giovedì 22 aprile 2021

IL CAOS HA PARTORITO LA SUPERSTAR DANZANTE

IL CAOS HA PARTORITO  

LA SUPERSTAR DANZANTE

”La verità non è venuta nel mondo nuda, ma è venuta in simboli ed immagini: il mondo non la riceverà in altra maniera. C’è una rigenerazione e un’immagine di rigenerazione. Ed è veramente necessario che si sia rigenerati attraverso l’immagine…” (dal Vangelo di Filippo)

“Gesù disse loro: Quando farete di due uno e quando farete che l’interiore sia come l’esteriore e l’esteriore come l’interiore, e ciò che sta sopra come ciò che sta sotto, e quando farete che maschio e femmina siano una sola cosa, così che il maschio non sarà maschio e la femmina non sarà femmina, e farete che occhi siano al posto di un occhio, e una mano al posto di una mano, e un piede al posto di un piede, e un’immagine al posto di un’immagine, allora entrerete nel Regno.

(dal Vangelo di Tommaso)

Verità, simboli, immagini… L’architettura è la ‘materializzazione’ (tekton) del ‘principio’ (arké), è il ‘rivestimento’ dell’’idea’ (che è anche immagine e forma: eidos). E come si sa, l’abito non serve solo a proteggere dal freddo, ma è anche ‘esibizione’ di sé. Anche se l’abito non fa il monaco…

È quindi naturale – è nella natura delle cose – che, a fronte di tanta architettura (o solo semplice edilizia), in particolare architettura ‘organica’, o comunque ‘eteroreferenziale, ci siano architetture autoreferenziali, egomaniache, de-contestualizzate, sempre diverse le une dalle altre ma tutte eguali nell’impossibilità di poter trovare un criterio di giudizio se non di tipo esclusivamente individuale.” (Pietro Pagliardini – in “La crisi dell’archistar”, su Architettura Moderna).

Architettura ‘bella’, architettura ‘brutta’? È nella natura delle cose… Il problema è che, mentre un vestito lo si può togliere o eliminare tout-court, l’architettura ha anche, e soprattutto, un corpo e l’eliminazione del suo ‘vestito’ quasi sempre non risolve il problema: l’impatto visivo e la risonanza di un ‘fatto’ di architettura ‘disturbante’ può avere effetti, non solo sul singolo passante o utente, ma anche, e soprattutto, sull’immagine e sull’idea di città; e il genius loci, sempre all’erta, può reagire rigettandola.

Questo, a livello subliminale, probabilmente può incidere negativamente su chi frequenta certi luoghi, sommandosi così al disturbo percettivo e somatizzandolo. L’unico fatto positivo – e qui rimando a Kevin Lynch – è che un’architettura ‘esibizionista’ può fungere da riferimento e orientamento, essendo un oggetto dello spazio velocemente identificabile anche a distanza.

Fatto è che l’architettura è soggetta anch’essa all’unità triadica, e per questo conflittuale, tra Super-Io ed Es, ossia tra continuità e discontinuità nel tempo e nello spazio (integrazione o dis-integrazione nel tessuto urbano), con l’Io che dovrebbe fungere da ars combinatoria, nel tentativo di contemperare la ‘fuga da’ (fuga dalla ‘storia’, dalla ‘tradizione’, dall’’usuale’, ecc.) con l’’accanto a’ (contestualizzazione, integrazione).

Diceva Pierluigi Nicolin (in Lotus 1984/2): “L’architettura contemporanea va alla ricerca della figurazione in aperta polemica con l’astrattismo degli anni passati; ma questo avviene in quella circostanza che Lyotard ha chiamato la fine delle grandi narrazioni. Per l’architettura si verifica un’altra più specifica circostanza, che possiamo chiamare la fine della progettazione per modelli (nozione spesso confusa con quella della tipologia). Una fine confermata anche dai progetti di architetti che per essere legati a questo concetto sono costretti dai fatti a realizzare i loro edifici come unità infrante …”

Firmitas, utilitas, venustas, propinquitas… Fine dei ‘modelli’, destandardizzazione, unità infrante.

La casa romana fu l’esito di complesse sedimentazioni e di ri-definizione o ri-orientamento del significato stesso di ‘abitazione’. Ulteriori sedimentazioni e articolazioni hanno attraversato tutta l’architettura fino a oggi, in un connubio, non sempre felice ma comunque vitale, tra mythos e logos (il mito tace, il logos parla).

Parole e silenzi, idee senza parole… Il mito è il vivaio delle idee d’architettura, in quanto racconta sempre la stessa cosa – essendo la matrice di ogni forma culturale e simbolica, con forte valenza estetica – ma in modo sempre diverso. Il logos, logos endiathetos – discorso interiore – e logos prophorikos, l’espressione, rappresentano il tentativo dell’idea di farsi ‘evento’. 

Il mito è il ‘silenzio’ dell’architetto che, successivamente, nel farsi parola, provoca la ‘scintilla’ (il  ‘fiat lux’/Big Bang) che muta il Caos in Cosmos (il caos – nel ‘cuore’ dell’architetto – partorisce la stella danzante). Ma spesso si sentono balbettii, o urla… Allora… “ben venga il caos, visto che l’ordine non ha funzionato.” (Karl Kraus).

Cade il ‘grande stile’, o lo stile tout-court basato sulla concinnitas (armonia, simmetria, equilibrio, eleganza, bellezza, proporzione). E si batte la via della ‘dissoluzione della totalità’ e si va, invece, sulla strada dissestata della sua ricostruzione soggettiva, caotica, disorganica (pur con la pretesa di puntare a un presunto organicismo, ossimoricamente disorganico, della natura): ciò può partorire il ‘monstrum’ (nel senso, latino, di prodigio – i non molti capolavori in circolazione), o, forse più spesso, il mostro vero e proprio, nel senso comune del termine.

Ma perché tanti monstra? Dimostrazione di bravura o desiderio di migliorare il mondo? Esibizionismo dal basso o lo Zarathustra che scende dal monte a portare i suoi doni?

Più che altro, il desiderio dell’architetto contemporaneo di abbracciare, anche nel più breve brano, la totalità del mondo.

Se la sintesi medioevale lasciava spazio alla differenziazione (il tutto nel frammento) e la modernità assumeva la totalità indifferenziata, riflessa nel progressivo depauperamento e sradicamento dell'individuo (la sua dis-animazione), e se il post-moderno tutto dissolveva (e continua a dissolvere) in una tiepida liquidità scongelante, il nostro tempo (post-liquido? sublimato?) cerca una nuova solidità ‘sublime’ in costruzioni sempre più decostruite, in un funambolico vorticoso tentativo di ri-creare un nuovo ordine (s)oggettivo.

Un vorticismo da derviscio rotante che frantuma l’idea progettuale in un fantomatico (fantasmatico, talvolta fantastico) flusso di segmenti di realtà.

In una società post-liquida come la nostra l’architettura rischia, dunque, di perdere la sua ‘solidità’, senza per questo necessariamente ‘sublimarsi’. Per dirla alla Spengler: idee senza parole è l’unica cosa che garantisce la solidità dell’avvenire”.

Educare l’uomo è impedirgli la “libera espressione della sua personalità” ‘reagisce’ Nicolás Gómez Dávila, dall’alto della sua ‘turris eburnea’. Nondimeno, incatenando l’architetto, ‘educandolo’, si avranno città forse vivibili, ma senza respiro ‘sacro’. E io – e qui sto con Dávilarespiro male in un mondo non attraversato da ombre sacre…


 

martedì 20 aprile 2021

OUT OF THE BLOCK – Fuori dal coro


OUT OF THE BLOCK

Fuori dal coro


Out of the block. Volevano entrambi uscire dal ‘ghetto’ (in lei ‘alto’: radical-chic; in lui ‘basso’: piccolo-borghese) e relazionarsi alla totalità del mondo (non solo quello recluso tra le quattro mura del ‘sistema’). Non per essere succubi o complici di esso, ma per poter dialogare a tu per Tu con la ‘Forza’ e poi ridiscendere (o risalire) sulla terra, per ri-plasmare il proprio Sé (il micro-mondo) e il proprio intorno (noi, voi, loro, il macro-mondo).

     Can you feel the force? Uno slancio metapoietico (e poetico, anche alla Baudelaire – trasgressione e lenzuola disfatte non guastano mai) verso la comunità e, ancor più, verso la psiche collettiva (genius loci e anima mundi). Una tensione (non stress) trans-umana – cosmoteandrica verrebbe voglia di dire (alla Panikkar) – verso il valore, l’onore, l’eroismo (l’erotismo, specie in Arianna), la Bellezza e l’Amore. Virtù virile, fede femminile (con possibile scambio delle coppie). Eros più che Agape, una volta tanto, contro le forze gravitazionali – e disgregatrici – della banalità, della bassezza, del ressentiment…

     Do you think I’m Sexy? Amazzone più che ninfa, Arianna andava più sul pragmatico (ma era sempre sexy). Non per niente era una cultrice, marxisteggiante (soft), della scuola di Francoforte. Anche se Lorenzo (più ‘sufi’, ma anche lui sexy) le aveva fatto apprezzare l’’eretico’ ex francofortino Elémire Zolla. Sia pur prendendolo con i guanti (lei in questo era sempre un po’ sulle sue). Quello – tra gli spiritualisti vari, new-age o pentecostali, che Lorenzo ogni tanto le propinava – che più l’aveva colpita. Anche perché più colto, più profondo, più intrigante. E poi non era new-age, era un ‘filosofo perenne’. Uno scavatore, uno speleologo, un subacqueo, dell’anima. E delle anime. E per questo Arianna si era tuffata, senza bombola d’ossigeno, in qualche suo saggio. E aveva rischiato l’embolia (spirituale).

     Già allora l’Atalanta venuta di corsa dall’Arno scoccava saette a seno nudo. E non solo ora che si era imboscata tra Amazzonia e Atlantico. Si era fermata per raccogliere tre mele d’oro: Zolla, Heidegger e, fuori campo, Cristina. A chi, tra i compagni borghesucci e imbolsiti, le chiedeva il perché di questo suo interesse così politicamente scorretto, almeno per i corifei del pensiero imperante, lei rintuzzava estraendo dalla faretra i dardi dello Zolla angry youngster, contestatore alle prime armi allineato al coro della scuola di Francoforte – di cui lei era una (virtuale) discepola a distanza (anche temporale). Un po’ per virtù scolastiche (insieme a Heidegger, i ‘francofortini’ formavano la piattaforma critica e teorica del suo vivace esprit architectural), un po’ perché il su’ babbo gliela inculcava sempre (la scuola francofortina, insieme a Marcuse, Freud e Sartre).

     Sì, il mitico Jean Paul, suo eroe giovanile, “l’imprenditore di filosofia, di letteratura, di politica … si sente in Sartre la carenza di una necessità interiore.” Sì, lei amava Sartre, ma anche Baudelaire (che non garbava punto a Jean Paul). Alla fine al duo associò Camus: chiodo scaccia chiodo. In ogni caso, lei, come Lorenzo del resto, non era inchiodata alla tradizione filosofica ufficiale, in nome del primato della vita (parola di Adorno, filosofo ‘ufficiale’).

 

     E così, dopo aver (as)saggiato il cattivo maître à penser Elémire – ma la ‘mela’, in fin dei conti, gliel’aveva passata Lorenzo (scippata a Cioran: in quanto a ‘eretici’, il nostro, non se ne faceva scappare uno) – la ‘contestazione globale’ di Marcuse, Adorno e compagni cominciò a sembrarle un mero e vuoto esercizio di acrimonia (e grammatica). Noioso, nauseante. Privo di un vero orizzonte alternativo (sorvoliamo, per non dare il ‘destro’ ad altri commenti, sui salti di gioia di Lorenzo, sempre pronto a spingere su Julius Evola, Giorgio Locchi – un altro degli ‘sconosciuti’ cui l’aveva iniziata – e camerati d’ogni nuance: ma black is black…).

     Nuove frontiere che Zolla (e il suo destriero, Lorenzo, al seguito) aveva trovato nei luoghi dell’anima, territori di cui ben poco Arianna aveva sentito parlare in casa (tranne che in occasione di qualche sortita della mamma – d’altronde era pittrice), in facoltà e nel suo giro di amicizie (salvo quando entrò nei pascoli celesti di Lorenzo: la solitudine dei numeri primi). Sempre un po’ sulle sue, però. Nondimeno, i ‘vagabondaggi’ metafisici di Elémire la trovavano spesso cameratesca sua compagna di viaggio. Così pure le sue ‘meditazioni’ e il suo ‘stupore infantile’.

     Di sorpresa in sorpresa, ecco entrare in scena uno dei grandi (strani) amori di Arianna: Cristina Campo, la Simon Weil italica, la scopritrice della valenza teofanica del momento estetico, aristocraticamente pregna di Upanishad e mistica. Complice nel presentargliela (virtualmente) sempre lui, Elémire Zolla (oltre che il Lorenzo del periodo lefèbvriano), il quale, da mistico sensale, dovette assistere – magnifique – prima al coup de foudre, fuori campo, della sensuale Arianna per Cristina e poi alla sua ‘fuitina’ nelle lande del ‘sacro’ e del ‘mistero’. E durante i pellegrinaggi nei territori vergini dell’anima (e dello spirito: Lorenzo le aveva spiegato che erano due ‘entità’ distinte), un’ulteriore, sconvolgente, scoperta: il ‘dionisiaco’. Che Arianna celava da tempo infagottato nel suo intimo, del quale forse sospettava l’esistenza, ma di cui non conosceva il ‘nome’ (e il ‘numen’).

     E di balza in balza, il rinvenimento fortuito (o forzato da Lorenzo) degli ostraka seppelliti sotto il terreno corticale del pensiero dominante: i frammenti di coccio di (più o meno) ‘cattivi maestri’, come Nietzsche (sì, proprio lui, il ‘cavallo pazzo’; e pensare che il primo ‘maestro’ di Arianna – il marxista Georg Lukács – si era impegnato a fondo nell’illustrare la “distruzione della ragione, da Nietzsche a Hitler”…). E poi, Benn, D'Annunzio e Cioran, in casa ostracizzati (salvo qualche ‘sinistro’ addomesticamento – lo stesso Heidegger era guardato con ‘maldestro’ sospetto: d’altronde non era stato il suo Lukács, il feroce Realpolitiker, l’’inquisitore’, il messaggero escatologico del nuovo eone, a bollare ex cathedra Heidegger, il leone, come “capofila del tenebroso esistenzialismo fascista”?).

     Sempre con la guida del suo personal guru – Lorenzo – il ‘fascista’ (immaginario) dal cappuccio rosso (per lui il fascismo era una fase storica conclusa, però gli serviva come sfondo di riferimento, ma anche come trampolino di lancio per nuove avventure mentali e di vita. E poi, non si sa mai, poteva essere ‘rifondato’…). Lui che le aveva fatto conoscere, dulcis in fundo, l’amarognolo Ezra Pound, approfittando della passione giovanile di Arianna per Jack Kerouac e invogliandola con le parole di un suo personaggio: “Pound era un buon diavolo, anzi, il mio poeta preferito.”

     Due le squadre in campo: Marcuse, Sartre, Aragon, Lukács, Eluard, Neruda, contro Pound, Drieu La Rochelle, Brasillach, Jünger, Benn, Céline. Ma ecco infilarsi, tra angeli e demoni, anche il liberale Aron, quello che aveva profetizzato, contro ogni utopia sessantottina e catto-comunista, la deriva ‘chic-buonista’: “La simpatia testimoniata ai delinquenti più che alle vittime, la riduzione del numero e della severità delle azioni penali, la messa sotto accusa della società, colpevole per definizione, e non dei criminali.” Senza lontanamente immaginare che si sarebbe arrivati al ‘ma anche’…

     E per battere anche nuovi sentieri (ma dove portavano?), lo sciamanesimo di Castaneda – anche questo osservato dal suo entourage con, ancor più, legittima suspicione – fino alle esperienze estetiche-estatiche d’ogni tipo, incluse – orrore! – alcune varianti borderline pentecostali (in questo imboccata, come sempre, dal famelico Lorenzo, che lei, per scherzare, ogni tanto chiamava Loren Zollà).

     Infine, entrambi, lui e lei, nel tentativo di abbattere, una volta per tutte, la barriera tra la dimensione materiale e quella del ‘sogno’ (spesso coincidente con quella dello spirito, che, durante la ‘veglia’, sembra dormire), tentarono l’Aistesis (l’ebbrezza delle sensazioni) e l’Estasis (la vertigine spirituale dell’anima che si affaccia sui territori della trascendenza). E poi (gli esami non finiscono mai), l’aurora nicciana e il tramonto spengleriano. Abbinamenti spesso riusciti nel loro ambito di coppia. Prima a corrente continua (si comprendevano, ma non sempre concordavano), in seguito a corrente alternata, con qualche caduta di tensione e, qua e là, dei black-out (non si con-prendevano più, né si prendevano).

    Alla fine qualcosa scoppiò…

 

Tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara

 

 


 

lunedì 19 aprile 2021

ANGELI vs DEMONI

ANGELI vs DEMONI

Le oscene riflessioni cerebrali, le farfuglie fanfullesche, e fanciullesche, le contaminazioni demoniche (e demoniache), continuarono a girare, turbinosamente, all’incontrario, e giunsero alla radice. E, finalmente, realizzò: il principio del peccato, pensò Lorenzo, questa volta lucido, non risiede, prioritariamente, negli impulsi di natura biologica o psicologica della natura umana decaduta; il Peccato (con la pi maiuscola, e non per rispetto) è, soprattutto, una dinamica spirituale, una forza aliena e distinta dalla natura umana, ma immanente a essa. Un principio endemico nell’uomo, una potenza contagiosa e distruttiva, derivante, originatasi, da una doppia ‘caduta’: quella degli angeli – con ripercussioni cosmiche – e quella dell’uomo – di portata microcosmica. La prima ‘potenza’ ‘preme’ dall’’esterno’, la seconda dall’’interno’… Contro la prima puoi opporre la ‘corazza’ dello spirito. Ma contro la seconda?

   C’è un diavolo dentro e un diavolo fuori… In & Out.  Sopra e sotto, mai al centro: peccare è ‘fallire la mira’. Prima il dolce che ti gabba, poi l’amaro (da lenire con la mirra del perdono divino o quello della tua coscienza). Non un difetto, ma una defezione… così lo definiva uno dei tanti teologi di cui Lorenzo faceva incetta. Ma anche un’occasione perduta, il peccato: un autobus, un pullman, un treno, che non si è saputo prendere al volo (magari ha fatto una sosta a bella posta per te, anche fuori dalla ‘fermata’…). In definitiva, un conflitto cosmico e ‘privato’, una battaglia tra reame demoniaco e redenti, tra redenti e irredenti, tra figli della luce e figli delle tenebre.

   «Hillmann – per un momento Lorenzo, preso dalla nuvola di questi pensieri, abbandonò Laing e abbracciò Qumran – approverebbe parte di quello che tu pensi, e che io condivido appieno, ma parlerebbe pure di penosa deriva fondamentalista. Ma lui non può, almeno finora, entrare in certe cripte del mysterion, non ne conosce il passaggio segreto.»

   E qui, in un soprassalto di hybris, Lorenzo peccò. Ma a ‘giustificarlo’ ci pensò Gaia.

   «Certo, c’è molto, ma molto, di deprecabile in ogni fondamentalismo (insieme anche a molto di buono, riguardo a certe verità o valori scomodi – religiously uncorrect – per quelli del coro), ma, se il caro Jimmy è riuscito a decifrare il codice dell’anima, quanto a decrittare lo spirito… Quello è un codice da vincere! Jung si era, forse, avvicinato di più, ma non era poi riuscito a districarsi tra spirito e spiriti. Tra angeli e demoni. Comunque, chapeau!»

   Attimo fuggente, arrestati sei bello. Ma Gaia non si fermò.

   «È proprio vero quel che diceva Bayazid al-Bistami: “La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia, solo coloro che la cercano la trovano.” Certo, Lorenzo, l’uomo può vivere senza Dio, senza teologia, fede, filosofia, ecc. ecc. Può vivere senza queste cose ‘superflue’, non ‘tangibili’, ma vive male! Così come, d’altronde, vive male se fa di queste cose degli assoluti che gli negano la vita (anche le piccole gioie e i grandi piaceri: per Dio ogni cosa della creazione è buona! – certo, c’è stata la ‘caduta’, ma non per questo dobbiamo necessariamente perdere l’equilibrio; e poi c’è sempre la possibilità di rialzarsi…). Gesù Cristo era laico più che religioso, e il suo ‘assolutismo’ sfiorava il ‘relativismo’…»

 

   Morto un papa se ne fa un altro (ma il Cristo è sempre vivo, e vegeto). E Gaia stava sempre bene…

   «Noi viviamo nella contingenza e dobbiamo toccare – tangere – le cose. Per poi scegliere. Ma senza costrizioni altrui, fosse pure nel (presunto) nome di Dio. In ogni caso, se l’uomo può considerare superfluo Dio, non vale il contrario: per Lui siamo sempre importanti; anzi, come direbbe il sublime Angelo Silesio, indispensabili. C’è, sì, un’infinita differenza qualitativa tra Dio e uomo (per dirla alla Barth), ma l’uomo e la donna completano, in un certo senso, Dio (Tillich completa Barth, anche contro la sua volontà). La poesia di Mohammed Iqbal rende bene il rapporto tra Dio e l’uomo: “Tu hai creato la notte e io ho fatto la lampada / Tu hai creato l’argilla e io ho fatto la tazza / Tu hai creato i deserti, le montagne e le foreste / Io ho fatto i frutteti, i giardini e i boschetti / Io ho mutato in specchio la pietra / Io ho mutato il veleno in antidoto.” »

   Dalla poesia alla prosa, ma sempre salmeggiando (e un po’ saltando, anche su un piede solo).

   «Dio cerca l’uomo e lo trova, ma se l’uomo cercherà Dio non lo troverà: così è scritto nel Vngelo di Giovanni, al capitolo sette. Nondimeno, chi cerca trova: così in Matteo, sempre al capitolo sette (una delle tante ‘contraddizioni’ della Bibbia... Ma l’ossimoro è una risorsa!). Fatto è che Dio vuole abitare con e tra gli uomini, così nei Proverbi al capitolo otto, ma, come si legge ancora in Matteo al capitolo diciotto, noi dobbiamo diventare figli, fanciulli, bambini... Uno spirito giovane, ecco quello che Dio vuole! Lo Spirito... minuscolo o maiuscolo, non importa – Gaia più parlava più ringiovaniva –, se accogli lo Spirito e Gli fai spazio nella tua vita, il tuo spirito si sveglierà dal letargo. Lorenzo, non fare l’orso, lascia che il Principe Azzurro (lo Spirito – la Ruah che si fa maschio per te...) baci la Bella Addormentata (lo spirito umano – la tua neshâmâ). Lorenzo, ricorda, l’uomo, la donna, la religione, la chiesa, sono solo un ammasso di pietre, o di terra, se non c’è il collante dello Spirito. Tuttavia, la vera chiesa – lo dicevano Böhme, Weigel, e lo ripeto io – senza nulla togliere alla chiesa universale, e a quelle locali, è quella interiore. È lì che s’incontrano Gesù e lo Spirito Santo, e nell’abbraccio rianimano il tuo spirito.»

   Gaia si accostò a Lorenzo e lo abbracciò. La ricostituita androginia primordiale (i due, più o meno platonicamente, in uno) durò solo qualche minuto. Poi Ish e Ishsha si slegarono.

      «In Pistis Sophia, scritto gnostico, si racconta che, mentre Gesù era nella vigna con suo padre Giuseppe, Maria, sola in casa, viene visitata da una persona del tutto simile a Gesù. Confusa, Maria lega lo ‘sconosciuto’ a una gamba del letto ed esce di corsa per cercare Gesù. Questi, rientrato a casa con la madre, s’imbatte nel ‘sosia’: i due si guardano negli occhi e, dopo un attimo di ‘suspence’, si abbracciano, fondendosi. Lo Spirito Santo e Gesù…»

   Tutta d’un fiato, la puledra non conosceva soste…

   «La Bibbia nasce per colmare un vuoto, riempire una distanza. Tramonto d’Occidente. Eppure lei è sempre lì, un faro. È un succedaneo dello Spirito Santo. Ma quando Lui verrà a riempirti, lei si ritrarrà, permeerà egualmente te stesso, ma tu sarai guidato, essenzialmente, dallo Spirito. La Bibbia è il dito di Gesù puntato verso l’infinito, ma è solo un dito – permettimi questa fuga a oriente. È comunque un indice, una freccia, quella che va diritto al bersaglio, ma è lo Spirito che colpisce e scrive sui cuori. La mano e l’inchiostro sono divini, la penna è umana. Cristo è Dio in atto. Il Padre è la potenza generativa, manifestata nel Figlio. Se Dio dimora in Elohim, il Cristo viaggia con Iahvè. E lo Spirito li tiene assieme… Gesù: era lui l’Angelo dell’Eterno, tante volte accorso per soccorrere e consolare, già prima d’incarnarsi e risolvere definitivamente la questione. Sì, Gesù, lui che cambia l’acqua del vecchio uomo e dell’antico patto nel vino dell’uomo nuovo e del Regno. Lui che dona la vita ogni giorno, il pane di vita che moltiplica i pani, dà la vista ai ciechi, fa risorgere Lazzaro. È fede e storia, adorazione e azione, al di là del bene e del male, uomo e superuomo, gaia scienza… Comunque, la Scrittura ci dà le ‘dritte’. Se noi la guardiamo ‘storto’, non è colpa della Bibbia, ma dipende anche da come ci viene presentata (e da chi ‘bussa alla porta’ e ce la ‘presenta’). Se ci sono parti ‘impresentabili’ nella Scrittura, è dovuto al fatto che essa è ‘carne e sangue’. È divina, ma è impastata (e talvolta ‘impestata’) di umano. Bisogna saperla leggere. È un libro ‘pericoloso’, come lo Zarathustra di Nietzsche. Ma è anche meraviglioso. Entrambi, due libri per tutti e nessuno. Sì, è vero, nell’Antico Testamento ci sono ‘sezioni’ o passi improponibili, immorali, sanguinari. C’è la pena di morte, lo stupro, la violenza sulle donne. Raccontati, accettati, condivisi. Ma questa è la voce dell’uomo, non di Dio (che, pure, quando vuole…). E, paradossalmente, tutte queste apparenti incongruenze sono una prova dell’ispirazione della Bibbia. Se andasse tutto liscio, allora sarebbe una ‘costruzione’ ben fatta, ma artificiosa (e artificiale). E invece ci sono i fuochi d’artificio, sons et lumières, carne e sangue… Non solo flatus voci e aria fritta. E possono mai essere, le Scritture, occasione di festa e non di noia? È ancora possibile danzare, esultare, gioire attorno al sacro libro? Sì, ma solo se si è liberi da ogni legame, anche religioso e di chiesa, e, soprattutto, si è bagnati dalla pioggia dello Spirito…» 

Tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara