martedì 24 dicembre 2019

CHRISTMAS SONG . Maschere, incenso e mirra


CHRISTMAS SONG
Maschere, incenso e mirra

Ventuno dicembre, solstizio d’inverno. Ventuno grammi: il peso dell’anima. "... se la psiche è l’anima, e l’anima è il mondo della nostra esperienza, come sostiene Aristotele, essa ci fa paura. Non ne vogliamo troppa o troppe varietà. La vogliamo ridotta a percezione e a immaginazione terrene, niente sogni a colori". (R. D. Laing).
Anima disanimata, parole senz’anima. Questo spesso è lo ‘spirito’ del Natale. Ma il Natale può essere altro, e ‘oltre’: anche ultra (o ultrà). L’importante è che dietro lo specchio delle parole ci sia un’anima. Meglio, anima e sangue.
Sì, bloody Christmas (anche un po’ blue & green). Natale rosso vitale – anche Babbo Natale si è tinto di rosso (prima era verde): che, sotto sotto, non sia anche lui un ultrà?  
Carne e sangue: non solo sangue dei vinti (come in molti siamo tuttora – ‘sconfitti’ all’interno della lotta, o teatro, o cosmo, o caos, dell’esistenza), ma sangue dei vincitori.
Natale al sangue (non ‘esangue’).  
Sang real. In attesa dell’instaurazione (o restaurazione), dopo tanta retorica, del modello di uomo e donna ‘persuasi’ – come direbbe Michelstaedter: la ‘persuasione’ dell’individuo (indiviso) autentico vs la ‘retorica’ dell’(in)dividuo (diviso) inautentico. Il Pensiero ‘diversificato’ vs il Bispensiero ‘unico’. 
E last but not least, un Natale eclar, cristico e solare, vs il Natale d’accatto e d’achat.
In sintesi (senza psicanalisi), una modalità di vita ‘vera’, pregna di senso e di valore, vs la falsità, la banalità, la massificazione. Vita totale, olistica, volta verso l’Alto e verso la Terra, contro il vivere pseudo-moderno, basato sulla platitude – piattezza, banalità, superficialità – di un sapere e di un vivere inautentico, impersonale, non creativo, come quello della tecnica, del consumismo e del mordi e fuggi su SUV imbizzarriti, con la protesi-cellulare incollata a orecchie sempre più insordite (e cuori sempre più esangui).
OK. Orecchio, occhio, good vibrations. Toti e Tata. Vi titillo, dopo tante quisquiglie, con una pinzillacchera, tratta dallo happy end del mio romanzo tutti frutti.

Blue in green. Kind of blue. L’atmosfera si fece rosé. Fuori, buio assoluto (la luna dormiva, le stelle erano in libera uscita). A frotte sciamarono dalla discoteca, danzando, cantando, urlando (eppure sembrava s’udisse solo un sottile suono di silenzio). Si sparsero nelle strade, corsero sui muri, scivolarono sui tetti… A piedi, in bici, in moto (le macchine, appiedate). Cristo e l’arte della manutenzione dell’anima.
Tutti furono toccati. Soprattutto, i cuori. L’aria fu tutta impregnata, saturata, ossigenata. Cominciò a piovere. Diluvio universale (per il momento solo un inizio di piovasco estivo. Ma quante nuvole all’orizzonte!). Nessuna sirena nella notte, solo musica e danze. Preparate il vitello grasso (anche solo un’insalatona).
Il cielo s’illuminò. Solo un lampo. Eclar. I lampioni, più luminosi del solito. La luna si affacciò al verone (ma Firenze continuava a dormire). Le stelle si precipitarono sotto di lei (non tutte: Florence sogna e c’era chi sognava con lei. Anche chi flirtava all’ombra dei portici – del cielo).
Pioggia a catinelle. Diana inciampò in un barbone (e le stelle a guardare. Anche la luna, ritrosa). Poco mancò che cadesse (il marciapiede, per di più, era scivoloso). Non si allontanò. Si avvicinò ancor più. Nessuno la trattenne. Volle dargli un po’ d’amore. Ma si limitò a carezzarlo con affetto, carità. S’inginocchiò, lo guardò negli occhi. Pianse. Lui sorrise. I suoi denti erano più bianchi delle perle.

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