giovedì 23 settembre 2010

LA DOMUS PADANA



LA DOMUS PADANA



Ogni tanto una notizia che non ti aspetti... (anzi due: ci vogliono almeno due ‘testimoni’ perché una news sia attendibile – Biblia docet, ma anche Zarathustra olet…): in tempi di Profumo (ma quelli dello ‘scandalo Profumo’ erano ben altri tempi, my swinging London!), il mio blog fai-da-te (per altri versi, autodafé un po’ alla Canetti) rientra nei primi cinquanta (o giù di lì) tra quelli di architettura (solo italiani, ritengo). E non è un blog di (solo) architettura!

Nonsolomoda (sotto il blog tutto). Todo modo, in contemporanea (big ben o big bang – siamo vicini al binge-eating: meglio bulimici che anoressici. No… scherzo: né bulimia, né bullismo, né botulismo. Al massimo, un po’ di botox), un noto architetto-blogger (questo sì ai primi posti, e non ai primi post: è scafato, uno steppenwolf o Wilfing?) mi onora di una mia ospitata - o comparsata (a breve). Che vuoi di più dalla vita? (specie ora che ho lasciato Pugnochiuso e le sue gargano nights).

Sì, notti garganiche e, soprattutto, mezzogiorni di fuoco (ma gli alberi verdeggiano – e il mare? Da Bollywood). Per contrasto, e lenire il magone, un po’ di Padania – ma quella a base di piadina. E con qualche spiedino: in questo caso, ancora in carne, la mia introduzione al mio progetto 'La domus padana’ (ma allora Bossi era ancora un pischello): contributo architetturale ‘magico’ (e c’era pure la ‘magione’) al concorso ‘La casa più bella del mondo’: progetto, il mio, ‘post-palladiano’, tra Charles Moore e Tigerman (sai, il postmoderno da bere: ma il mio era assenzio un po’ modì, dal collo lungo, ma non obtorto collo). Fu, spero, tra i più apprezzati: una farfalla un po’ falena. D’altronde, si sa (ma chi lo sa? A Macherio? O nella radical-chic land? Quella che è rimasta... Rive gauche sempre più mosce... Pure senza caviale! E la Droite? Meno male che ci sono le 'granate'... Quelle senza doppi 'Fini', intendo - ma i fini giustificano i mezzi, anche se questi ultimi hanno fatto il loro tempo...). Comunque, ça va sans dire, la vera conoscenza latita. Il mio popolo perisce per mancanza - è Osea a osare a dirlo, nell'Antico Testamento. Diciamolo pure, a dritta e a manca, il sapere è una farfalla notturna.

Sì, l’introduzione al progetto: una favola decostruita piena di sottintesi e intensa nei suoi ‘detti’ – anche e soprattutto, i non-detti: “Solo dall’’agonistica delle frasi’ (Lyotard), dall’interazione e coesistenza di progettualità ‘plurali’ può prendere forma un algoritmo possibile per giungere ad una descrizione della bellezza, oggi, nell’architettura” (dall’introduzione al concorso). E questo blog si fonda ed eleva sulla coesistenza di progettualità plurali. Un blog olistico, agonistico e 'antagonista' (ovviamente, protagonista).

Ed eccoci al mio commento ‘onirico’ al mio progetto-papillon (un po’ carillon un po’ dandelion: sempre, derviscio rotante): è dell’88 (e si ricordi, ho fatto, da pischello, il ’68: poi il ribaltone, ora mi riaffaccio alla ribalta, sempre un po’ ribaldo), ma ancora ‘fischia’ (a proposito, riconoscete i vari jingles? Se li riconoscete - ormai siete diventati esperti di PNL e dintorni - fatemi un fischio). In ogni caso, se non nella giungla, un sentiero (interrotto) nel bosco c'è. E tra poco arriverete alla 'radura luminosa' (quei pochi che ancora non ce l'hanno fatta, guidati, mano nella mano, o a spinta, dal mio blog heidegger-nicc-jüngeriano).

Ed ecco la ‘radura', anche un po' 'numinosa' (ma infrattata tra le fresche frasche - meno male, i fresconi non ci arriveranno mai, se no staremmo freschi...)


LA DOMUS PADANA.

Era l’alba, il momento più degno per l’incontro cui tanto aveva anelato. Si avvicinò al locus: il genio aveva ghestalticamente ricomposto le mille tessere in quarant’anni gelosamente serbate. I have a dream si trasfigurò: la sua domus padana era lì, del sito proserpina, eppur ecumenica.

Nell’aura dai colori non ancora accesi, il portico audace tentò l’approccio, baroccamente giocoso, novecentescamente solenne. Incuriosito, come bambino quarant’anni addietro, scartò la pur breve scalinata, infilò la rampa di sinistra, sospinse l’uscio ed entrò: una luce soffice lo accolse mentre s’incamminava incerto verso qualcosa che gli appariva un curioso dialogare tra reale e virtuale.

Scartò la scala di sinistra e acquisì la tattile consistenza cromatica che l’imago autre offriva di sé sulla flessuosa parete di destra: eterna diatriba tra essere e non essere, o forse qualcosa di più semplice? Scelse la prima ipotesi e, baldanzosamente attratto da sons et lumières, s’affacciò nella cavea ellittica. Improvviso s’elevò un urrà di benvenuto: elfi e umani lo avevano per quarant’anni atteso e ora pubblicamente lo ringraziavano.

Ripresosi dallo stupore, gli parve persino di riconoscere figure settecentesche, perfettamente a proprio agio, così come cantava quel loro dialetto padano, così antico, eppur così vicino al suo. Improvvisamente, vicino al camino, tra le griffe spuntò il figlio che se n’era andato appena grande, forse rientrato nei ranghi dopo anni di romitaggio esistenziale.

Lasciò le sequenze che l’ultimo videoclip affastellava sulla parete e, sentendo il desiderio di allontanarsi un po’ da quel clamore, volle ritirarsi nella stanza appena discosta dall’ingresso. La porta era socchiusa; la sospinse, e si meravigliò assai vedendo lei, che l’aveva abbandonato, e i suoi vecchi, in un unico abbraccio. Salutò con familiarità, quasi non avesse subito il distacco; prese lei per la mano e salì le scale, ma tale era lo stordimento, più di quanto volesse far credere, che salì per la rampa trompe l’oeil, accompagnato da chissà quale genio.

Superato l’ultimo gradino, si affacciò dall’alto sulla cavea ancor echeggiante e la immaginò vuota: in essa avrebbe potuto sistemare per sé, per la moglie e per il figlio, l’ufficio dell’operatore immobile, eppur collegato col villaggio ecumenico. Per la sua intimità, e per i messaggi col villaggio cosmico, pensò invece a una sala al piano superiore, dove, nelle notti stellate, la cupola, una volta aperta dalla magia dell’elettronica, gli avrebbe dischiuso tutti i luoghi delle sue eterotopie.

S’immerse in queste digressioni, la mano di lei ancora stretta, la cupola ancora dischiusa sullo spazio irreale che virtualmente si apre oltre la coscienza, quando un improvviso temporale gl’inseminò il capo: pensò allora che forse una più stabile copertura, magari colorata d’azzurro, avrebbe garantito la pace domestica.

sabato 11 settembre 2010

SEPTEMBER MORN

SEPTEMBER MORN

Garganiche nights

È duro il rientro nelle ‘patrie galere’… Forse le gallerie e i portici (per chi ce l’ha: qui latitano, o sono ancora ‘in vitro’, imballati nel cellofan della memoria dei giorni d’antan) possono raffrescare l’animo ancora assolato (spesso infreddolito o diaccio: animus, anima… ma sotto scalpita l’essenza, bramosa di zompare fuori).

Per scongelarmi, in attesa del prossimo weekend garganico (una Pugnochiuso vulcanica – almeno nelle intenzioni: ma il mare – e che baia! – c’è; location gorgonica, pietrificante, c’è pure il verde: ciuffi, prati, macchie, selva. Mancano le meduse. C’è ancora vita sulla terra…), mi faccio un bagno solare di grappoli neri di raggi UVA tratti dal mio 'rouge et noir' Gocce di pioggia a Jericoacoara (dove anche un po’ di Pugnochiuso schiude le sue grazie: gratia nisi gratis gratia non est…).

Inverni freddi, bui, senza fine, in attesa di un September morn. E settembre era finalmente lì, pronto a offrirsi, ma nell’animo di Lorenzo l’inverno continuava ancora a mietere vittime – questa sensazione, di falcidie interiore, di una Stalingrado dell’anima, l’aveva accompagnato fino a sole ventiquattrore prima. E poi il (femme) fatale incontro… E la bolla nera aveva cominciato a sgonfiarsi (ma non era scoppiata). E sì che nelle ultime settimane aveva tentato, vanamente (vanitas vanitatum), di ricorrere a vari meccanismi di difesa per rendere tollerabili quei momenti così duri; ma, quanto più tentava di allontanarli, tanto più alimentava la sua nevrosi – una riprova dell’accordo tra la psicologia sufi e quella contemporanea (a Lorenzo le pile della Kultur non erano mai scariche).

Aveva cercato – ma sapeva bene che il suo era solo un patetico bluff (era a conoscenza di ogni cosa, o quasi) – di autoconvincersi che gl’incontri di Arianna fossero stati solo giochi innocenti, discorsi al caffè per sentirsi più grande, o per restare un po’ garçonne. Più spesso, però, aveva visualizzato i fatti nella loro nuda rude crudezza (e concretezza). E il futuro? Cul de sac. Per chiudere il cerchio, un soprassalto sufi (con un tocco di vipassana: Lorenzo era ‘ballerino’): mai anticipare, con l’immaginazione, un futuro negativo; piuttosto, vivere l’attimo. E soprattutto, mai posticipare il passato negativo!

Il passato: double face. Pagine bianche, ingiallite, scritte su pergamena. Pagine e pagine. Lui, sempre perso tra le segrete dei libri. E i loro segreti (in seguito, anche Victoria’s secret). Libri ‘inchiodati’? Jamais! Books, booklets, penguin classics, livres de poche, pocket, tascabili, purché libri… (anche e-books. Ammazza… – amazon – che bibliofilo!) Li compulsava, slinguava, odorava, sniffava e poi vi ci si tuffava. Anche a occhi chiusi. Lorenzo era uno junkie, un drogato (di fogli stampati, non di cartine), un book-addicted: aveva più d’una scimmia sulla spalla (e gli facevano pure le linguacce). A proposito, pour parler: Lorenzo, il bookworm (ma anche movieworm), mai verminoso, però, fluiva in english, galleggiava in tedesco – aveva fatto uno stage nazi-runico –, dava delle belle unghiate french. E poi ogni tanto stillava, specie quando scriveva, gocce d’umor pagano dall’Olimpo e dai Sette Colli; un po’ di ‘vento divino’ dal Sinai per la par condicio e, sursum corda, sciacqui nel Gange.

Vagabondaggi intellettuali, intra ed extra-moenia (ultimamente, sempre più spesso, sconfinamenti internettiani – anche se il computer non tanto se lo filava), alla ricerca di quella rara, ricercata, emozione chiamata bellezza. Così, senza un perché (la bellezza, ma anche, talvolta, le sue incursioni libresche: entrambi, incursioni barbariche). Forse un tentativo per ‘confondere’ la tristezza, quel ‘demone’ – la malinconia (tra la planet melancholia di Lars von Trier e la melancholia ermetica di Dürer) – che di tanto in tanto faceva capolino dalle sue segrete e batteva cassa.

E la si leggeva sul viso. Cash. Quella tristezza che c’invade quando sperimentiamo – è George Steiner a ricordarcelo, mica uno qualsiasi – “le correlazioni fallite tra pensiero e sua realizzazione.” E lui spesso aveva toppato, anche quando era a un passo dal traguardo. Uno stop a un passo dal top. Né top gun, né top model… Ma a soccorrerlo ecco intervenire proprio lei, la ‘bellezza’, la musa da lui tanto ricercata.

Senso estetico e fame di cultura: il duo che lo manteneva in vita. Con o senza mouse. A muso duro. Per il ‘trascendentalista’ Ralph Waldo Emerson (uno dei ‘suoi’ filosofi) l’intellettuale viene educato dalla natura, dai libri e dall’azione. Ma per lui la natura era un po’ troppo spoglia (onda lunga della ‘fumosa’ Ilva del suo ‘locus natalis’?) e l’azione sin troppo lenta. Rimanevano, quelli sì, i libri: robusti, pieni di rami, frondosi, carichi di frutti. Arts and crafts. Lorenzo era un lettore creativo. Ma, soprattutto, un Aphrodite’s child.

Trasversale, transculturale, scultoreo (quasi: le giornate in palestra). Un esteta, un intellettuale, un pensatore… Olistico, all in one. Anche se, alla Emerson, la sua “rude forza pelasgica era tutta diretta verso il nascente senso della bellezza.” Lorenzo: bello e possibile (più spesso, possibilista. Tendeva, suo malgrado, al ma anche…). Lorenzo: a chance for a change. Innovativo, ‘esplorativo’: sempre attento ai ‘fenomeni’ della lettura, della scrittura, della religione. Lui stesso, in un certo senso, era un fenomeno. Non realizzato. Inespresso. Neppure raccomandato, né posta prioritaria e nemmeno semplice. Tanto meno fermoposta. Aveva tentato pure con la posta aerea, ma l’atterraggio era stato disastroso…

Rialzatosi in volo, con le ali ammaccate, cercando di sopravvivere a passato, presente e futuro, Lorenzo, alla fonda nell’appartamentino del residence ‘I Delfini’ – una velata garçonniére per neo-scapoli autistici – diede fondo agli scampoli della serata tra letture e ricordi, cavalcando le onde (radio), zompando di programma in programma (tivvù), facendosi doccia e sciampo, meditando (non all’orientale). Ma facendo ogni cosa come se non la facesse (aveva preso san Paolo proprio alla lettera).

Adda passà ‘a nuttata!: e la notte passò fulminea; lui, come un indigeno polinesiano, immerso (sonno e veglia) nel tempo del sogno. Immersione proseguita – questa volta da sveglio, con i sensi accesi – la mattinata successiva, tra la spiaggia di Pugnochiuso e quella di Portopiatto (con puntatine in piazzetta), nella vana speranza di rivedere la ragazza. I’d rather dance with you… E lui ballò da solo.

Cercava solo lei, sparkling champagne, bollicine di vita, effervescente, spumeggiante, frizzante fanciulla. E lui in bolla, imbrigliato, imballato, imbalsamato, imbolsito. C’era, infatti, qualcosa d’indefinibile, e di balsamico, nella pulzella (d’Orléans?) che lo attraeva, che intrigava Lorenzo – king of convenience –, che però andava ben al di là della scontata fascinazione fisica: come se una ninfa suonasse il flauto magico per richiamare (fosse pure solo a livello di feromoni) un’immensa folla e poi estrarre da essa un unico uomo, un solo bussolotto: lui.

Rien va plus, la fase monastica per Lorenzo era finita, il periodo blu aveva di nuovo passato il testimone al periodo rosa. Le pale del moulin rouge avevano ripreso a girare (fino a poco prima ben altre eliche). Alla faccia della pianificata strategia di Lorenzo, appartatosi nell’hortus conclusus, non per dar libero sfogo ai sensi repressi e assopiti dai lunghi mesi trascorsi all’addiaccio nel porto delle nebbie (casa e studio), ma per tirare le somme della sua vita. Ed eventualmente, le cuoia: la depressione esistenziale, e sentimentale, si sa, può giocare brutti tiri; e Lorenzo, ultimamente, aveva avuto anche attimi borderline.

Un rendiconto esistenziale in una Pugnochiuso rigiratasi, solo per lui, in una sorta di monte Athos: no sex-drug-rock‘n’roll. Era proprio quello che ci voleva… Niente donne, niente moglie, niente figli. Da solo, senza la ‘costellazione familiare’ (luci, ombre, buchi neri). Insomma, meditazione nuda e cruda (alla faccia di Ian Dury: l’aveva rivisto, infeltrito ma sempre fuori, proprio la sera prima tra una botta di tivvù e l’altra). E Pugnochiuso, la perla (nera, in sintonia con la sua saudade) del Gargano – pietra d’inciampo nell’outing esistenziale di Lorenzo –, oltre che tre settimane da raccontare, permetteva anche di purgarsi dal mondo.