Sottotilo:
Dalla junk city alla junk soul (ora sempre più funky)
Coach: termine che dal campo dei ‘pallonari’ (parlo di calcio, s’intende, ma non tralascio i ‘caciaroni’) è rimbalzato su quello, sempre in terra battuta, di psicologi, counselor, ‘formatori’, e giù andando.
Coach: termine ai più ascoso e astruso (in effetti, è un intruso intrufolatosi di soppiatto nella loquela sempre più piatta e ‘desertizzata’ della massa bipede starnazzante – ma c’è sempre chi, dal basso e dall’alto cerca di tenere alto il vessillo della Parola: Bonolis, se non ci fossi bisognerebbe inventarti! Ma anche tu, Laurenti, non sarai di lingua sciolta, ma ci fai, se non sdilinquire, scompisciare: il tuo squittire e strogolare ci strega…).
Il deserto cresce, guai a colui che cela deserti dentro di sé…
Termine di moda, fashion, dicevo, come del resto la sempre più ‘cult’ PNL (specie in ‘rete’ – visto che parliamo di pallone), in voga (anche se spesso ‘vaga’) tra ‘iniziati’, ‘orecchianti’, ma anche gente ‘scafata’.
In ogni caso, che piaccia o no, ormai del coach e del coaching non si può più fare a meno, specie per chi vuol progredire in campo professionale e imprenditoriale (per non parlare dell’arena – ci sono gladiatori, leoni e altra fauna e… flora – dello show-business e, di conseguenza – scusate la ‘scivolata’ demagogico-qualunquista –, della politica: riguardo ai risultati di un buon coaching, al di là delle altre componenti di successo, basti leggere il recente Ma Obama ha usato l’ipnosi? – vai al mio post del 23 dicembre scorso).
Quindi, rimettendo la palla in campo, andiamo in porta e cerchiamo di fare goal (che è poi il fine ultimo del coach e, soprattutto, del coachee, il cliente). Cos’è, in definitiva il coach? È un ‘allenatore’ (trainer) che ‘addestra’ individui ‘sani’ (nelle varie tonalità dal ‘bianco sporco’ – non esiste il bianco che più bianco… – al ‘grigio’) a ‘tirare fuori’ tutte le potenzialità (inespresse o solo parzialmente ‘attivate’) per indirizzarle verso un obiettivo desiderato (traguardo, obiettivo, goal).
Tirando le somme (e i remi in barca), il coach sostiene ‘empaticamente’ il coachee e lo aiuta (ristrutturandolo, resettandolo) a passare dallo ‘stato attuale’ (spesso ‘inespresso’, loffio) allo ‘stato desiderato’.
La sua mission è, dunque, quella di impedire che – come fu per uno dei servitori della parabola evangelica – i talenti che ciascuno ha (che siano pochi o molti, poco importa) vengano ‘sotterrati’ (come spesso accade per una serie di motivazioni che la PNL ben sa), bensì li fa ‘fruttare’.
Il coach, con il suo bagaglio culturale, la sua ‘tecnologia’ psicologica (meglio ancora, psico-spirituale), accompagna il coachee nella sua ricerca di individuazione e crescita (empowerment), mediante la messa in luce della sua essenza (il suo 'nucleo' spirituale - vedi l''approccio del diamante' di Almaas, oppure il concetto di 'ghianda' e di 'daimon' di Hillman, per non parlare delle ricerche di Assagioli e della 'sua' Psicosintesi – e naturalmente, ça va sans dire, della grande lectio divina di Gesù Cristo...).
È, in definitiva, un mentore (‘monitor’, monitore, in fin dei conti anche consulente, counselor) che insegna, offre doni, inventa e dà consapevolezza, motivazione e dissemina informazioni (apre molte ‘finestre’).
È spesso il ‘tipo’ dell’archetipo del genitore o del vecchio saggio, o ancor meglio, dell’ex-eroe (e infatti la PNL si fonda sul modellamento, ossia il 'ricalco' di personaggi che hanno avuto successo), il quale, sopravvissuto alle iniziali prove della vita, usa i doni del suo sapere e della sua saggezza per far crescere il suo 'allievo'. È lo Zarathustra che scende dal monte per portare al mondo i suoi doni…
Fermate il mondo, voglio scendere!
A proposito, anch’io vi do un dono.
Sempre dal mio Gocce di pioggia a Jericoacoara (in attesa di un mio prossimo manuale sull’argomento), alcune ‘gocce’ di coaching:
«A cuccia, coachee!»
Galatea si alzò un attimo e puntò il dito contro Lorenzo (con l’altra mano continuava a giocherellare con la rosa-croce – un più intersecato, barrato, da una x – appesa sfrontatamente al collo piacevolmente modì).
«Che?» (non quello del ‘diario della motocicletta’: Guevara, questo sì che era un must per Lorenzo – calmo sì, ma sempre rivoluzionario. “Une passion pour El Che ”, di Jean Cau, lo aveva fatto entrare nei suoi ranghi.)
«Sì, coachee, cliente del coach. Io sono una coach, una life coach. Meglio, una peak performance coach. Un po’ caucciù un po’ babà. Dolce e duttile, ma anche dura se necessario. Sì, mio caro Alì Babà… Dolce, ma mai da gabbare. Un gabbiano…»
Galatea spiccò il volo (col pesciolino in bocca – quello appeso al collo di Lorenzo: anche questo, ma svogliatamente, modì).
«Coach, termine di moda, fico, modaiolo, trendy, ma operativo, efficace, ficcante. Eccome... Dai, Lorenzo, so che con te si può parlare alto e profondo. Tu sì che puoi mangiare la mela e non metterti poi la foglia di fico. Seguimi, che t’insegno qualcosa. Da cliente ti farò mio partner…»
Passò al dunque. Cominciò a snocciolare ‘arachidi’ e ‘ciliegine’. Vari assaggini per saggiare il ‘grande saggio’ (così lo chiamava, per sfotterlo).
«Mettiti bello comodo. Meglio riesci a rilassarti, meglio sei capace di operare. Dopo di che registra tutto quello che ti dirò. Apri i cassetti della memoria e poi, a giochi fatti, non chiuderli a chiave.»
Lorenzo obbedì e Galatea, la romanina (romanaccia d’origine – trasteverina doc –, poi toscanaccia d’adozione, ora ‘ubiqua’), dopo averlo addolcito con un bacio alla nocciola, aprì la sua cassaforte e tirò fuori le prime ‘perle’ (coltivate).
«Se vuoi star bene e partire ogni giorno col piede giusto, per prima cosa copia e incolla i tuoi pensieri positivi, duplicali e ripetili più volte che puoi: in questo modo potrai maneggiare la mente, cioè la base operativa di ogni tua azione. Questo come premessa. Poi fa’ qualcosa di bizzarro: rompe la routine e t’induce a pensare che la realtà è quella che tu decidi, non quella che ti viene imposta dall’esterno. E sii sciolto, libero, sfacciato… Se ti trovi a disagio, in imbarazzo, emozionato, mentre sei ‘coinvolto’ con chi ti è di fronte, respira dentro di te la sua presenza; inspirala con piacere, con voluttà, e rilassati poi nell’espirarla; e ripeti, insisti, finché non ti senti a tuo agio con lui (meglio, con una ‘lei’: con questo sistema andrai forte all’attacco della ‘preda’…). È un modo pratico per incominciare a imparare a gestire i tuoi stati d'animo E non ho finito. Vedo che con me sei a tuo agio, per cui ti clicco un’altra chicca (parlava un po’ come Gaia!). Questa è davvero chic: Trasforma il ‘voglio’ in ‘dare’, ossia fa’ finta di dar via la cosa che vuoi, fingi di non farci caso, che non t’interessa. Dalla indietro, non accettarla, restituiscila. Ma solo virtualmente. Accadrà invece che, non solo sarà tua, ma l’avrai oltre ogni misura. Comprendi il senso, viziosetto caro? Il ‘voglio’ indica una mancanza, il dare significa abbondanza (al che Lorenzo si ricordò del detto evangelico: “Cerca prima il Regno e avrai ogni altra cosa…“).»
«È vero, se ne sente la mancanza. C’è proprio bisogno di coach in questo mare in tempesta.»
Lorenzo, risvegliato dal ‘flash’ biblico, ancorché accucciato sgusciò in una performance a sorpresa (prima, forse per il vocio tutt’intorno, non aveva afferrato il termine, o aveva fatto finta; ma lo conosceva bene, sia pure da poco tempo. E conosceva bene pure lei…).
«Sì, il coaching è quello che più si adatta ai tempi d’oggi. Specie poi per chi ha fretta (e chi non ne ha?), per quanto oggi si stia tornando ai ritmi lenti. Lenti ma rock. Finalmente… (Lorenzo non aveva mai amato la fretta dei robot gasati o dei bipedi schizzati di cui erano piene le strade e i marciapiedi). Sto leggendo ‘Economia dell’ozio’, del sociologo Domenico De Masi (ma quanti libri leggeva contemporaneamente Lorenzo?!). Un attimo, ti cito un passo interessante...»
Lorenzo prese a prima botta il libro dalla borsa da mare (una matrioska quanto a letteratura) e si tuffò, anche qui a colpo sicuro, nella pagina deputata (fortunatamente in superficie).
«“Al pittore David, che gli chiedeva come preferisse essere ritratto, si dice che Napoleone abbia risposto: “Sereno su un cavallo imbizzarrito” (…) Imbizzarriti su cavalli sereni ci appaiono, invece, molti intellettuali di professione, molti studenti assillati dalla fretta di apprendere, molti moderni capitani d’industria con le coorti di manager che – punk in doppiopetto – praticano oggi le virtù marziali e contagiose della competizione globale.” E aggiungo io, tanta gente che riempie la giornata con tante corse inutili dietro al nulla. Non il Nulla, quello con la maiuscola, il Nulla mistico in cui il ‘Dio nascosto’, l’En Soph, frantuma il diaframma che lo cela alla vista degli uomini; non la ‘corona eccelsa’, il cratere magmatico in cui tuffarsi per riemergere bagnati di vera vita, ma il nulla minuscolo, quello che sarebbe mille volte meglio riempire con un ozio produttivo (c’era ancora il sapore salato delle gocce delle ‘nuotate’ teologiche di Gaia sulla sua pelle…). Tempi di pausa o attese sgradite, sfibranti (alla posta, all’aeroporto, tra un impegno e l’altro), da riempire, piuttosto, con qualcosa di ‘significativo’, di vibrante, dissonante (e qualche giorno prima Lorenzo aveva fermato il tempo con alcune sfrenate riflessioni di Marcello Veneziani, altro suo conterraneo della rive droite). Innanzitutto, letture: non diceva forse Isidoro di Siviglia che la crescita dello spirito deriva dalla lettura? E il cardinale Martini: “in una mano la Bibbia, nell’altra un giornale.” Per non parlare di Bonhoeffer: “la Bibbia sul pulpito, al lavoro, sull’inginocchiatoio…” Ma torniamo alla lentezza (la lentezza della poesia ci salverà dalla frenesia del mondo…), al pathos della distanza, contro il bieco e cieco pathos dell’attivismo. Le pause non sono inutili, sono i momenti più produttivi della giornata e della vita! La pausa è azione. Recuperiamo, diluito ogni giorno, lo shabbat, il riposo, l’otium, il sabato divino. Che non è ancora terminato. Ed è anche lui buono. Shalom! Approfittiamone per meditare, fare abbozzi di programmi per cambiare la nostra esistenza (ed essenza). Diamoci anima e corpo alla cultura, agli altri, allo sport, alla danza. Galatea, divertiti, gioisci, godi…»
Galatea non se lo fece ripetere due volte e balzò su Lorenzo, per sedurlo seduta stante (in pratica, violentarlo alla fachiro sulla ghiaia chiodosa della morbida baia di Pugnochiuso). La presenza della gente intorno valse a dissuaderla (di necessità virtù): d’altronde, la vacanza era solo al bocciolo.
Lorenzo, scampato il pericolo, sputato il nocciolo, prese a sua volta la palla al balzo. Non era impreparato sull’argomento: aveva in pugno, non solo l’elogio della pigrizia (bonjour paresse!), ma, per sopraggiunta necessità, la modernità della malinconia (proprio lui che incoraggiava il Pensiero Positivo e il fou rire – ma la malinconia, quella dell’otium, è bella. Bella di giorno. Belle toujors).
Si schiarì in volto e, raggiante, illuminò contorno e ripieno del telo da mare di Galatea, dissolvendo l’incombente ombra dell’ombrellone reboante. Poi diede fiato alle trombe: una jam-session sul coaching (negli ultimi mesi aveva letteralmente saccheggiato i siti internet alla ricerca di ‘reperti’ e tonalità nuove), a mani levate e passo sicuro (sia pure su virtuali tacchi a spillo. Quelli di Galatea erano reali: solo il pietrisco della spiaggia era riuscito a convertirli in più opportune infradito rasoterra, sia pure stilose).