sabato 10 giugno 2017

THE SOUND OF SILENCE

THE SOUND OF SILENCE

And in the naked light I saw
ten thousand people maybe more
people talking without speaking
people hearing without listening
people writing songs that voices never share
noone dare, disturb the sound of silence
E nella luce pura vidi
migliaia di persone, o forse più
persone che parlavano senza emettere suoni
persone che ascoltavano senza udire
persone che scrivevano canzoni 
che le voci non avrebbero mai cantato
e nessuno osava, disturbare il suono del silenzio

Riprendo, dopo una sosta “epoché”, le pubblicazioni. Oggi è giorno di silenzio elettorale e vorrei tacere. Ma c’è ancora vita sulla terra… e anche morte. Sempre più sembra valere il “mors tua vita mea” (ma c’è sempre stato, sin dai tempi di Caino).
Silenzio, vita, morte… E allora, in attesa della vera “ripresa”, ripesco qualcosa dal mare magnum di Gocce di Pioggia a Jericoacora, lì dove la “politica” tende a farsi “metapolitica” (oggi c’è metà politica e metà ritorno al “paleolitico”, comunque lo si intendi).

“Vita, morte, la vita nella morte. Morte, vita, la morte nella vita. Noi col filo, col filo della vita nostra sorte filammo a questa morte.” Lorenzo amava la vita, ma non ferocemente, disperatamente. Non ci teneva proprio a fare, alla Michelstaedter, la crisalide o, come suprema trasgressione, alla Pasolini, il tuffo nella morte, il grande nulla lucente. Anche se, tra camerati, si diceva: “chi divide pane e morte non si scioglie sulla terra.”
Non voleva essere, alla Céline, una scheggia di luce che finisce nella notte. Né come il suo compagno di appartamento (di Carrara, anarchico di marmo – allora c’era un coacervo di colori, amicizie, rivalità, con il confine tra odio e amore spesso labile –, ma pronto a sciogliersi al primo colpo), finito nel vortice della droga senza neppure tirare la catena (con quanta struggente nostalgia Lorenzo ricordava la sua voce roca e la sua chitarra stoica modulare, all’unisono, il suo autobiografico canto d’amore: Non gettarmi in pasto i tuoi sedici anni, te li divorerei…). Lui voleva essere – questa volta Michelstaedter andava bene – un ‘persuaso’: colui che non dipende dal mondo e dalle circostanze, ma solamente da se stesso. Non un essere-per-qualcuno, ma, detto senza retorica, un-essere-che-basta-per-sé, la sintesi suprema di conoscenza e azione.
Vita, morte, la vita nella morte. Morte, vita, la morte nella vita. Sì, c’era un montante interesse per la morte negli anni Sessanta (e il suo compagno cantautore si era fatto contagiare, acidamente). “Passa la gioia, passa il dolore, accettate la vostra sorte, ogni cosa che vive muore e nessuna cosa vince la morte … spegnete l’infausta brama che vi trae dal retto sentier.”
Cupio dissolvi… Morte borghese, morte burina, ma anche morte ‘ariana’, nella ‘buriana’, come quella del Ce ne freghiamo! cantata da Mario Castellacci nel suo fascistissimo Men Sing (a proposito, anche Women sing: “E un cuor di donna vi farà la corte, che vi ha seguito sotto la mitraglia, un cuore che disprezza gli imboscati!”).

Neo-scapigliatura, post-esistenzialismo, panna montata, yoghurt sempre più inacidito? Lui era nella ‘terra di mezzo’, nel Giardino dei Supplizi. Lì dove il latte s’infratta col miele. Lorenzo, kalós kaí agathós, bello e d’indole buona, non mieloso, però, né lattiginoso, amava sin troppo il mondo, ma non voleva divorarlo, né farsi sbranare da esso: voleva solo riempirlo di senso. “Voleva costringere il proprio caos a diventare forma.” E ne trasse le debite conclusioni e cambiò (non di molto) rotta (scampando alla catastrofe della ‘peggio gioventù’ post-sessantottina, quella annegata coi suoi ideali e le sue utopie).
Novello san Paolo corsaro in viaggio verso Roma, buttò a mare la zavorra carnale (e il ‘tutto è politica’, dogma allora irrinunciabile – ma poi risalì a galla, alleggerito) e alzata la vela maestra si lasciò andare al vento dello Spirito. E volò. Volle andare, alla D’Annunzio, verso la vita. Non solo anticonformismo, radicalità e rivoluzione, ma impulso e anelito verso la trascendenza.
“Temo che non ci libereremo di Dio perché crediamo ancora nella grammatica...” Del resto, dal senso profondo di quel suo fascismo ‘idealitario’ (un po’ idealistico, un po’ elitario e, raschiando il fondo del barile, anche un po’ social-compassionevole), aveva attinto l’essenza mistica – l’orizzonte dello Spirito –, porta d’accesso alla quarta dimensione (metafisica) dell’esistenza. Ben oltre il Crepuscolo degli idoli, Lorenzo, l’’illuminista romantico’ hippy-dandy-sessantottino (un ossimoro al cubo), aveva recuperato – sia pure con affanno – l’afflato religioso alla vita. E surtout, la consapevolezza di un telos, di un destino da compiere. Il Satya Yuga era vicino…
Un fiume in piena, Lorenzo, l’ardito, l’esoterico kalós kaí agathós (repetita iuvant) amante dell’esotico. In cerca dell’oro nel Kaly Yuga. E ne aveva trovato un filone. Da Massimo Scaligero a Julius Evola (Lorenzo: evoliano sì, ma pure – ossimoricamente evoluto – femminista), passando per Che Guevara (idolo di una certa destra radicale, non dimentichiamolo…), sino, ultima Thule, a Burne-Jones.
Eretico ed erotico. Nietzsche, il salato, sciroppato con l’amaro Schopenhauer. E poi, dopo il latte cagliato, il salto della quaglia. Dalla lotta di classe alla latta di glassa virtualmente gettata dal pittore preraffaelita in faccia a Oscar Wilde: “Più la scienza diventa materialistica, più io dipingo gli angeli: le loro ali sono la mia protesta in favore dell’immortalità dell’anima.”
Sì, gli angeli – perché quest’intromissione alata ora che Lorenzo nuotava come un pesce?, proprio loro, i messaggeri invisibili che danno corpo ai nostri desideri, mandati a servire gli eredi della salvezza, a portarli sul palmo della mano, perché il loro piede non inciampi in nessuna pietra.
L’angelo necessario di Massimo Cacciari (Lorenzo aveva un debole per il filosofo delle calli, ci aveva fatto il callo), indispensabile per la realizzazione dell’uomo e per la piena comprensione di sé. Ma anche gli angeli ‘calligrafici’ di Wim Wenders, queste ali di Dio che nel film cult Il cielo sopra Berlino si fan sotto per conoscere le angosce degli uomini, che essi spiano per strada, inseguono nei negozi, rincorrono fin nelle biblioteche.
Gli angeli, queste eteree figure che aiutano l’uomo a ‘disvelare’ l’invisibile e a rendergli possibile l’accesso alle regioni (e ‘ragioni’) nascoste della Realtà. E che, con un’ala in cielo e l’altra sulla terra, amano infilarsi nelle crepe del muro divisorio tra spazio-tempo umano (chronos) e spazio-tempo oltre-umano (aion), per aiutarci a darci una mossa…




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