mercoledì 14 febbraio 2018

AMOR OMNIA VINCIT – ALL YOU NEED IS LOVE


AMOR OMNIA VINCIT

ALL YOU NEED IS LOVE

“Questi amanti incorporei s’incontrarono, un cielo nello sguardo, cielo dei cieli a ognuno il privilegio di contemplare gli occhi dell’altro.” (Emily Dickinson).
San Valentino: l’amore che tutto vince… The power of love. Love is Power.  Oggi (e non solo) celebriamo l’inno all’amore (da san Paolo in poi …e prima).
L’amore è incantamento, incanto, charme…

Gli dèi hanno abbandonato l’uomo e il mondo ha perduto il suo incanto. Ma Dio c’è…
In tempi di disincanto – lo cunto de li cunti – dobbiamo arrabattarci con i barattoli dello sbaraccamento quotidiano (sempre meno vestiti di marca, sempre più cibi in via di scadenza, sempre più bollette scadute) e dello stravaccamento dei media.
Sempre più vacche magre: siamo ormai nella «notte in cui tutte le vacche sono nere».
Le nostre riflessioni su ciò che accade intorno (e dentro) a noi si rivelano incapaci di cogliere la contraddittorietà e complessità del reale (la banalità del quotidiano e la “banalità del male” – v. il trucido omicidio di Pamela, che si vorrebbe sotterrare al più presto…), senza peraltro riuscire a cogliere i bagliori dell’”oltre”, del Divino, dello Spirito (che per i più, col naso abituato ai loro “odori” quotidiani, è solo aria fritta.).
E tuttavia, più è buio più rifulge la bellezza. E questo vale, soprattutto, ora – anche se non è l’età dell’oro, semmai del ferro (ormai arrugginito: vedi ILVA) o del silicio (Silicon Valley e siliconate varie e avariate). D’altronde, “I Vangeli e il Manifesto del partito comunista sbiadiscono; il futuro del mondo appartiene alla Coca-Cola e alla pornografia.” (Nicolás Gómez Dávila).
Eppure, “è sufficiente che la bellezza sfiori appena il nostro tedio, perché il cuore ci si laceri come seta tra le mani della vita” (sempre Dávila).
Il mondo, scriveva ne «L’idiota» Dostoevskij, sarà salvato dalla bellezza. Una profezia che sembra ormai essersi rovesciata. Perché il culto della bellezza – sfruttata dal mercato, amplificata dai media, ostentata dal potere – produce un mondo che non è mai stato tanto brutto (ma ci sono tante eccezioni, a dire il vero, solo che non vengono propagandate. Tutto sembra a binario unico – quello del “politicamente corretto” e della “distrazione di massa”).

Esiste, allora, una via d’uscita da un simile nichilismo estetico (ed esistenziale)? E non parlo del nichilismo, con un suo senso, di filosofi e pensatori di fine Ottocento.
«Non c'è più tempo», sembra suggerire il titolo dell’ultimo romanzo del filosofo Sergio Givone. Ma non tutto è perduto – assicura l’autore, perfettamente a suo agio nella doppia veste di filosofo e scrittore.
Professore, che rapporto ha la nostra società con la bellezza?
«Ossessivo e compulsivo, direi. A tal punto da ritenere che solo ciò che è bello abbia valore, sia degno di essere apprezzato, comprato, votato. Siamo tutti vittime di questo abbaglio. Perché si tratta di un’idea di bellezza vuota che si concretizza nel trionfo del brutto. In questo senso, più che salvare il mondo, la bellezza sembra averlo condannato».
Come si è imposta una simile ideologia?
«La bellezza muore quando perde il legame con ciò che è buono e con ciò che è vero. E se non è più capace di fare cenno ai valori etici e morali diventa un guscio vuoto, appunto, qualcosa che inseguiamo solo per affermare noi stessi».
Ma cos’è la bellezza, qual è il suo significato più autentico?
«È la cosa più inutile che esista, ma di cui non possiamo fare a meno. Senza bellezza perdiamo la nostra umanità, siamo ridotti allo stato di natura. E come insegna il mito biblico della caduta, lo stato di natura non è affatto il luogo da cui proveniamo, bensì quello in cui siamo stati cacciati. E dal quale perciò dobbiamo uscire. Ecco, la bellezza è lo scarto che c’è tra lo stato di natura e quel “di più” a cui siamo chiamati per essere davvero uomini. La bellezza è l’ideale che ci ricorda che non siamo fatti per vivere come bruti. È per questo che gli antichi la legavano al Bene e al Vero. Noi l’abbiamo dissociata».
E l’arte contemporanea come vive questo tradimento?
«Rifiutando la bellezza e tutto ciò che a che fare con l'armonia, la composizione luminosa, l' immagine. Penso a Beuys, che raccoglie delle pietre e le scarica sul pavimento: non perché scelte in base a qualche criterio estetico, ma in quanto pietre e basta. Oppure a Rothko, con il suo imprigionare frammenti di luce dentro a una tela nera che li inghiotte».
Non abbiamo dunque scampo dal pensiero unico di una bellezza autoreferenziale?
«Non tutto è perduto, anche perché la bellezza si dà in molti modi. Non esiste infatti solo la visione occidentale di proporzione formale, la bellezza può essere anche ad esempio pensata come bellezza del gesto: nei giardini giapponesi l’idea è quella di intervenire senza che l’intervento si veda, lasciando che la natura faccia ciò che deve. Altre forme di bellezza non ossessiva si affacciano nella nostra esperienza quotidiana, penso al piacere che proviamo nel servire una cena come si deve, nel disporre i fiori nel vaso in un certo modo. Il bello ci seduce e ci guida sempre, anche se noi lo tradiamo di continuo».
(Cutri Fabio – Corriere della Sera del 3 maggio 2008).

La bellezza dev’essere mostrata, ostentata (nel senso di ‘ostensione’  e ‘di ‘osculum’ – bacio), se ne devono fare dei poster immaginari da avere sempre davanti agli occhi:
“Devi creare delle belle sensazioni e renderle intense e creare delle sensazioni motivanti e renderle intense. Devi farti immagini grandi, grandissime, non delle stupide immaginette minuscole e indistinte. Quelle non sono buone basi di una vita motivata, e con delle buone basi puoi vivere una vita davvero forte.” (Richard Bandler).
E allora, vivi la bellezza… La puoi trovare in varie forme, non solo nelle beauty farm…

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