domenica 19 gennaio 2020

LA CITTÀ RESILIENTE


LA CITTÀ RESILIENTE

In un recente passato, ahimè ancora presente, il ruolo cruciale nella crescita economica-sociale delle città, spesso in antitesi alla loro vocazione originaria, lo hanno avuto le industrie siderurgiche, caratterizzate dall’uso massiccio di combustibili ad alto impatto ambientale. Di pari passo, le pubbliche amministrazioni si sono focalizzate eccessivamente su logiche di efficienza di breve periodo, compromettendo la sostenibilità futura.
Oggi, rivedendo e correggendo il target e le performance, e quindi le politiche e i piani d’intervento – grazie a un’azione collettiva, partecipata e condivisa (Greta docet), nelle sue varie fasi (conoscitiva, programmatica e progettuale) – si torna a parlare di Urbanistica, non solo in termini di conoscenza e consapevolezza dei luoghi, ma anche di correlazione tra i vari stakeholder interessati al “fare città”: d’altronde, molti studi di settore confermano che le politiche e i piani di rigenerazione non partecipati rischiano di mancare i loro obiettivi.
Per questi motivi, la progettazione partecipata è tornata a essere nuovamente in auge, dopo un lungo periodo di stasi (più stand-by passivo che epochè riflessiva): le esperienze americane e nord-europee di community-based planning e di advocacy planning, ossia di forme di urbanistica con finalità sociali, adattate al nostro contesto, non solo hanno prodotto, e producono, buone pratiche nell’ambito della governance, ma favoriscono nuove e interessanti occasioni di lavoro per professionisti e imprenditori.
L’approccio teorico-operativo deve essere, quindi, del tipo misto (top-down e bottom-up), nel quale al centro è la comunità, con i suoi bisogni e sogni. Punti qualificanti: la ricerca di coesione sociale, politiche a sostegno dei gruppi e delle aree più deboli ed emarginate e riconoscimento del valore della qualità architettonica e urbana – non solo dei “pieni” e delle “emergenze”, ma anche dei “vuoti” (gli spazi pubblici e le aree verdi come elementi vitali e qualificanti della città).

Si giunge, pertanto, al concetto (e realtà) di resilient city (“città resiliente”), cioè di un sistema urbano che si modifica grazie a risposte sociali, economiche e ambientali nuove, che le permettono di resistere, nel lungo periodo, alle sollecitazioni dell’ambiente e della storia. La resilient city non si adegua semplicemente, ma cambia: sua connotazione è la capacità di mitigare e superare le problematiche, conservando la sua struttura e la funzionalità di base; ma anche di cambiare, pur mantenendo la sua identità.
Essendo la resilienza la capacità di un sistema socio-ecologico di cambiare continuamente e di adattarsi alle situazioni contingenti, rimanendo tuttavia entro le soglie critiche, essa è, quindi, oggi, una componente necessaria per lo sviluppo sostenibile, in quanto opera anche sui modelli organizzativi e gestionali  dei  sistemi  urbani: una città sostenibile è, quindi, una città resiliente.

In base a queste premesse, gli interventi ecocompatibili, nell’ambito di un’economia circolare, volti alla riqualificazione sostenibile, dovranno confrontarsi con le seguenti questioni:
·      Inquinamento: cercando di ridurre al minimo emissioni nocive, polveri e rifiuti.
·      Consumo di risorse naturali: riducendo i consumi di elettricità e riscaldamento.
·      Salute: riguardo alle costruzioni, utilizzando materiali ecologici e non tossici.
·      Biodiversità: salvaguardando e proteggendo la flora e la fauna esistenti (ed eventualmente, introducendone ulteriori elementi).
·      Verde pubblico: inserimento di zone verdi – come parchi, riserve e giardini – da collegarsi, attraverso “vie verdi”, alla città (progettando un’infrastruttura verde che colleghi gli elementi naturali, già esistenti o da creare; promuovendo la realizzazione di giardini pubblici, viali alberati, piccoli spazi verdi nelle corti interne ai palazzi). In aggiunta, interventi su piccola scala, come il “verde verticale”, i tetti verdi (un green roof può rimuovere la materia particolata e gli inquinanti gassosi, come ossidi di azoto, biossido di zolfo, monossido di carbonio e ozono), le cisterne di raccolta delle acque e i raingardens. In particolare, questi “giardini della pioggia” – delle leggere depressioni del suolo ricoperte a verde, simili a delle aiuole – servono a controllare le quantità d’acqua piovana provenienti dai tetti degli edifici, dalle sedi stradali e dalle grandi aree pavimentate, permettendo il filtraggio e la depurazione naturale dell’acqua raccolta e il rallentamento nell’afflusso alle falde acquifere e ai corsi d’acqua.
·      Strutture info-educative: create appositamente per l’educazione e l’intrattenimento dei cittadini, come incubatori, biblioteche, campus, centri ricerca, di intrattenimento ecc.
·      Mobilità: sistema della mobilità che prevede la separazione del traffico veicolare da quello pedonale, oltre a un sistema di trasporto pubblico efficiente collegato alla rete di autobus e treni locali. Tappetini stradali e pavimentazioni che consentano il drenaggio dell’acqua piovana e il suo recupero con un sistema che funzioni per infiltrazione attraverso la vegetazione e il suolo, tramite tubi, fossati, bacini di detenzione – disposti come fossero bacini naturali – e serbatoi che favoriscano il riutilizzo dell’acqua piovana per la coltivazione e il giardinaggio.
·      Water squares: in apparenza dei semplici spazi pubblici multifunzionali (posizionati in luoghi strategici), i quali, però, nel caso di forti piogge, si trasformano, parzialmente, in bacini di raccolta e stoccaggio delle acque piovane, così da alleggerire la pressione sull’impianto fognario, con la possibilità di riutilizzo delle stesse nei momenti di maggiore siccità e stress idrico. Le water squares si presentano, quindi, come delle aree per il gioco e il relax: nella maggior parte del tempo asciutte e utilizzabili come qualsiasi altro spazio pubblico, e solo saltuariamente – in base all’intensità piovana –ò più o meno allagate (durante le piogge di lieve e media intensità l’acqua sarà semplicemente filtrata e immagazzinata in bacini di stoccaggio nascosti, così da poter essere riutilizzata in futuro; in caso di forti precipitazioni, la piazza, allagandosi, diventerà un vero e proprio piccolo laghetto artificiale).

·      Produzione energia: l’obiettivo di produrre energia elettrica in maniera pulita, utilizzando una risorsa praticamente illimitata ed a costo quasi nullo: il passaggio di autoveicoli. L’idea di fondo è infatti quella di utilizzare l’energia cinetica prodotta dal passaggio di autoveicoli per produrre energia elettrica, sfruttando appositi sistemi di conversioni posti sull’asfalto a tale scopo. Tale idea è già divenuta realtà Tali sistemi di conversione consentono quindi di trasformare l’energia cinetica che si genera in un’equivalente elettrico, potendo di fatto sia immagazzinare tale energia sia utilizzarla nell’immediato. È sistema che potrebbe ridurre sensibilmente, se non annullare, le spese per l’illuminazione pubblica, abbassando inoltre i costi per la gestione di ulteriori servizi che necessitano di energia elettrica, potendo produrla praticamente a costo zero.


    N.B. Tratto da un documento trasmesso dalla sez. INBAR di Taranto (elaborato, riguardo alla parte qui pubblicata, dal sottoscritto).

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