giovedì 20 agosto 2020

FIRE FROM HEAVEN

               FIRE FROM HEAVEN

 

Ormai nella stanza pioveva a dirotto. Julim schivò la sciabolata di Arianna e continuò a cavalcare l’onda (pentecostale).

     «Ma non basta quello che ti ho detto (per inciso, condivido le tue affermazioni). Che il fenomeno sia ‘fenomenale’ se ne è accorto pure Cox, il teologo d’assalto della ‘nuova frontiera’ kennediana. Sì, Harvey Cox, il maggior rappresentante della Teologia della Secolarizzazione. Forse tu non lo conosci, ma è ben noto anche in ambito filosofico, specie con il suo “The Secular City. Secularization and Urbanization in Theological Perspective”, del ’65, uno dei testi più originali e brillanti della teologia (con riflessi nella filosofia e sociologia) del ‘900.» 

      «Ma qual è la sorpresa? – Julim anticipò, di un soffio, Arianna – Enorme: il Cox, nel ’95, ha pubblicato “Fire from Heaven: the Rise of Pentecostal Spirituality and the Reshaping of Religion in the Twenty-first Century”. Ossia: Fuoco dal Cielo: il Sorgere della Spiritualità Pentecostale e il Riconfigurarsi della Religione nel XXI Secolo. (Julim non sapeva – o se n’era dimenticato, preso dal fuoco consumante – che Arianna, thanks to mama Courtney, era bilingue, anzi, per motivi tangenti e contingenti, bazzicava un po’ di francese, spagnolo e, manco a dirlo, portoghese in versione carioca). Sì. un vero e proprio tributo al pentecostalismo, quanto quello degli anni ’60 era stato l’esatto opposto. Basta dare la scorsa a un paio di citazioni dalla Città Secolare: “Come dice Bonhoeffer, Dio, in Gesù, vuol insegnare all’uomo a fare a meno di Lui, a diventare adulto, libero da dipendenze infantili, pienamente umano”; o ancora: “... la parola ‘Dio’ dovrà morire, confermando così il giudizio apocalittico di Nietzsche, secondo cui ‘Dio è morto’.’’ Ma ecco l’ultimo Cox parlare del pentecostalismo come di: “fuoco spirituale che ha infiammato tutto il mondo, toccando centinaia di milioni di persone col suo calore e la sua potenza.” Di più: “un uragano spirituale che ha già toccato quasi mezzo miliardo di persone, una visione alternativa del futuro dell’umanità il cui impatto è, ancora e solo, ai primi stadi.Wow… i pentecostali possono esultare: hanno ricevuto il riconoscimento ufficiale, non solo di Dio, ma anche dell’’alta teologia’ (il che non è male...).» 

     Alta marea. Julim parlava come se Arianna fosse una cristiana ‘rinata’ (ma lei era ancora al sesto mese…).

     Sempre più in alto mare, il gringo: «Interessanti poi le osservazioni di Cox (che, peraltro, non si definisce pentecostale: è, infatti, battista), quando parla del pentecostalismo come della spiritualità ‘primaria’, originaria, o allorché riconosce nel ‘parlare in lingue’ la “trasformazione, per l’amore di Dio, del linguaggio umano, inadeguato e corrotto, in una lingua di angeli.” Ma non si ferma qui il nostro, parla apertamente dell’esperienza pentecostale come di un “incontro ‘speciale’ con lo Spirito Santo”. Sì, anche nei cuori ‘duri’ degli uomini di cultura cominciano a manifestarsi crepe sotto i ‘fendenti’ dello Spirito. D’altronde, anche un altro teologo di ‘frontiera’, l’ancor più noto Paul Tillich (nient’affatto pentecostale), non diceva forse che “fuori della fede non ci può essere speranza né salvezza vera”? E che “la Presenza spirituale – lo Spirito Santo – vivifica perennemente la vita”? Quel Tillich che, dulcis in fundo, con profonda cognizione di causa, osservava: “Dio risponde all’uomo in base alla sua domanda e la domanda dell’uomo è condizionata dall’aspettativa della risposta da parte di Dio.” Questo è il noto ‘principio di correlazione’ di Tillich. Come dire: l’uomo, se è fiducioso della risposta di Dio, pone il Signore nelle condizioni (in un certo senso) di rispondere affermativamente. Quasi quasi lo costringe… È un principio-guida, forte (e discusso), del pentecostalismo più radicale (in cui la fede è certezza assoluta), ma vicinissimo (ci risiamo) a tanti esiti della mistica medievale (Eckhart, uno per tutti) e post-rinascimentale (Angelo Silesio).» 

     (Silesio. Angelo sì, ma Tomás le aveva porto il volto luciferino…)

     «Un’ultima ‘provocazione’: Cox ribadisce (cosa che molti pentecostali hanno dimenticato...) che: “il Pentecostalismo rappresenta una montagna che guarda dall’alto i confini delle singole denominazioni.” E, aggiungo io, non solo la spiritualità pentecostale trascende questi limiti umani (troppo umani...), ma supera le grette separazioni (sottomissioni, in definitiva) di genere, di razza, di classe sociale, vanamente giustificate da parziali, miopi e strabiche letture bibliche. E infatti, come adempimento della profezia di Gioele e di Atti 2,17-18 (“...spanderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno...”), nella chiesa ‘primitiva’ di Azusa Street, a Los Angeles (in questo caso, città degli ‘angeli guida’, non più dei lost angels), c’era, sintetizzato, il fior fiore dell’oecumene cristiana. E non solo fedeli provenienti da varie confessioni e denominazioni, ma tra i dodici della ‘dirigenza’ spirituale (e materiale) c’erano sette donne e tre neri (un’assurdità per quei tempi; e oggi?). Una chiesa ecumenica (e democratica) ante litteram!» 

 

     Il risvolto black e woman sbloccò definitivamente Arianna. Ruppe le barriere, transgender. E Julim diede l’ultima pennellata alla tela. Alla Basquiat.

     «Ma dobbiamo andare oltre, trasgredire le frontiere… E riempire di graffiti i muri bianchi, o grigi, del cristianesimo. La mission? Fare dell’Era Pentecostale l’età dell’oro tanto agognata da ogni dove, e in ogni ora. L’Età dello Spirito Santo, l’auspicio profetico di Gioacchino da Fiore. L’Era Pentecostale, la Pentecostage. Meno Kali Yuga più Orso Yoghi…»

     La testa pelosa di Julim (dalla folta chioma riccioluta) rispuntò a fior d’acqua dopo il mal riuscito tuffo a pesce. Dopo il piranha, il pesce-pilota.

     «Diamo tutto lo spazio alla libertà dello spirito, ma non trascuriamo la ‘carne’. Carne e sangue non erediteranno il regno dei Cieli, perché è qui, sulla terra, e della terra, che debbono ‘acquisire’ la proprietà! Se Dio ha dato a un uomo ricchezze e tesori, e gli ha dato potere di goderne, di prenderne la sua parte e gioire della sua fatica, è questo un dono di Dio! Se possiamo forse ritrovare motivi di tipo sciamanico nel pentecostalismo, tanto che in alcuni suoi aspetti le ‘manifestazioni’ pentecostali e carismatiche – una sorta di ‘misticismo pratico-estatico- democratico’ – potrebbero essere definite “rivalutazioni di antichi motivi sciamanici, integrati in un sistema di teologia ascetica dove il loro contenuto ha subito una radicale modificazione” (Mircea Eliade sostiene questo riguardo a riti di tipo sciamanico rinvenibili in molte culture e religioni), dobbiamo, in ogni caso, rivalutare e rivendicare l’appartenenza alla terra. Occorre rifondare il cristianesimo: a te, Arianna, tocca un ruolo di primo piano, da primadonna. Non da velina, eppure toglierai i veli… Profana, fuori dal tempio, ma nel tempo. Nel mondo, fuori dalla religione, ma col fuoco rubato al cielo. I violenti s’impadroniscono del regno dei cieli… Sì, gli audaci! Morte di Dio come morte dell’immagine tradizionale di Dio e della religione. Eppure, se non siamo fatti da Dio, siamo fatti di Dio… (o siamo solo ‘fatti’, avrebbe pensato Arianna in altri tempi). Ma tu andrai oltre Nietzsche, porterai una speranza nuova, veramente nuova. Terra e Cielo si ameranno senza più nascondersi, alla luce del sole. Dio è morto come Dio statico, ma è vivo come Dio dialettico, dinamico, dionisiaco (ma pur sempre apollineo). Le virtù pagane trasfuse e trasfigurate dalle virtù cristiane… (parlava proprio come Lorenzo quando il suo vecchio Odino s’incontrava col pischello Gesù – ‘pesce pilota’). Ed è stato proprio Gesù Cristo, sceso dal trono per prendere il treno della vita, ad annunziare, con la sua morte (e la sua vita – uso qui la minuscola per rafforzare il concetto), la morte di Dio – riprendo concetti di Altizer e degli altri teologi della ‘morte di Dio’. Ma ci ha lasciato, in cambio, lo Spirito, la dinamica della nuova vita. Il futuro prossimo, alla Gioacchino da Fiore (fior da fiore), vedrà il profano confluire nel sacro e il sacro nel profano. Cielo e terra si abbracceranno, non saranno più ostili.»  

     Julim la guardò intensamente, con uno sguardo lievemente corrucciato, poi scoppiò a ridere.

     «Stammi ad ascoltare, buttati sui libri, scegliti i maestri che vuoi, ma stattene a debita distanza…» 

     Arianna allora comprese. Tomás e Julim si erano congiunti, baciati, abbracciati. Ai due, l’imperfezione (malgré Julim), si era aggiunto Lorenzo, il primo. Il triangolo si era formato, aperto allo spazio. Il messaggio era confermato: lei era predestinata.

 

(tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara)

 

 

 

giovedì 13 agosto 2020

ANOTHER BRICK IN THE WALL

 

ANOTHER BRICK IN THE WALL

 

     Fasci, fascine, sfasci… Il Muro non c’è più. Another brick in the wall. Galleggiano sull’etere i Roxy Music (fashion), e tutti dietro al flauto magico dei druidici Jethro Tull). A seguire Brian Eno (immancabile – il tocco chic), Gary Numan (sciccoso), i Japan di David Sylvian (supersciccosi), Wagner, Brahms, i Led Zeppelin (tutti da choc).

I Radiohead all’uscio. Minuettano, tra il sufi e il surf, Frei e Lou, mai stufi (uova strapazzate, forse alla coque). Poi vedo Diana. Si proclama loro figlia. Tutta vetro e acciaio, la sua ‘domus’ (così me l’immagino), come il Reichstag (quello di Norman Foster). Tutta futuro, lei e la sua mission (puntuta, alla Zaha Hadid). Con le nari che sniffano il passato (alla d’Annunzio) e soffiano sul presente. Odore di buone nuove.

 

     Una nave ‘omerica’ finita in secca? Un moderno altare a Poseidone? Una casa del futuro – o del passato preistorico? Una casa surrealista? Una casa fascista? O un rifugio ‘tiberiano’? Da un mondo impazzito? È la casa del dandy e del burlone professionale, l’’arcitaliano’, come lo chiamavano gli amici – o del malinconico romantico tedesco celato sotto la maschera? La ‘pura’ casa di un asceta? O l’inquieto teatro privo di un insaziabile Casanova?…  

Le parole di Bruce Chatwin, il ‘viaggiatore’, rullanti su Casa Malaparte, ben si attagliavano a Lorenzo e al suo building. Lorenzo come Curzio (o Kurt?). Quel Malaparte (‘malacarne’) che già aveva indicato in Mussolini “un restauratore dell’autorità, della fede, del dogma, dell’eroismo, contro lo spirito critico, scettico, razionalista e illuminista dell’Occidente.” Casa vorticista, la casa caprese di quel grand’esteta del Curzio (e della gaia Capri di Krupp e armerie omo-amatoriali varie): fascista, archeofuturista, vulcanica (vulcanista?), ossimorica…

 

     L’imagismo e il verticismo, un vortice di stili e passioni in cui si fondevano astrattismo fotografico, futurismo, neo-orfismo e cubismo. Per poi ricomporsi e di nuovo liquefarsi in fluidità e prospettive multiple, alla Bernard Tschumi, alla Zaha Hadid e, soprattutto, Frank Gehry. 

Proprio come, virtualmente (e talvolta concretamente), in Lorenzo, altalenante in architettura – e non solo – tra l’’albino’ Terragni e gli ipercolorati Arquitectonica, quelli del complesso The Atlantis di Miami-vice. Ma con un occhio, ipermetrope, al gruppo SITE, con le loro facciate frastagliate, scollate e scollacciate.

 

     Una nave da crociera buca il silenzio della notte. La ‘baia del gabbiano’ l’approdo. Qualcuno scende. Poi la nave scompare. Nessun rumore, prima e dopo. Nel mezzo uno strappo: srotolata è la vita, dalla trama esce l’anima, finemente intessuta, di nero striata. Si stira, tira fuori le unghie, inizia a graffiare.

Sfioro l’urlo ma mi rinserro. È lei a graffiarmi, la notte mi fa solo il solletico. È il suo orlo che mi tocca. Annamaria il nome (le sue labbra mi abbordano, mi vellicano – e non ho il vello). Pelle nuda, schietta, schiva, velvet underground. Sotto, audace, palpita il cuore (il suo, i miei muscoli di contorno). Amore che squassa l’anima.

 

     “Se qualche poco di luce da lontano mi viene, è da te Jonio gentile, che le muse riconduci ai lidi degli Dei: fra l’uva e l’uliva Eros ancora versa vino agile e resina…” La sabbia infreddolita aggredisce le calde membra roride di sale e d’ambra (forse, d’ambrosia). Mi aggrappo al carro (del perdente). Catullo, Saffo? Di loro il soffio. 

E il carme? Scarmigliante sospiro di Raffaele Carrieri, bollente fiumano dei due mari, smagliante parigino-meneghino d’antan, sciabordato via in sciaraballe dalla molle Tarentum, tuttora imballata. E non sono balle. Bollicine…

      

    Eros che scioglie le membra. S’allunga il cono d’ombra. Il mare: un lago di champagne (e le bollicine? Imperlano la sabbia nostra compagna). 

Sciaborda l’acqua, sfugge al laccio della luna. “Eccola, eccola là, eccola là, la Luna… C’era la Luna! La Luna!” (e le stelle? Una, nessuna, centomila…). Selene, cameratesca, sfoggia allegra il suo abito da sera, lungo. La coda del suo candore raggiunge i nostri corpi, ne sbianca le bronzee finiture, aggiunge loro bianche vampate di energia, vitalità, salus. Immacolata tra le stelle riposa discosta la sua casta veste da camera. Tutto gronda, tutto pulsa. In tutto un impulso. Bollicine, lucori, turgori, luccicanze lunari. Love goes on.

 

     Il getto d’acqua tiepida cominciò a distribuirsi generosamente ed equamente su dossi e curve. Scivolò, quindi, fin nelle cunette, non disdegnando le superfici piane (poche) e le valli fiorite. Toccò poi il fondo rugoso, deviando all’improvviso verso l’omphalos, per scomparire infine negli abissi. Acqua a fiotti, frettolosa, per masse fluttuanti. Acqua nei fiordi. Per Fiordaliso.

Le pareti translucide, sia pur riottose, non poterono evitare il contatto bagnato che ne imperlava la superficie interna. E lo scontato scontro con le masse oscillanti. Anzi, queste parevano godere della situazione. E per ricambiare la cortesia, furono ben liete di fornire un esile ma volenteroso sostegno ai volumi dinamizzati. Diritti, flessi, combacianti, intricati. 

Il segreto e l’ignoto. Spazzolati. Cento colpi. Uno più, uno meno. Corpi scolpiti. Ben torniti. Vincolati, slegati, vincenti. Persi, costretti nel piccolo ambito, ma incuranti del contorno. Vibranti oltre i limiti di sicurezza (e della decenza). Bastevoli a se stessi, ma in procinto di tracimare.

Silenzio prima di uscire, silenzio prima di entrare. In mezzo, una cascata di suoni. Il contatto delle masse e delle superfici, il fluire e il rifluire dell’acqua corrente, il perlage, l’aria vintage, il parlottio sincopato, quasi dopato. Forse metalinguistico. Tutto parlava. Tutto taceva nell’infittirsi dei suoni. E dei movimenti. Iniziali, al climax, finali. E al calare del sipario, ecco subentrare l’uscita trionfante dalla cabina della doccia e l’ingresso sottotono negli accappatoi impazienti…

 

     Ti svegli in spiaggia. C’eravamo solo noi in spiaggia. Con un legno Tyler ha segnato una linea dritta nella sabbia lunga qualche metro. M’illumino d’immenso, m’immergo nel venereo grembo, galleggio. Emergo, sfioro i margini, solco il pelago ondoso, beccheggio. S’acquieta… Le stringo i polsi, lei mi s’incatena al petto. Unchain my heart. Rullano i tamburi. Il mare risponde. Tutto nell’universo risplende...

L’orizzonte si espande. Segnali di fumo. Smoke gets in your eyes sfuma nell’aria sempre più velvetizzata. Echeggia lontano, beccheggia vicino (si raggomitola nell’anima, fa le fusa). Musica ancestrale per giovanili ardori (gli anni ottanta sono alla brina, ma vibrano ancora, trepidanti, mai tiepidi). Lucore di coltelli.

     Light mi fire. Una musica metallica risale in superficie, si sgomitola e fila via dal pelago dormiente. Sfibra in jazz fusion, nevrilmente vibratile, febbrilmente volatile. Sfiora l’ossimoro, poi ci marcia, immarcescibile: Miles Davis, John Coltrane, Marcus Miller (e nel frattempo nel salon avanza a passi felpati My first love – di Avant, un altro cantore cool. Che ci posso fare… sarò eretico, anche un po’ criptico, ma Diana mi è compagna al duol, cameratescamente).

     Inertia creeps. La musica si sgomitola dalla navetta (ha preso il posto della nave da crociera) e solca agile i navigli dei ricordi, ormai fumosi, mai famosi (se non nelle segrete dell’eternità). Massive attack. Fumigante, ribelle, marziale.

Poi la marcia trip-hop rallenta, s’illanguidisce… Kind of blue: l’onda sonora abbraccia la fredda sabbia, scivola sulle calde dune, rotola come stuoia sotto i nostri corpi strepitanti. Come tapis roulant scorre sotto le anime sfrigolanti: tarpa le ali all’attimo fuggente…

 

(dal mio inedito Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo?)

martedì 11 agosto 2020

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

 

State attenti tutti quanti
non fa tanti complimenti
chi non balla, o balla male
lui lo manda all’ospedale…

 

     Ed eccola ora qui, ancora in ballo. Viva, vivace… Prospera nonostante la tempesta, speranzosa malgrado la situazione. Aveva lasciato Pinocchio, ma non Mangiafuoco. In cerca di un gagà; non di un gadget ma di avventure a gogò. Nel paese di Kakà.

     Più bionda che mai. E dal fascino sempre più intenso, altalenante tra il sensuale e l’algido. L’espressione sognante ma intensa, a labbra dischiuse – Oui, Je suis Deneuve –, quella della giovane ma vissuta Séverine, l’indimenticabile ‘Bella di giorno’ di Buñuel (film da lei clandestinamente visto non ancora quattordicenne – anche in questo un percorso simile a quello di Lorenzo). Arianna: belle toujours. Bella e possibile. Pronta a ballare (e correre) coi lupi. E a far da sponda ai colpi del destino. Onda su onda: Eros e Kairòs. E il cuore arso, le ceneri sparse (in attesa che qualcuno le sniffasse…).

     Ma il momento era catartico: dal freddo artico al tropico del cancro (consona col suo segno zodiacale), il ghiaccio del suo cuore oceanico si andava sciogliendo al contatto con le correnti calde, sempre più superficiali. Rolling stones, alcuni iceberg si erano già staccati: ma attenta al Titanic... E agli squali.

      Holidays on the ice (fino a poche ore prima; ora l’acqua iniziava a bollire). Ghiaccio bollente. Ice ed eros. D’altronde: l’erotismo non è questione di posizioni. Nasce da situazioni, diceva Mario a Emmanuelle. E Tomás aveva reiterato il concetto.

      Strano tipo Tomás, ma simpatico. E soprattutto, bello e dannato. Desafinado. E con un fascino che andava oltre... Charme ‘autre’. Oltre il virile (Paolo Virilio, l’architetto-sociologo esploratore della modernità, sostiene che a ogni scoperta segue un disastro. E Tomás fu davvero una scoperta…).

     Una volta scartato il ‘pacco’, Arianna divenne rosso carminio. Altro che la donna pallida, scarmigliata, affacciata al verone, di carducciana memoria! Carmina burana. Macho charmant, Tomás, tempestato di brillanti (occhi, pelle, denti, capelli), niente di burino. Burroso, ma con l’aria sfrontata di chi corre senza Nike sul ciglio di un burrone. Maschio vittorioso... Brown sugar. E il luccichio, goloso, degli occhi zuccherini di Arianna – Nike alata – ne era una palese conferma. E sì che lei era abituata a innamorarsi. Cascata tra le braccia di Lorenzo al ritorno – abbronzata al cioccolato – dal suo primo volo transatlantico, quello del ’74. Coccolata, annoiata, passionale, diaccia. Pappa e ciccia. Chocolat. E più d’un tranfert, più d’una caduta. Canard enchaîné.      

     Niagara falls: prima la follia d’amore, nostalgia canaglia, poi la corsa scatenata sui tornanti – le salite alla Bartali e le discese a folle, alla Coppi. In ultimo, rigor mortis. Memento mori (Nostalghia alla Tarkovskij: il tocco, esangue, giusto per lei, fiorentina doc). Un tour de force, e senza maglia rosa. Maglia nera. A gara, un’altalena di fasi: orale, anale, fallica, genitale. Vita geniale, fasi lunari: luna calante, luna crescente, luna nuova, luna piena... E il sole? Eclissi.        

     “Questo e nient’altro è la vita: la vita è piacere. Alla malora le angosce. È breve il tempo per vivere. Presto, il vino, le danze, le corone di fiori, le donne. Voglio star bene oggi, giacché è oscuro il domani.” Lì le donne, qui la donna, stufa di uomini, vogliosa di maschi. E di muschio. Il detto di Pallada, poeta alessandrino, una delle ultime voci pagane – non solo Ipazia – non ancora soffocate dal rumore dei passi dell’avanzante medioevo (quello buio), evocava le voci di dentro di Arianna. Sfocate, spolpate, ma ancora non soffocate dal vociare della metropoli.

     Un arco teso, in attesa del dardo. Invocato, e lei infuocata. Vox clamans in deserto. Ma Lorenzo non aveva risposto. Insabbiato. Chiuso nelle sue risposte, recluso nelle sue certezze. E lei era fuggita dal carcere. In volo.

 

(tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara)