lunedì 13 aprile 2020

LA BAIA DANZANTE - Gocce di pioggia a Jericoacoara



LA BAIA DANZANTE
Oggi, Pasquetta, ripropongo un articolo pubblicato il 27 aprile 2011 sul sito ARIANNA Editrice. Si tratta di un breve estratto dal mio romanzo Gocce di pioggia a Jericoacoara. Tanto per gradire…

Dalla quarta di copertina
«La baia danzante di una Pugnochiuso non ancora stile Bollywood, le spiagge infinite di Copacabana e Jericoacoara, la Manhattan ancora fumante da “Diavolo veste Prada”: tutte legate da un filo rosso che tiene uniti passione, avventura e mistero. Un nastro sottile che, a ogni istante, rischia di essere tranciato dal filo tagliente degli eventi, ma che poi, magicamente, continua a riavvolgersi nello ‘spin’ del tempo: il ’68 dell’immaginazione al potere e del “fou rire”, gli anni ’80 dell’Italia da bere, Nietzsche e Marx che parlano insieme al bar, Beyoncé, Rihanna, il Papa seduto al piano… Fino all’imprevedibile esito finale. Nulla si fanno mancare Lorenzo, Gaia, Arianna, Tomàs, Julim, l’inquietante Galatea… Notte fonda a Jericoacoara, bagliori di luce nella Grande Mela: una galassia di “particelle elementari” filanti senza direzione e senso, staccatesi da quel magma incandescente che è la vita. Ma che poi, tra Taranto, Roma e Firenze, “terza stella a destra”, cominciano a puntare dritte verso il traguardo».

Estratto dal Capitolo 8
Ah, ah,
We come from the land of the ice and snow,
from the midnight sun where the hot springs blow.
The hammer of the gods
Will drive our ships to new lands,
To fight the horde, singing and crying:
Valhalla, I am coming!
Mandato al diavolo il tre volte sei, Lorenzo-zeppelin si librò angelicamente in volo, verso lande nuove, immigrant song. E scongelatosi, cantando e piangendo – di gioia (e parlando in lingue: un’estasi pentecostale giunta al momento opportuno) –, ricominciò a nuotare con accresciuta lena: più filava, più raggomitolava quell’impercettibile ‘filo’ di miriadi d’incontri del terzo tipo che si era srotolato nella sua vita. Non sempre intravedendovi un principio d’ordine superiore: sino a una quindicina di anni prima li avrebbe prosaicamente declassati a banale frutto del caso, a quell’imprevedibile roulette di circostanze che secondo il babbano (per dirla alla Harry Potter) – e lui era stato davvero un babbano-babbione! – guiderebbe la danza quotidiana della vita. Eppure, quante volte, in occasioni pericolose, o quantomeno imbarazzanti, aveva assistito al capovolgimento insperato della situazione…
Casualità, coincidenze, oppure (sia pure una volta su mille!) una Presenza Superiore? Ma ecco lì, sempre acquattata (come il peccato – il demone Rabisu – alla porta del cuore di Caino), la sua voce laica interiore, figlia della razionalità, sempre pronta a soffocare le sue intuizioni.
“Molti erano abituati a credere che gli angeli muovessero le stelle. Ora è chiaro che non lo fanno: come risultato di questa e di consimili rivelazioni, adesso molta gente non crede negli angeli. Molti erano abituati a credere che la ‘sede’ dell’anima fosse in qualche posto nel cervello. Da che si cominciò ad aprire i cervelli con una certa frequenza nessuno ha mai visto l’’anima’: come risultato di questa e di consimili rivelazioni, adesso molta gente non crede nell’anima. Come si può ritenere che gli angeli muovano le stelle, o essere così superstiziosi da ritenere che l’anima non esiste solo perché non la si può vedere dall’altra parte del microscopio?”
Ronald Laing, non certo sospetto di ‘bigottismo’, aveva tolto la maschera – il burka – allo ‘scientismo’, a quella Scienza piccola piccola, dogmaticamente irrigidita, che, protervamente, vuole pervadere e poi anestetizzare l’intera esistenza umana. Ma lui, Ronnie, lo ‘sturacervelli’, non era stato al gioco. Gli angeli avevano ripreso a volare.
“Coincidenze, eventi improbabili, incontri imprevisti; abbiamo buone ragioni per attribuire loro un «significato»? La risposta è che di ragioni non ce ne sono, ma che siamo irresistibilmente indotti a trovarne, fino a ipotizzare che vi siano delle cause «soprannaturali».” Fin qui il ‘filosofo minimo’ Andrea Massarenti. Ma Lorenzo voleva largheggiare – andare oltre l’existenz minimum – e introdurre delle variabili, fossero pure dei ‘fantasmi’. Dell’inconscio o dell’aldilà, eterici o astrali, non importa. Purché volassero.
Fatto è che… “Invocati o no, gli dèi sono presenti”. Altra pietra d’inciampo Jung (prima di Jünger, ma entrambi con ‘filosofia’, anzi Pistis & Sophia), lo ‘speleologo’ delle ‘caverne’ dell’interiorità umana – testimone questa massima, scritta in latino all’ingresso della sua casa –, per il quale non tutto poteva ricondursi a mere coincidenze o a fantasmi dell’inconscio. Ed ecco, quindi, uscire dal suo antro (o domus aurea? In Jung c’erano luci e ombre) il suo concetto di sincronicità, quella correlazione tra fatti interiori ed esteriori che sfugge a una spiegazione causale e razionale (non per caso, né per causa). Quella sintonia (e sinfonia) tra tempo ‘umano’ e ‘oltreumano’ (sia esso inconscio, superconscio, angelico…) che, già dai tempi di Lorenzo universitario a Firenze, in pieno ’68 e dintorni, aveva introdotto una nota stonata in quella sua weltanschauung fin troppo razionale.
“Meglio essere un delinquente che un borghese” aveva dichiarato lapidariamente il giovane Ernst Jünger. Prima pietra. La seconda: “…e mentre io guardo la tua pace, dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.” Conclusione (foscoliana. Ai limiti del fosco, e del bosco): si svegliò guerriero. E Lorenzo, leopardato e jeopardized, iniziò a tirare le pietre (e non era brutto…).
Fu lì e allora – nella Firenze post-alluvione (ma in pieno diluvio da turning-point esistenzial-planetario) – che, smessi gli inamidati abiti da borghese piccolo piccolo, acceso dai sinistri fuochi di Lotta Continua, destreggiandosi a piedi nudi sui carboni ardenti di Lotta di Popolo, Lorenzo-mix sessantottino, fascio e martello, fiamma e celtica, Sturm und Drang, scacciò, drag-king, il pulviscolo terra-terra. Dopo di che, (re)suscitato l’anarco-esistenzialista jüngeriano (e dintorni), da sempre accovacciato alla porta del suo animo – rebel, free lance, nemico della società del caos organizzato –, gettò via la maschera pirandelliana e indossò quella, tragica, di Mishima. Lui voleva avere ‘stomaco’, voleva essere saldo e valoroso. Soprattutto, vigoroso. Lorenzo voleva volare…
Alea iacta est. Spada (e arco) in mano e lancia (e clava) in resta (con in testa il martello degli dèi – lo zeppeliano The hammer of the gods ), il ‘baldo’, da imbolsito e zeppoloso che era, si scremò e, screaming, iniziò a confessare baldanzosamente a destra e a manca i suoi peccatucci borghesi. Quindi, lasciata la strada maestra (ma presa quella magistra), sospinto da questo fresco ‘mistral’ – che aveva spazzato via scirocco e smog –, raggiunse senza battere ciglio il burrone. I tempi per il salto (e il saluto) ‘fascista’ (sia pure sessantottino) erano maturi. Nuovi profumi, nuovi finimenti. E non c’era solo Marte (o Odino), ma anche Hermes. Nuovi profumi.
Lorenzo si buttò.

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