domenica 16 ottobre 2016

DYLAN (Tra dog e god)



DYLAN
Tra dog e god

«Città irreale/Sotto la fosca nebbia di un’alba d’inverno/Una folla traboccava sul London Bridge, tanta/Ch’io non credevo che morte tanta ne avesse disfatta».
Ascoltando l’ultimo album di Bob Dylan (Modern Times) vengono in mente i versi del più grande, insieme a Ezra Pound, poeta del Novecento: il Thomas Eliot de “La sepoltura dei morti”. Opera che apre la straziante canzone de “La terra desolata”. Senonché Dylan non canta l’angoscia della borghesia, dove «le donne parlano di Michelangelo» e dell’umanità che ha fondato la civiltà occidentale. No, Dylan, in questa sua ultima opera, che è un insieme di canzoni che ricordano i salmi, ricordano le melodie dell’ebraismo e del cristianesimo più intimamente vissuto, egli canta la vita e la desolazione della classe operaria nordamericana con una prospettiva universale (…). E lo fa con un continuo ascendere verso la meditazione religiosa e il mescolare tale meditazione con la quotidianità più prosaica, come era appunto proprio di Eliot (..). Viviamo in tempi difficili, dove dopo «La terra desolata» non c’è che il deserto cognitivo del nuovo che avanza (…).

Questo un excerptum dall’articolo (magistrale) di Giulio Sapelli  su “Il Messaggero” del 14 ottobre, a cui aggiungerei un’ulteriore citazione da “La Terra desolata”: 
Quel cadavere che piantasti l’anno scorso nel giardino, ha cominciato a germogliare? Fiorirà quest’anno? O l’improvviso gelo ha turbato il suo letto? Oh tieni lontano di qui il Cane, che è amico degli uomini, o con le sue unghie lo dissotterrerà!

Noi essere umani, se rigenerati dallo (e nello) Spirito, possiamo disotterrare i morti, far rinascere le cose morte (e sepolte), far fiorire e rifiorire i nostri desideri. Possiamo puntare al Nobel... (andando ben oltre il deserto cognitivo del nuovo che avanza”; anzi, che è avanzato, avariato, cariato: Il deserto cresce: guai a chi cela deserti dentro dentro di sè! Friedrich Nietzsche).
E questo Dylan l’ha detto e stradetto. Altro che andiamo a comandare… (il cui succo – ma anche lo specchio di una certa realtà – è: Ho un problema nella testa, funziona a metà, ogni tanto parte un suono che fa…). 
Non ci resta che ridere (e cantare). Hey, mister tambourine, man play a song for me!





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