribellare al giorno d’oggi? Di fronte all’ascesa del pensiero unico, di fronte al gonfiarsi di un’onda straordinaria di ciò che non esitiamo a chiamare il conformismo planetario, di fronte alle diverse patologie che affliggono le nostre società, di fronte alle varie minacce che su di esse gravano e che oscurano il loro avvenire, non c’è che l’imbarazzo della scelta.
 
E tu, di fronte alla mondializzazione, alla globalizzazione, all’indifferenziato, alla melassa dei luoghi comuni, da che parte stai? Sì sì o no no? 
Sei un uomo comune, un luogo comune, o un differenziato? Turbi, o disturbi? Sei turbo, biturbo o un tubo?
Identità, false identità, costituzione, de-costruzione, elogio delle differenze e, tuttavia, pari opportunità per tutti. Ma essere differenti, diversi, non deve diventare lo standard…
By the way, lo sapevi che anche Gesù era un ribelle?