giovedì 24 dicembre 2020

CHRISTMAS SONG. Maschere, incenso e mirra

 


CHRISTMAS SONG

Maschere, incenso e mirra

Ventuno dicembre: solstizio d’inverno. Ventuno grammi: il peso dell’anima.

“... se la psiche è l'anima, e l'anima è il mondo della nostra esperienza, come sostiene Aristotele, essa ci fa paura. Non ne vogliamo troppa o troppe varietà. La vogliamo ridotta a percezione e a immaginazione terrene, niente sogni a colori.” (R. D. Laing).

Anima disanimata, parole senz’anima. Questo spesso è lo ‘spirito’ del Natale, il Sole che nasce nella notte (dellanima). Gesù, il solstizio (spirituale) d'inverno...

Ma il Natale può essere altro, e ‘oltre’: anche ultra (o ultrà). L’importante è che dietro lo specchio delle parole ci sia un’anima. Meglio, anima e sangue.

Venticinque dicembre: Natale. Sì, bloody Christmas (anche un po’ blue & green).

Natale rosso vitale: anche Babbo Natale si è tinto di rosso (molti anni fa era verde): che sotto sotto non sia anche lui un ultrà? Carne e sangue: non solo “sangue dei vinti” (sconfitti nella lotta dell’esistenza), ma sangue dei vincitori.

Natale al sangue (non ‘esangue’). Sang real. Nell’attesa dell’instaurazione (o restaurazione), dopo tanta retorica, del modello di uomo e donna ‘persuasi’, come direbbe Michelstaedter, il filosofo forever young (morto, da sé, troppo giovane). 

La ‘persuasione’ dell’individuo autentico, cioè realizzato, vs la ‘retorica’ dell’individuo diviso (inautentico).

Il vero Natale: la nascita di Cristo dentro di sé. Dall’”uomo a una dimensione”, per dirla con Marcuse, a quello a tre dimensioni. Dall’Io diviso all’Io unificato (Ronald D. Laing). Pensiero diversificato vs bispensiero ‘unico’. E last but not least, un Natale eclar, cristico e solare, vs il Natale d’accatto e d’achat.

In sintesi (senza psicanalisi, con un po’ di psicosintesi), una modalità di vita ‘vera’, pregna di senso e di valore, vs la falsità, la banalità, la massificazione. Kultur vs Zivilisation.

Un Natale moderno e antico vs il vivere pseudo-moderno basato sulla platitude e sulla piattezza pseudo-esuberante del consumismo mordi e fuggi dei tanti bipedi intubati su SUV gasati, impupazzati e imbolsiti, con l’immancabile protesi-cellulare incollata a orecchie sempre più insordite.

«Il deserto cresce... guai a chi cela deserti dentro di sé!» (Nietzsche)

Io, nel frattempo, continuo a mirare (al)le stelle... Fatto è che, tra white merry Christmas e Barry White (e non solo: Alicia Keys e Sade scalpitano), sto in souplesse da paresse natalizia.

La neve m’imbianca (virtualmente), ma non mi sbianca, né mi sbanca (un po’ mi svampa). Sono però più sbilanciato verso la saudade; se non Café del mar o Malibu, almeno la mia Jericoacora: di lì pesco la solita perla (i pascoli oceanici sono ancora fruttuosi…).

Blue in green. Kind of blue. L’atmosfera si fece rosé. Fuori, buio assoluto (la luna dormiva, le stelle erano in libera uscita). A frotte sciamarono dalla discoteca, danzando, cantando, urlando (eppure sembrava s’udisse solo un sottile suono di silenzio). Si sparsero nelle strade, corsero sui muri, scivolarono sui tetti… A piedi, in bici, in moto (le macchine, appiedate). Cristo e l’arte della manutenzione dell’anima.

Tutti furono toccati. Soprattutto, i cuori. L’aria fu tutta impregnata, saturata, ossigenata. Cominciò a piovere. Diluvio universale (per il momento solo un inizio di piovasco estivo. Ma quante nuvole all’orizzonte!). Nessuna sirena nella notte, solo musica e danze. Preparate il vitello grasso (anche solo un’insalatona).

Il cielo s’illuminò. Solo un lampo. Eclar. I lampioni, più luminosi del solito. La luna si affacciò al verone (ma Firenze continuava a dormire). Le stelle si precipitarono sotto di lei (non tutte: Florence sogna e c’era chi sognava con lei. Anche chi flirtava all’ombra dei portici – del cielo).

Pioggia a catinelle. Diana inciampò in un barbone (e le stelle a guardare. Anche la luna, ritrosa). Poco mancò che cadesse (il marciapiede, per di più, era scivoloso). Non si allontanò. Si avvicinò ancor più. Nessuno la trattenne. Volle dargli un po’ d’amore. Ma si limitò a carezzarlo con affetto, carità. S’inginocchiò, lo guardò negli occhi. Pianse. Lui sorrise. I suoi denti erano più bianchi delle perle.

(dal finale di Gocce di pioggia a Jericoacoara).

 E che le gocce di pioggia possano divenire un acquazzone di benedizioni, spirituali e materiali (a matrioska), per tutti voi!

 

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