sabato 4 agosto 2018

BRIDGE OVER TROUBLED WATER


BRIDGE OVER TROUBLED WATER.

    Bridge over troubled water. Sono un ponte sospeso sul mondo (e con i piloni fondati sull’abisso – e non faccio ancora parte dello star-system). Miro (al)le stelle (specie poi da quando sono approdato su certi ‘siti’: dapprima, quello di Miro; poi sempre più in alto, li dove danzano le spade e infierisce il cultro). L’uomo, ‘pontiggia’ Pennac, “scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché è solo…” E io voglio essere immortale e libero come uno steppenwolf. Ma cerco compagnia…
    Avrei potuto farmi anch’io il mio blog. Avrei trovato compagnia (Miro non c’era più, aveva lasciato il web, non so fino a quando: ero io il destinato a prenderne la torcia?). Avrei potuto scrivere quanto e quel che volevo. A ruota libera. E se foravo? Kissenefregava. Me ne sarei impipato dell’editore (non ne avrei avuto la necessità). Libero, senza controlli, senza censure… Alla Céline, l’irregolare, a costo dell’altrui disdoro: “Contro di lui tutto è permesso, la muta non demorde.” Ma ho staccato la spina (dal web) già prima di infilarla nella presa (internet non mi ha mai veramente preso, se non di necessità virtù. Ma ora il vento è cambiato e soffia dove e come vuole…). Non sono un professionista della scrittura (ma al blog di ‘psico-filo-teo-scrittura creativa’ – Dal caos la stella danzante – ho dato il mio fiat). Come Cioran, non voglio rinunciare al mio ‘dilettantismo’. “Se fossi costretto a rinunciarvi è nell’urlo che vorrei specializzarmi.” E non sono un vizioso, e poi… avrei sprecato troppo tempo online: io devo scrivere, scrivere, scrivere… Ma su carta (fosse pure carta carbone, o velina – quest’ultima mi dava più chance).

    “Via le scarpe basse, via le orride ballerine, via gli stivali rasoterra. Da oggi solo altezze aeree. Da oggi si sale su, ci si slancia e si ondeggia e si affonda di più sul cemento. Ché anche la musica la segui meglio e i capelli scivolano ondosi e la gonna trova quel perfetto punto della gamba in cui fermarsi e i tendini sparano in su e senti che potresti, davvero, arrivare dovunque, e tutti lo noterebbero, che arrivi. Le ginocchia così meravigliosamente elastiche. E la caviglia, sì, bellissima riflessa nello specchio del negozio sotto casa, fra il nero e la luce del sole e dell’ombra.”  Anche se non porterò mai la gonna (mai dire mai…), ne ho avuto conferma dal blog di tal Gaia (nomen est numen – e poi di dee ne conosco un paio): devo volare alto, a costo di scivolare.
     “La punta pivottante si sradicò dalla curva superiore, ruotando di novanta gradi fino a toccare la superficie d’appoggio, per poi rotolarvisi sopra e scomparire nel buio. Senza rumore. Priva dello stiletto, la sovrastruttura eccentrica venne meno, atterrando non priva di grazia sulla pista ancora pulsante di vita superiore. Con rumore.
Marzia si rialzò e riprese il breve viaggio, recuperando lo svantaggio sulle altre ragazze. La musica degli Oasis, eccessiva ma energizzante, continuava a martellare. Compulsiva, più un tapis roulant che un tappeto sonoro. Ma era quella giusta – concordia discors – per l’ora e la controra. Chiodo scaccia chiodo.”

     Splash. Rischiavo, sì, il naufragio (ormai ballavo da solo – diaballein), ma volevo navigare nelle acque del logos. Con il simbolo come ciambella di salvataggio. Helzapoppin’. Onda su onda, tra zapping e spleen, schiuma di saudade e folate di stimmung. Ma anche con un occhio (il terzo) al futuro adveniente. New moon o eclipse? Cercavo il sole sorgivo e continuavo a fantasticare nella twilight zone (lì le acque mi sembravano più calme) “… dove attorno a me non c’era nessuno. Nessun ricordo. Odio i ricordi. Odio amare. Ho sognato un destino diverso.”.
     “Quello che veramente ami è la tua vera eredità, strappa da te la vanità … cerca nel verde mondo quale posto possa essere il tuo … strappa da te la vanità … sei un cane bastonato sotto la grandine, un’ortica rigonfia in uno spasmo di sole, metà nero metà bianco … strappa da te la vanità, ti dico strappala…” Vagavo nel buio come un caino segnato (e trasognato), nei coni d’ombra terracquei e nelle atre profondità plutoniche (la Santacroce come Virgilio – ma io la tradivo con le altre). Anche a costo di inciampare, scivolare, impaludarmi, scontrarmi con il treno del presente. Del resto, per dirla alla Céline (quello dei puntini di sospensione), il lato teatrale del disastro mi entusiasmava. Sì, mi spingeva verso nuove thule (prima c’erano state solo tulle, pizzi, fiori artificiali). Piccoli scrittori crescono.

    ”Recatemi i vostri poveri, i vostri infelici, tutti coloro che vorrebbero respirare liberamente, i tristi relitti delle vostre rive sovrappopolate. Inviatemi i senza-casa, le vittime della tempesta: la mia fiaccola li guiderà sulla soglia delle porte d’oro.” Porte di corno, d’avorio, d’oro. Non era solo questione di sogni. Occorreva un cambiamento di segno. Signum aeternitatis.
     Volevo uccidere la noia, tirare il collo alle mie paure… Tiravo calci alle porte per entrare nella vera conoscenza (la Sofia di Lorenzo) e succhiarne il midollo (fino ad allora – prima dell’ultimo tocco al libro – ero in ammollo, molliccio, mieloso: eppure, in me urgeva, sia pure mignon, l’Übermensch).
     ”Meglio essere un delinquente che un borghese” aveva dichiarato lapidariamente il giovane Ernst Jünger. Prima pietra. La seconda: “…e mentre io guardo la tua pace, dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.” Conclusione (foscoliana. Ai limiti del fosco, e del bosco): si svegliò guerriero. E Lorenzo, leopardato e jeopardized, iniziò a tirare le pietre (e non era brutto…).

     E poi solo i delinquenti sanno far bene all’amore… (direbbe, eretica, l’eterea arya, librettista dell’eros sublime). Non delinquo, nemmeno sdilinquisco – e non giaccio nemmeno in deliquio: sto sulla diaccia (o ignea?) linea di confine tra mondo e iper-mondo (per il momento ‘inter-loquisco’). Sarò stato metrosexual (nella recherche nottaiola, meno in quella vitaiola), ma non sognavo Beckham. La rete non mi ha mai veramente preso (me lo ripeto spesso, per non farmi irretire). Specie ora che sono per la penna: un indiano metropolitano indeciso tra gli sneakers e i tacchi a spillo.
     Nietzsche… Da Antigone all’antagonismo urbano: volevo buttarmi nell’agone (per imbucarmi poi nei portici e scivolare nei salotti al caviale – glisso sugli stadi: la curva non me gusta). “Se sapessi veramente scrivere, potrei realizzare qualcosa che uccidesse tutti quelli che la leggano.” Burroughs, Heavy Metal, Soft Machine. Tutti in macchina. Volevo liberare il mondo dalla storia. Non voglio essere un notaio dell’esistenza, ma il profumiere dell’essenza.

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