domenica 27 dicembre 2009

WHITE MERRY XMAS: BARRY WHITE, BLACKBERRY & MAN IN MASK

WHITE MERRY XMAS:

BARRY WHITE, BLACKBERRY & MAN IN MASK


È Natale (o giù di lì: siamo al fondo della discesa di questo scivoloso 2009 – sto per sbattere alla palizzata del 31). Inizio con un augurio a Gaia (quella del blog che frequento più spesso. È vero, c’è pure Anna K. …ma questa è una frequentazione off-limits: sarà anche una kattiva maestra, ma ke kultur!). Lo ripeto tale e quale (l’augurio a Gaia) e lo estendo a tutti voi, lettori di buona volontà: Qui da me la neve latita. Solo ghiaccio secco (nel frigo: non si sa mai...). Ma forse della neve c'è dentro di me (la sento sciogliersi mentre leggo il tuo post: non sarai il sole ma il tuo 'alito' è caldo...). A proposito di alito, che lo Spirito aliti sul tuo Natale (e poi ricorda: il Natale, se sei "nata di nuovo", è ogni giorno! Ed è sempre estate...). Dai, basta con gli ossimori (e gli ossi di seppia: vai con il capitone...): Buon Natale e che la Forza (dynamis = spirito) sia con te!

E visto che ci siamo, ripesco e rilancio nel web anche un augurio (ma nasce come risposta a un suo post) al Genna di PsicologiaNeuroLinguistica altro blog su cui mi affaccio di quando in quando: Sì, il Natale è la festa del dio sole. Ma il sole è anche immagine di Gesù Cristo (il "sole di giustizia"), del nostro "sole interiore" (l'essere "figli di Dio"), del sole che scioglie il ghiaccio dei nostri cuori... (non voglio essere zuccheroso e mieloso, per non dire melenso, ma tant'è...). Insomma, te lo dico con 'entusiasmo' (il "Dio dentro"): Buon Natale. E che la Forza (Dynamis = Spirito) sia con te!

Fatto è che, tra white merry Christmas, blackberry e Barry White (e non solo: Alicia Keys e Beyoncé scalpitano: che puledre – e io: l’asino che vola…) sto in souplesse da paresse natalizia (man in mask? Forse da masquerade senza vampiri, semmai qualche vamp).

La neve mi imbianca (virtualmente), ma non mi sbianca, né mi sbanca. Sono più sbilanciato verso la saudade; se non Café del mar o Malibu, almeno (o al più: è una delle top ten tra i must della buena vita – quella da paresse balneare, s’intende) la mia Jericoacora: di lì pesco la solita perla (i pascoli oceanici sono ancora fruttuosi…). Dal primo gennaio, tra una ciancia e un inciucio (linguistico, ma sblocca le sinapsi, anzi le moltiplica; per questo ti rifilo queste perle, anche un po’ pirle…), inizierò un programma di PNL spirituale che ti lascerà senza fiato (ma con molto spirito).

Il deserto cresce... guai a chi cela deserti dentro di sé! Io, nel frattempo, continuo a mirare (al)le stelle...


Good times, bad times. Lorenzo, sovraccarico, quasi ubriaco, di sensazioni sempre più hard (nel senso di: pienezza, interazione olistica di corpo-anima-spirito: quasi un intasamento dei sensi), si afflosciò nuovamente, dolcemente – soft – sulla sdraio (aveva passato le ultime ore sul terrazzino, apparentemente senza concludere granché): un timido assaggio di solare notte cosmica (riecco l’ossimoro!) gratificò la raggiunta quiete del suo animo, e di tutti i suoi sensi, prendendo il posto della sua precedente, pervadente, inquietudine. Dandogli, per la prima volta dal suo arrivo (era il secondo giorno), un senso d’invadente calma, di piacere quasi fisico, di atarassia, aponia, anarchia... Calma talora smossa da residui sfrigolii di un’ancora fresca agonia rattrappita, raggelata, ma sempre più scossa da nuovi brividi di giubilo, gioia, gaiezza: pochi, brevi, parziali.

Sentiva nella ghianda dell’anima che c’era something new in the air. Qualcosa di nuovo stava per accadere: su di sé, intorno a sé, dentro di sé, sentiva good vibrations. Sentì vibrare il nucleo, il cuore, l’antro sotterraneo che si celava dentro: un desiderio violento lo pervase, come magma pronto a eruttare che la crosta esterna comprimeva, tratteneva, faceva muraglia tutt’intorno. Bramose voglie in cerca di un significato, aneliti vulcanici, ma spesso degradati a basic instincts senza profondità vitale.

Nondimeno, dal mondo del sogno – il Tjukurrpa aborigeno in cui spesso si rifugiava, e da sempre (già nel ventre materno – così gli sussurrava l’Io subliminale) – più di una volta era riuscito a tirar fuori il ‘nucleo immaginale immanente’ (frase a effetto esplosa da Lorenzo in una delle conferenze amatoriali del suo periodo rosa), cioè la qualità ‘numinosa’ che lo sottendeva. In pratica, aveva dato corpo (nel vero senso del termine) ai voli della sua immaginazione.

Quel bisogno di creatività, di fuga dal mondo, di fantasie da realizzare, che può creare sia il gigante sia il mostro. Ma Lorenzo non era riuscito a essere né l’uno né l’altro; se non a sprazzi o, nel migliore dei casi, in maniera discontinua, frammentata. Arenato, frenato, appesantito dall’io sociale che non lasciava correre il suo io reale. Eppure la voce tiranna Krishnamurti dixit – gridava...

E come strillava! Munch… Sussurri e grida. Un urlo sul ponte.

Ginsberg… che urlo! “Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche,
trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa…” Anche Lorenzo arrancava, ma senza strillare. Non più nero di rabbia. Solo frenato. Senza remi, con molte remore. Ramingo.

Freni interni ed esterni. Per rompere i quali, e catapultarsi nella vita, aveva cercato – pensando che fosse lì il problema – d’integrare il puer con il senex (quest’ultimo, in lui, pressoché assente), affinché si riconciliassero e passeggiassero insieme. Ma il fanciullo aveva avuto sempre la meglio.

Aveva, infine (passo decisivo), compreso che il suo malessere esistenziale derivava da un bisogno inespresso di esplorare le contrade del mondo dello spirito, le città invisibili: un mal-essere che solo un rivolgimento completo del suo essere, una metànoia, avrebbe potuto dissolvere.



sabato 19 dicembre 2009

MALIBU NIGHTS

MALIBU NIGHTS


“… talvolta, negli uomini e nelle donne, c’è qualcosa che salta subito agli occhi, che appaga il nostro senso estetico e spirituale. Qualcosa che, al di là della bellezza esteriore, è come una luce che viene da dentro e illumina tutto. È quella serenità, quell’equilibrio, quel senso di appagamento che riesce a coniugare impegni ed aspirazioni, pubblico e privato, in cui ognuno sente di poter regalare qualcosa di se stesso perché ha imparato finalmente a volersi bene.” (Roger Peyrefitte)

Siamo sempre in viaggio. Tu sei un cercatore della verità (o di qualcosa che le assomigli: similes cum similibus…). Se mi segui in questo blog, piluccando qui e là, baloccandoti, eliminerai ogni ‘blocco’. Andrai anche oltre ogni blackblock e blackberry. Sarai in onda dovunque…

“Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione (…) Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita.”

Sì, questo è un viaggio al termine della notte (prendo spunto da Céline, lo scrittore ‘maledetto’ – ma neanche Peyrefitte scherzava…). Se non altro, stai avendo una ‘benedizione’: hai visto la luce… Dai, scherzo, celio… (ma con Céline c’è poco da scherzare!)

Dicevo, il viaggio è utile, fa lavorare l’immaginazione… (ma anche la luce che viene da dentro e illumina tutto fa parte del viaggio: un itinerario interiore alla scoperta di sé, utile per portare allo scoperto la tua vera essenza…) Sì, quel che importa è, non solo il traguardo – il Peak State ora non più un miraggio, ma anche lo stesso viaggio. Perché? Ci sarebbero diverse risposte, ma quella più pertinente è, appunto: fa lavorare l’immaginazione. D’ora in poi, infatti, penserai, non solo con il “cervello razionale” (l’emisfero sinistro”), ma con il “cervello immaginifico” (quello destro).

E non solo fumus… ma fatti: d’ora in poi l’elaborazione dei dati, le tue scelte, le tue decisioni saranno: rapide, sintetiche, percettive, intuitive, focalizzate verso il traguardo.

Inoltre, avendo ‘riattivato’ l’emisfero cerebrale destro (era attivo quand’eri un bimbetto tuttifrutti, ora è pressoché spento, se non altro opacizzato), sei diventato senz’altro più creativo. Quindi, sei già a un ottimo punto – in piena performancedal momento che, non solo hai appreso diverse nozioni e tecniche per te, non dico sconosciute, quanto meno ‘latitanti’, ma sei entrato in un’atmosfera molto più ‘ossigenata’.

Dai, insisti… biondo (sai… l’acqua ossigenata – scherzo, i giochi di parole mi ‘prendono’ e io non so dire di no!). Sì, insisti: light your fire! (qualora, per qualche motivo, dopo uno start brillante non ti senti più smart…): più ti applicherai (leggendo, rileggendo e di lì diramandoti su altri libri o navigando sul web – ci sono molti utili ‘approdi’…), più i tuoi progressi saranno rapidi e successful… Sempre che tu ci metta impegno, determinazione e applichi con costanza le strategie che ti ho insegnato, valide come primo approccio al cammino verso lo “stato desiderato” e per il conseguimento dei tuoi obiettivi.

Devi metterci focus (attenzione, concentrazione, intenzione) e momentum (l’impulso per il passaggio dalla fase di ideazione a quella di attuazione). Soprattutto, passione e desiderio. Devi essere hot like fire! (vai su YouTube e approda al ‘pezzo’ di Aaliyah: ti darà la carica…) E poi, stai acquisendo il metodo grazie a cui, tra l’altro, per citare di nuovo Peyrefitte, troverai quella serenità, quell’equilibrio, quel senso di appagamento che riesce a coniugare impegni ed aspirazioni, pubblico e privato, in cui ognuno sente di poter regalare qualcosa di se stesso perché ha imparato finalmente a volersi bene.”

Bene, facendo con me questo viaggio apri (per il momento virtualmente: d’ora in poi… dalle parole ai fatti) tutto il ventaglio delle possibilità: come hai visto non c’è solo destra e sinistra (parlo del ‘cervello’ – quanto alle ideologie, vai con quelle ‘forti’: il soft lascialo solo agli amoreggiamenti loungeMalibu nights), c’è anche ‘sopra’ e ‘sotto’ (spirito e materia – mente conscia e mente inconscia, per non parlare del superconscio e della Supermind…). Finora hai utilizzato a tuo favore quasi esclusivamente la mente conscia: ossia ben poco, se consideri che essa è responsabile di forse neppure il 5% dei tuoi comportamenti.

Non ci credi? Lo so, sembra assurdo, ma in noi, esseri ‘razionali’, oltre il 95% del comportamento è condizionato dalla mente inconscia (sarà un caso, ma mediamente anche il 95% delle tue promesse non sono state mantenute – non ti preoccupare… d’ora in poi avverrà il contrario: magia della PNL con spirito!). Perciò, puoi anche desiderare, consciamente, di cambiare… ne senti l’impulso, lo “slancio vitale”, ma la mente inconscia ti “tiene al palo”, alla catena: non quello che vogliofaccio, ma quello che odio, quello faccio… (san Paolo)

Sì, puoi provare il desiderio di ‘emergere’, di liberarti di ogni ‘incrostazione’ e correre nudo verso la meta… ma a livello inconscio rimarrai sempre ‘vestito’ (di pezze) e legato alla tua meta terra terra… Solo cambiando il tuo programma inconscio (forse non te ne sei accorto, ma la sottile “ipnosi eriksoniana” ‘emanata’ da queste pagine ti sta pervadendo…) riuscirai ad agire in modo differente. Ma, ripeto, devi ‘commutare’ il tuo programma inconscio (come ho letto da qualche parte, ben oltre l’80% dei vincitori di lotterie sperpera tutto il denaro: è condizionato a livello inconscio ad essere squattrinato...).

In ogni caso, se la spinta a fare qualcosa è ‘situata’ nel tuo inconscio (man mano che ‘metabolizzerai’ i concetti, tutto quel che desideri ‘pianterà’ il suo seme nel tuo inconscio), per realizzare il tuo obiettivo l’impulso (l’iniziativa) dev’essere ‘conscio’.

“Ciò che è consueto intesse intorno a noi una ragnatela sempre più solida, e presto ci accorgiamo che i fili sono diventati funi (…) Per questo lo spirito libero odia tutte le abitudini e le regole, tutto ciò che è duraturo e definitivo… (Nietzsche).

Slegati la testa… corri nudo verso la meta! A proposito di meta, siamo arrivati al settimo giorno (quello del riposo di Dio). Se consideriamo come giorno 0 la domenica, allora il giorno 1 è stato lunedì, il giorno 2 martedì, il giorno 3 mercoledì… il giorno 7 di nuovo domenica (a voler essere rigorosi il settimo giorno è il ‘sabato’, ma qui, per comodità, invece di quella ebraica uso la ‘scansione’ cristiana). Ma che differenza tra le due domeniche! Sì, te ne sei accorto: la domenica “giorno 0” eri concreto, ‘materiale’, “coi piedi per terra”, ma alla fine non concludevi praticamente nulla di veramente ‘memorabile’ (anche al solo scopo di “goderti la vita”). Oggi, domenica “giorno 7” sei immaginifico, ‘spirituale‘ e ‘visionario’… eppure sei pronto a cogliere i ‘frutti’ del cielo e della terra!

Impara a visualizzare: renderai ogni tuo desiderio ‘presente’, legato all’oggi. In questo modo, avvicinerai il futuro e ripescherai dal passato.

Creati un’immagine chiara di ciò che desideri e ‘colorala’ di emozioni. Comunque, non rinviare, poni tutto nel presente.

Rilassati, comincia a ‘galleggiare’, lasciati andare… Pensa intensamente a ciò che desideri…

Creati un’immagine mentale di ciò che desideri, visualizzala intensamente: colorata, suggestiva, carica di emozioni…

Pensala, sentila, al tempo presente, oggi, così come tu la desideri (il ‘volere’ indica ‘carenza’, il ‘desiderio’ attira…).

Immaginala come se (già esistesse, fosse tua…), sentiti nella precisa situazione in cui desideri essere.

Focalizza l’obiettivo, ‘lanciagli’ energia positiva, fa’ affermazioni positive (sì, è mio… ho raggiunto il traguardo!), abbi fede!

Come ormai ben sai, l’inconscio possiede un potere (quasi) illimitato. Sfruttalo con l’aiuto della visualizzazione… Per fare cosa? Per esempio, per modificare mentalmente il contenuto dei ricordi ‘negativi’, che tu ‘ricostruirai’ in modo da farli diventare ‘positivi’. Come?

· sostituisci la tua sensazione di ‘fastidio’ (ansia, panico, vergogna) o le immagini negative con una sensazione positiva attinta al pozzo (di san Patrizio? O il vaso di Pandora?) dei tuoi ricordi (va bene anche una situazione solo ‘immaginata’, che visualizzerai con tutte le submodalità ‘accese’ – oppure, se la persona ti faceva sentire a disagio, perché troppo ‘importante’ o supponente, immaginala con i riccioloni biondi, le guance paffute e rubizze…).

· modifica (azzerandole, addolcendole, “rivoltandole come un guanto”) le parole che nel ricordo ti possono aver ferito o ossessionato (sei un buono a nulla… come maschio sei uno zero assoluto… sei una grande… Trasformale rispettivamente in: sei buono, pronto a tutto… sei un maschio ‘alfa’… sei grande grande grande…).

Quindi, grande è la forza della suggestione. Questa agisce sull’inconscio, che, a differenza della parte conscia (consapevole), non è in grado di discernere, ossia di fare differenze, in quanto, per l’appunto, ‘inconsapevole’.

Ma non sempre questo è uno svantaggio: chi sa ‘manipolare’ l’inconscio mediante la suggestione (un’ipnosi ‘sottile’) riesce a ottenere ciò che desidera... Un esempio di suggestione negativa: cominci a parlare di lavoro e ti viene il mal di testa. Perché? Perché associ il lavoro alla stanchezza e al mal di testa (e lo ‘affermi’ spesso e il lavoro mi sta rovinando la salute!). Hai gettato questo seme nel terreno (fertile) del tuo subconscio e questo ha germogliato. Non subito però. È rimasto al ‘buio’ fin quando la ‘luce’ della parola ‘lavoro’ ha illuminato il subconscio e ha fatto ‘germogliare’ la tua emicrania…

Magia? Sì, magia della parola… Però, più che volere quella cosa, devi agire sull’immaginazione e sulla forza del desiderio. La volontà nulla può sull’inconscio, ma il desiderio è incantatore… (charmant: dal latino carmencanto ipnotico, affascinante, la Carmen di Bizet…).

Non agire con la ‘forza’ ma con l’’inganno’ (trick), oppure con la suggestione…

Che fastidio, che voglia di grattarti… Più pensi al prurito più aumenta: invece, guardalo, avvicinati con lo sguardo al ‘prurito’ (rendilo quasi ‘materiale’…), osservalo, prendilo in mano, guardalo di nuovo, poi con colpo di medio sul pollice fallo volare via. Il prurito non c’è più…

Ma fendo i cieli e all’infinito m’ergo." (Giordano Bruno)



domenica 13 dicembre 2009

SUNSET AT CAFÉ DEL MAR

Sunset @ café del mar


Cool day, cold day, coldplay… Nelle mie ioniche lande il freddo tarda a manifestarsi: anche il cool a onor del vero. Tutto sembra stagnante, eppure il fuoco cova sotto la cenere. L’acqua però tarda a convertirsi in vino: continuiamo ad attingere al pozzo della samaritana in attesa dell’incontro fatale – scorreranno allora fiumi d’acqua viva? Prima le nozze di Cana: dalle enormi giare vuote (oppure litri e litri di acqua stantia) al vino novello in tintinnanti calici. Poi Nicodemo: dalla letargica notte soporifera al liturgico giorno della nuova nascita (acqua tonica e frizzantimo a iosa); quindi la caliente samaritana pronta a lasciare la brocca alla fonte, visto che ha trovato dentro di sé la sorgente inesauribile…

Questa la mia confidante speranza, certezza mia personale in vista del roundabout dietro l’angolo. Ma anche la tua fidente speme (se sei lettore di questo blog al di là del bene e del male perciò, ‘divino’… e tu: divina): rileggeti tutti i post, spremili, centellinali, sorseggiali, ingoiali (tre pillole al dì), e a fine mese avrai deglutito tutto il pasto (i post, paté compreso). Quanto all’effetto: meglio dell’aloe vera… Come sottofondo, Hotel Costes e Café del mar (quanto meno, ma less is more). Come letture di contorno questi miei tralci (roba d’antan, un paio d’anni Jericoacoara, più di venti La domus padana scritto di presentazione al mio progetto per il concorso "La casa più bella del mondo" ma sempre up-to-date): mai d’intralcio, semmai pietra d’inciampo (non c’è cura migliore della scrittura – e lettura – creativa, ça va sans dire). Lo diceva lo stesso buon Jung (leggi il primo dei tre ‘tralci’), e io, da discepolo freelance (oltre ogni ossimoro e al riparo del sicomoro degli amori al café del mar), verso l’ambrosia ai samaritani di turno.

“…le parole agiscono solo perché trasmettono un senso o un significato; in ciò consiste la loro efficacia. Ma il ‘senso’ è qualcosa di spirituale. La si chiami pure ‘finzione’… Ma con una finzione noi agiamo in modo infinitamente più efficace che con preparati chimici (…) anzi agiamo perfino sul processo biochimico del corpo. Ora, sia che la finzione si produca in me sia che mi venga dall’esterno per mezzo della parola, essa può farmi sano o malato; le finzioni, le illusioni, le opinioni sono le cose più intangibili, più irreali che si possano immaginare, eppure da un punto di vista psicologico e perfino psicofisico sono le più efficaci.”


Jericoacoara mon amour


Guardiana del sogno, la brezza pomeridiana. My boo: Arianna, sospinta dai sospiri eterici di Alicia Keys, scavalcò flessuosa l’adone sdraiato sulla sabbia fine lambita dall’andirivieni di onde, tenue sospiro dell’oceano. La pelle brinata, e brunita, di Tomás raccoglieva golosa i gelosi raggi del sole tardo-invernale del Nordeste, caldi malgré tout. Rinviandoli rifratti e condensati a formare un’aura caleidoscopica, custode del suo corpo come in un sacro sarcofago. Uniche increspature, il vibrare della muscolatura tonica e il crogiolarsi sul bagnasciuga della spuma effervescente: lascivo invito al retrostante, desertico, Sertão a lasciarsi andare.

Brasile: legno di colore rosso. E rosso fuoco il colore (politico) e il calore di Arianna, specie quella ex ante. Il primo tuffo velvet underground dalle felpate sabbie di Praia das Fontes, nel febbraio del ’74: lo stesso anno, la stessa acquariana atmosfera dell’incontro con Lorenzo, solo un paio di mesi in anticipo.

“Quando soffia la brezza primaverile dell’amore ogni ramo, che non sia secco, si mette a danzare.” La poesia di Rumi, il bardo sufi che soffiava nel suo oceano interiore, aveva accompagnato il surfeggiare del suo cuore alla Prevert sulle onde dell’amore, prima cosmico, poi orgasmico. Un amore (quello pre-Lorenzo) sbocciato sulle dune di sabbia bianca e fiorito tra le scogliere e il labirinto stellare delle falesie.

Era la seconda storia importante di Arianna, una passione sbocciata sulle ceneri (e sbocconcellata sulla sabbia). La prima, invece, appassita, bocciata, scivolata sulla prima buccia di banana. Gialla ma annerita in più punti. Ma questo frutto della passione, passiflora sbucata dall’oceano, ben lontano da casa, era stato più profondo, eppure anch’esso fugace.

Nulla, però, in confronto alla terza, la liaison con Lorenzo. Questo amore così violento, così fragile, così tenero, così disperato. Bello come il giorno, cattivo come il tempo. quando il tempo è cattivo. Questo amore così vero, così bello, così felice, così gaio e così beffardo. Tremante di paura come un bambino al buio. E così sicuro di sé, come un uomo tranquillo nel cuore della notte. Questo amore che impauriva gli altri. Che li faceva parlare, che li faceva impallidire. Questo amore spiato. Perché noi lo spiavamo. Perseguitato ferito calpestato ucciso negato, dimenticato. Perché noi l’abbiamo perseguitato ferito calpestato ucciso negato, dimenticato. Questo amore tutto intero. Ancora così vivo. E tutto soleggiato...


La domus padana


Era l’alba, il momento più degno per l’incontro cui tanto aveva anelato.

Si avvicinò al locus: il genio aveva ghestalticamente ricomposto le mille tessere in quarant’anni gelosamente serbate.

I have a dream si trasfigurò: la sua domus padana era lì, del sito proserpina, eppur ecumenica.

Nell’aura dai colori non ancora accesi, il portico audace tentò l’approccio, baroccamente giocoso, novecentescamente solenne.

Incuriosito, come bambino quarant’anni addietro, scartò la pur breve scalinata, infilò la rampa di sinistra, sospinse l’uscio ed entrò: una luce soffice lo accolse mentre s’incamminava incerto verso qualcosa che gli appariva un curioso dialogare tra reale e virtuale.

Scartò la scala di sinistra e acquisì la tattile consistenza cromatica che l’imago autre offriva di sé sulla flessuosa parete di destra: eterna diatriba tra essere e non essere, o forse qualcosa di più semplice? Scelse la prima ipotesi e, baldanzosamente attratto da sons et lumiéres, s’affacciò nella cavea ellittica.

Improvviso s’elevò un urrà di benvenuto: elfi e umani lo avevano per quarant’anni atteso e ora pubblicamente lo ringraziavano.

Ripresosi dallo stupore, gli parve persino di riconoscere figure settecentesche, perfettamente a proprio agio, così come cantava quel loro dialetto padano, così antico, eppur così vicino al suo.

Improvvisamente, vicino al camino, tra le griffe spuntò il figlio che se n’era andato appena grande, forse rientrato nei ranghi dopo anni di romitaggio esistenziale.

Lasciò le sequenze che l’ultimo videoclip affastellava sulla parete e, sentendo il desiderio di allontanarsi un po’ da quel clamore, volle ritirarsi nella stanza appena discosta dall’ingresso.

La porta era socchiusa; la sospinse, e si meravigliò assai vedendo lei, che l’aveva abbandonato, e i suoi vecchi, in un unico abbraccio.

Salutò con familiarità, quasi non avesse subito il distacco, prese lei per la mano e salì le scale; ma tale era lo stordimento, più di quanto volesse far credere, che salì per la rampa trompe l’oeil, accompagnato da chissà quale genio.

Superato l’ultimo gradino, si affacciò dall’alto sulla cavea ancor echeggiante e la immaginò vuota: in essa avrebbe potuto sistemare per sé, per la moglie e per il figlio, l’ufficio dell’operatore immobile, eppur collegato col villaggio ecumenico.

Per la sua intimità, e per i messaggi col villaggio cosmico, pensò invece a una sala al piano superiore, dove, nelle notti stellate, la cupola, una volta aperta dalla magia dell’elettronica, gli avrebbe dischiuso tutti i luoghi delle sue eterotopie.

S’immerse in queste digressioni, la mano di lei ancora stretta, la cupola ancora dischiusa sullo spazio irreale che virtualmente si apre oltre la coscienza, quando un improvviso temporale gl’inseminò il capo: pensò allora che forse una più stabile copertura, magari colorata d’azzurro, avrebbe garantito la pace domestica.



sabato 5 dicembre 2009

Love is a losing game

LOVE IS A LOSING GAME

(I heard love is blind)


Come afferma Goleman, le emozioni sono attitudini fondamentali nella vita. Dall’interazione tra sfera affettiva (un’emozionalità che ‘abbraccia' l’’altro’, che da monade ti fa diade – tertium non datur? Chissà…) e dimensione cognitiva nasce l’individuazione dell’essere umano come ‘soggetto’ partecipe del suo essere-nel-mondo. Ogni distorsione o ‘rallentamento’ in questa dinamica rende l’essere umano, non solo ‘statico’, ma gettato nel mondo. Nondimeno, con Heidegger, l’uomo, nel suo esser-ci (dasein) è sì “gettato nel mondo”, ma ha la potenzialità di ri-progettarsi continuamente, di interrogarsi sulla vita e sulla morte, sull’essere e il nulla.

“La capacità di entrare in sintonia emozionale con un’altra persona, ovvero la capacità di essere empatici, implica di conseguenza il saper cogliere queste coloriture affettive che accompagnano tutta una serie di atteggiamenti ed espressioni individuali, non codificabili verbalmente e razionalmente. Come un antico detto insegna, “l’occhio è effettivamente lo specchio dell’anima” (Aldo Carotenuto, Il tempo delle emozioni). È quel che, senza che ciò implichi necessariamente innamoramento (o friendship with benefit…), possiamo chiamare empatia o, nella PNL, rapport.

Quindi, il requisito della realizzazione interiore è in antitesi con quello dell’Ego: se quest’ultimo ha un atteggiamento di difesa, di ‘resistenza’, o chiusura a riccio, le caratteristiche dell’essenza (il vero ) sono, invece, l’apertura, l’amore… L’amore spiana il cammino all’essenza e a quella che è la lampada al suo piede: l’intuizione, ossia la potenza cognitiva. Non solo, ma sviluppa in te l’empatia, ossia l’esperienza dello stato di coscienza altrui: il fatto che tu possa sperimentare l’esperienza di un altro Io diverso da te. L’empatia è un sentire dentro, un patire dentro, un sentire insieme, una compassione interiore e reciproca.

Fermandoci alle tecniche PNL (un’empatia ‘contrattata’, per così dire), all’’empatia (rapport), ottenuta con il ‘rispecchiamento’ e l’’imitazione’ (mirroring e matching) – quindi, dopo aver assecondato il ‘cliente’ (“andando al passo con lui”: leading) – segue il ‘ricalco’ (pacing). Ultimo punto – last but not least – da osservare è l’ecologia, cioè la verifica conclusiva che la persona stia agendo in totale rispetto con se stessa (ossia con il suo ‘sistema’ di credenze e valori).

Mirroring/matching, pacing e leading: la Programmazione Neuro Linguistica, con questi termini, intende mettere a fuoco il work in progress della relazione terapeutica (o del percorso di peak performance). Il mirroring e il matching indicano il “farsi analogo” con l’’altro’, il pacing l’andare a braccetto col paziente/cliente, l’assecondarlo, lo stargli dietro, mentre il leading indica il guidare, il condurre il coachee su una strada ‘piana’, breve, con eventali ‘scorciatoie’, verso il traguardo prefissato (goal). Questo, ossia lo stato desiderato, è l’obiettivo del percorso ‘strategico’: che venga prima il pacing o il leading, non importa. Nella realtà terapeutica o ‘strategica’ non è, infatti, così chiaro o univoco distinguere le fasi di rispecchiamento e ‘mimesi’ da quelle di assecondamento e ‘guida’. Le modalità del “dialogo terapeutico” sono infatti in continua, personalizzata, evoluzione: sovente il ‘coach’ dà luogo a una sorta di improvvisazione clinica o ‘strategica’, pur seguendo un protocollo di base, o, quanto meno, delle linee guida.

Ma torniamo, dalla prosa, alla poesia. Osservato questo rapporto empatico, emozionale, affettivo, passionale (con tutti i benefit possibili…), in quel che segue. Leggetelo per emozionarvi, ma andate anche dietro lo specchio… Troverete l’immagine ideale di voi e la pulsione per un effettivo élan vital (come al solito queste “pillole di vita” – o perle? non dite cozze… – le ho tratte dal mare magnum del mio Gocce di pioggia a Jericoacoara).


“Marinai erranti! Frammenti d’antiche stelle! Voi mari dell’avvenire! Inesplorati cieli! A tutti i solitari ora getto l’amo: date risposte all’impazienza della fiamma, catturate per me, pescatore su alti monti, la mia settima, estrema solitudine!” Tornati all’appartamento di Galatea, non molto lontano (ma vi giunsero quasi in volo), l’approdo fu il letto. Singolo, ma duplicatosi nelle intenzioni.

La camera galleggiava nel buio della notte, al riparo dai venti della metropoli. Camera con vista. E nessuno a vederli. Veni, vidi, vici. Solo la brezza dei loro respiri, poi gli alisei dei loro desideri, infine il caldo monsone della loro rinascente passione. Il montone e la pecorella (in realtà, il leone e la pantera). Un vero manhattan sceccherato (il secondo).

Twist and shake. Scacco al re. Così parlò Zarathustra. E Dio diede il suo amen. I due marinai erano scampati alla tempesta. Prospero e Ariel si rotolavano sul bagnasciuga. Eppure, nessun uomo è un’isola. E nessuna donna. La penisola poteva ancora attendere, tanto più l’Arno d’argento. Non c’era pericolo che si arrugginisse. New York aveva l’oro in bocca e loro due non erano tipi da gettare le perle ai porci.

Erano due esseri liberi. Avevano aderito al proprio fatum. E cavalcavano la tigre (sempre lei, ma ora più pantera). Nei limiti e nei presupposti della loro ‘natura’, la loro libertà era completa, ma la loro ‘animalità’ li rendeva soggetti alle pulsioni. Non all’istinto, come porci sia pur imperlati, alati o no che fossero, ma all’impulsiva o repulsiva (non compulsiva) scelta o rifiuto del proprio destino (Dio che guida l’uomo e l’uomo che Lo cavalca).

I heard love is blind. L’uomo e la donna: tigre contro tigre. Amore cieco. Graffiante. Lorenzo e Arianna, due griffe: liberi di perdere la propria umanità per poi trascenderla, o di scendere nella fogna (o nell’abisso) per poi risalire semprevergini. Essenze fragranti. Senza etichetta. Esseri sfolgoranti, in continuo divenire. Arianna e Lorenzo, vetrine in allestimento (senza più manichini). Ben lustrati per la prossima inaugurazione (dopo essere stati listati a lutto). Perduti, si erano ritrovati. Rigenerati, si erano ‘ricreati’ (e si ricreavano in tutti i sensi…).

L’alba, ancora imperlata da gocce di luna, cominciava a rosseggiare pudica, in attesa spasmodica delle prime, audaci, vampate del sole mattutino, ribaldo reduce dalle scorribande notturne nei lerci sottofondi della città terrestre.

Lorenzo e Arianna non erano da meno. Erano tornati al mondo ‘moltiplicati’, ma ri-uniti. Ripuliti da tutte le scorie. Non da tutte le scaglie, però (a proposito, i serpenti… Dove si erano cacciati?). Rimanevano in bilico l’orma del ricordo, l’impronta del passato (e del peccato), la memoria che giace silenziosa (simul iusta et peccatrix), che attende soltanto che qualcuno o qualcosa la risvegli, dicendo la ‘parola’. E il mito, che è parola, sa sempre come tornare in superficie.

Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Amici mai (di Venditti), amanti sempre (senza più vendette). Ed eccoli, i ‘mitici’, le ‘vedette’, con una coppa di vino (champagne millesimato) in mano (e una rosa tra le dita di Lorenzo), pronti a danzare tra le nuvole, dopo aver toccato il fondo dell’oceano. Senza retorica o recita da saggio di fine anno. Non erano dei back-guys/girls, dei revenant, dei boomerang.

Love is a losing game. Gli anni erano passati (anche neri – black is back), ma non invano, con i loro andirivieni, tornanti, toboga e bungee-jumping. E con le tracce mnestiche ancora a pelle E ora erano ridiscesi (loro e i loro anni, gli ‘anta’), ma sulle vette, con tutte le fibre dei loro corpi ringiovaniti pronti alla fusione nei ripristinati amplessi d’amore, tra scabri colli e verdeggianti valli. Vedette (lombarde, toscane, pugliesi…).

Vette spianate, colline, dune, giardini. Battesimo di corpi, comunione di anime, cresima di spiriti, unzione. Trinità e unità. Doppia, triplice ‘unzione’. Sulla strada di Elia ed Eliseo, sulla via Emmaus, lontano dal viale di Eliogabalo.

La via di Babalon l’avevano intravista, ma di svista. Babilonia pure (New York. Roma, ancora no). La porta del cielo si era aperta. E via a ogni sensazione, a tutte le emozioni possibili (beninteso, positive). Epidermiche, tattili, duttili. Granitiche. Stalattiti e stalagmiti. Evoluzione della specie.

Polo positivo e polo negativo. Entrambi in pole position. Dalle vette apollinee scivolarono poi negli abissi di Venere. Speziati, impreziositi, spretati. Anche un poì spietati. Volendo dirla alla ‘iki’ (senza dimenticare le atmosfere alla Prevert e, perchè no, alla Baudelaire – con Anna K. a guardare), erano in tre nella stanza: una rosa, una bottiglia di champagne e …loro due.

“Non pretendete che gli altri comprendano l’unione dei vostri corpi nel piacere né la compenetrazione delle vostre menti e dei vostri spiriti. Chi non ha fatto questa esperienza non può capire: non cercate di spiegare perché le parole non servono…” Ashley Thirleby e il suo Tantra avevano facile gioco sulle parole. Anzi, le speziavano ancor più. Specie in momenti come questi. Cosmoteandrici, pentecostantrici, ostetrici. Parole fluide ma corpose. Liquide, pronte a imbucarsi in ogni recesso, in ogni andito. Parole ‘cesaree’, corsare. Ma occorreva spaziare oltre. Andare al di là dell’adyton. Verba volant. Ci volevano i fatti. Terra terra. Dissotterrati, spianati, sbucciati. Sbucati dalla memoria akashica.

“Vi furono mai nozze come queste? Un paradiso li ospitava e cherubini e serafini furono i rispettosi invitati.” Come languide anguille, i corpi avvinti si contorcevano, accasciati, avviluppati, atterrati, approdati, ora affioranti, ora imbucati. Efflorescenti, vividi nel loro calore. Intumescenti. Quasi colorati. Cariche e scariche. Arianna e Lorenzo sapevano il fatto loro. E lo facevano. E non avevano un attimo di tregua. Nessuna sosta nel giardino di Eden alla Emily (Dickinson), solo il battito del diapason. La notte era in stand-by (l’alba aveva fatto marcia indietro).

Abbandonati in un intimo, chiuso, abbraccio; aperti l’uno all’altra. Con la vocazione all’alto (e l’uno per l’altro. Senza terzi incomodi o convitati di pietra – semmai di spirito). Dischiusi all’eros che si fa voce, pur nutrendosi di silenzio. Rarefatto, evanescente: la gola che cominciava a schiarirsi e l’ugola che iniziava a vagire.

I respiri in sincronia, tra movimenti asimmetrici eppur combacianti. Ogni chakra aperto al flusso delle energie d’amore. Ars amandi, sinergia delle emozioni e dei feromoni. Un uomo, una donna. Vaghi, vaganti. Vaghe stelle dell’orsa. Maggiore e minore (mai uguali. E se uguali, diversi). Due voci. Concerto a voce sola. Infine, l’urlo.

“Amare è sentire la pressione del corpo assente contro il proprio.” (Anna K. Valerio, sempre lei a infierire, l’orca assassina, mai anoressica – tutta Iki, per grazia, con grazia.) Garcia Lorca e arca di Noè. Sesso: un sasso nello stagno. Fuori dalla palude, in mare aperto, tra correnti e gorghi rotanti. Un rodeo.

Ormoni e sinapsi, gli uni rilasciati, le altre connesse e moltiplicate. Duplicazione degli effetti, l’affetto a fette. E dappertutto, fitte. L’ossitocina a fiotti, affettiva, complice, duplice, semplice. Supplice. La dopamina alle stelle, cupida, pronta ad accopparli (accoppiati lo erano già, corpo, mente e spirito: tre per due).

Il cervello sessuale aveva ormai preso il posto del cervello bradipo. L’epifisi: schiusa. La ghiandola pineale: fusa (sempre più ‘liquida’). I movimenti: sempre più veloci, dopo l’apparente parentesi. Ognuno il prolungamento dell’altro.

Lui e lei in ogni declinazione, coniugati dal qui e ora, apparentati dalla rinnovata familiarità e dalla resuscitata complicità. E poi di nuovo frammentati in un arcipelago di membra alla ricerca l’uno dell’altra, l’una dell’altro. Ricongiunti infine, a formare una sola grande isola. E il letto a fare da piattaforma continentale.