martedì 13 novembre 2018

HEART – Il cuore oltre l’ostacolo


HEART
Il cuore oltre l’ostacolo
(cover)
Oggi, preso da studi di teologia e counseling biblico (sì, c’è anche quello, non solo il counseling filosofico), mi sono imbattuto in tre capiscuola cristiani del Pensiero Positivo: Robert Schuller, Norman Vincent Peale, Harry Emerson Fosdick. L’ultimo sinceramente non lo conoscevo, per cui, volendo approfondire, ho pescato nel web questo suo articolo, di cui vi propongo alcuni (s)tralci.
In mancanza di mie esternazioni – oggi sono al pit-stop – ve lo voglio riproporre (è una cover, in forma ridotta): nella sua semplicità è molto motivante. Chissà che qualcosa non si sblocchi – o si rimetta in moto, oppure acceleri – nella vostra vita (e soprattutto nella mia).

Uno psicologo mi disse una volta che quasi tutti i casi di discordanza emotiva con il proprio ambiente sono dovuti al fatto che gli uomini non vogliono accettare se stessi quali sono.
Si ribellano, cioè, contro le proprie limitazioni: vorrebbero essere qualcun altro.
Continuano a fantasticare su quello che farebbero se avessero la personalità e le occasioni favorevoli di un altro. E così, trascurando le proprie possibilità, non riescono a far nulla di buono con se stessi. Ebbene, chiunque può trovare motivi di scontentezza nella propria sorte. […] I successi più esemplari della storia sono venuti da persone che, affrontando angustie e ostacoli, li considerano come parte del cimento della vita e  si danno da fare
Una volta, mentre Ole Bull, un grande violinista norvegese, dava un concerto a Parigi, gli si spezzò la prima corda dello strumento; Ole Bull, senza perdersi d'animo, eseguì il pezzo su tre corde.
Questa è la vita: vedersi spezzare la prima corda e finire su tre corde.
Appena incominciamo ad adottare questa tecnica positiva per superare i nostri svantaggi, questi ci si presentano come occasioni che ci invitano sempre al cimento, e talvolta ci entusiasmano.
Ribellarsi contro le avversità, o compatire voi stessi e pensare di non avere la personalità adatta, non serve a nulla.
Bisogna avere l’audacia di considerarsi come un insieme di forze  in potenza e affrontare il cimento più interessante del mondo: sfruttare al massimo le proprie qualità migliori.           
In una battaglia contro i saraceni in Spagna, così racconta la storia, gli Scozzesi lanciarono oltre le loro file il cuore di Robert Bruce e poi combatterono con tutte le loro forze per riprenderlo.
È così che si deve fare. Prendete in pugno la vostra vita, lanciate avanti un ideale e una speranza e poi lottate per raggiungerli: ordinate la vostra vita in funzione di uno scopo.
Molta gente non riesce a diventare qualcuno perché considera la vita una cosa da trovare, invece di una cosa da creare. Ciò che si trova è soltanto l’esistenza, e il nostro vero compito è di ordinarla secondo i nostri progetti e i nostri scopi, così che diventi una vita.
[…] Spesso il migliore amico dell’ uomo non è l’agiatezza, bensì la sfida lanciata dall’ ambiente ostile.
Almeno tre fattori contribuiscono alla formazione d’una personalità di questo genere.

Il primo è l’immaginazione.                                         
Una grande vita comincia con l’immagine che qualcuno si forma, di ciò che vorrebbe fare o essere un giorno.
Florence Nightingale sognò di essere infermiera; Edison si immaginò inventore; tutti i personaggi come loro dominarono le circostanze, immaginando il loro avvenire in modo tanto vivido da procedere senz’altro in quella direzione.
Pensate a John Keats, il poeta inglese dell’Ottocento: orfano fin da bambino, oppresso dalla miseria, tormentato dalla crudeltà dei suoi critici letterari, deluso in amore, colpito dalla tubercolosi ed infine falciato dalla morte a 26 anni.
Nonostante tutte le sue disgrazie, la vita di Keats non fu sopraffatta dalle circostanze.
Dal giorno in cui, giovanissimo, gli capitò fra le mani una copia di The Faerie Queene di Spencer non dubitò più che anche lui era nato per essere poeta: tutta la sua vita fu guidata da un proposito imperioso che gli dette un posto durevole tra i grandi poeti. «Credo», disse una volta, «che dopo la mia morte avrò un posto fra i poeti inglesi».
Aveva fissa in mente questa immagine di sé, ed essa fu per lui quello che il cuore di Robert Bruce era stato per i guerrieri scozzesi.
Tenete abbastanza a lungo ferma un’immagine di voi stessi davanti agli occhi della mente, e sarete trascinati verso di essa.
Se vi figurate con chiarezza di essere sconfitto, basterà questo a rendere impossibile la vittoria. Figuratevi chiaramente di essere vincitori e ciò basterà per contribuire immensamente al vostro successo.
Non immaginatevi niente di voi, e andrete alla deriva come naufraghi.

Il secondo fattore è il buon senso.
Non serve a nulla che un quadrato s’immagini di essere un circolo.
Non serve a nulla fantasticare una improbabile vincita, per essere felici. Non serve a nulla pensare in termini di “Se…” (Se mi capita quella occasione…).
Molti brancolano pietosamente alla ricerca di incredibili occasioni, prima di scoprire la direzione giusta della loro vita. […] Usate il cervello nell’immaginarvi una meta. Ma, con o senza discernimento, scegliete una meta, non abbandonatevi alla deriva.

Terzo fattore: il coraggio.
Le vere personalità posseggono sempre quella fede che suscita il coraggio.
Sebbene la sua generazione fosse contro di lui, Riccardo Wagner ebbe fede nella propria musica, e soggiogò il mondo.
Dopo che per molti secoli si era creduto alla invincibile virulenza della febbre gialla, a Cuba un piccolo gruppo di medici confidò di poterla vincere e vi riuscì.
Charles Darwin lavorò 20 anni in un giardinetto inglese, riuscendo e fallendo, provando e riprovando, perché aveva fede di aver trovato uno spunto, e vinse. È potere creativo. È ispirazione più intrepidezza.
Immaginazione, buon senso e coraggio: anche un uso moderato di questi tre elementi darà notevoli risultati.
Shakespeare era figlio di un macellaio fallito e di una donna che non sapeva nemmeno scrivere il proprio nome.   
Beethoven era figlio di una tisica, figlia a sua volta d’una cuoca e di un ubriacone. Schubert era figlio di un contadino e di una donna che era stato a servizio.                      
Faraday, uno dei più grandi scienziati sperimentali di tutti i tempi, nacque in un’abitazione che era sopra una stalla: il padre, fabbro, era invalido; la madre donna di fatica
Fatti simili sono alla base di molte personalità di successo.
Se un uomo insegue innanzitutto la ricchezza, il mondo può sferzarlo; se cerca soprattutto il piacere il mondo può sconfiggerlo; ma se cerca soprattutto di sviluppare la sua personalità, può far tesoro di qualunque cosa gli possa infliggere la vita.
(Articolo di Harry Emerson Fosdick)           
http://www.psicologodinunzio.com/insoddisfatto-tua-personalita-tre-rimedi-per-potenziarla/

sabato 3 novembre 2018

DREAMIN’


DREAMIN’

Basta con le lacrime del coccodrillo! We must have a dream! Mancano i sogni. Eppure, siamo fatti della stessa stoffa dei nostri sogni… (Shakespeare docet, anzi dreams). 
Rivoltando la frase, potremmo dire – l’ho pescato dal mare magnum del web – che “i nostri sogni sono fatti della nostra stessa stoffa…”
Ma io credo che i sogni, oltre a essere una ‘trama’ naturale, ‘tessuta’ per accelerare durante il sonno l’imprinting di alcune abilità apprese durante la veglia (ed è per questo che alcune illuminazioni – anche ‘scoperte’ – si hanno di notte: una notte illuminata a giorno), siano anche, junghianamente e oltre, dei ‘segnali’ indicatori di nuove ‘vie’ da percorrere durante il giorno (il dito che indica il ‘sole’). Non solo, diciamolo pure: i sogni sono delle ‘dritte’ provenienti direttamente dal mondo dello Spirito (comunque lo si voglia intendere: per l’agnostico, anche se non crede nella dimensione autre, conviene comunque agire ‘come se’).
Il sogno è da intendersi, quindi, come messaggio di ‘speranza’. Una speranza ‘reale’ (quindi, fede: i sogni possono, repetita iuvant, essere forieri di realtà future: una sorta di viaggio sulla ‘linea del tempo’), nel senso di apertura completa del ‘ventaglio delle chance’: infatti, anche nei momenti più disperati dell'esistenza si guarda al sogno come a qualcosa di ‘sveglio’, da afferrare e tenere ben stretto. Mettiamo le mani dentro al sogno, balziamoci dentro…
A proposito di salti. Un balzo nelle balze del sogno (signum aeternitatis) Il ‘salto in favella’ l’ho tratto da una parte dell’incipit a un mio romanzo in progress (“Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo?”. L’altro, “Gocce di pioggia a Jericoacoara”, è ormai adulto, e sa il fatto suo…).

KILLING ME SOFTLY
Uccidimi dolcemente, ma uccidimi… Entra nel rovescio del mio mondo e affonda il tuo cultro lì dove gli altri hanno fallito. Trascrivo febbrilmente i loghia onirici, battendo sul tempo i famelici gargoyle del subconscio, spasmeggianti nevrilmente dalla brama d’ingoiarli nei lenti gorghi amnesici. L’oceano notturno si è ormai contratto in un’anoressica pozzanghera: solo i vortici di alcuni citri d’acqua dolce – i sogni che hanno bucato le porte di corno (quelli che verità li incorona se un mortale li vede) – sono sopravvissuti. V’intingo la mia plume mentale, strappata all’uccello nottaiolo attardatosi a oziare sullo spoglio ramo dell’ultimo ramingo albero della fuggente selva dell’oblio e… fandango.
Because the night belongs to lovers, because the night belongs to lust, because the night belongs to us… È l’alba, la notte è scappata coi suoi amanti, i dardi aurorali scippati alla febica faretra hanno colpito a morte le mie effervescenti passioni ctonie (ma rivivranno allo scoccare della mezzanotte) e i gendarmi del mattino hanno ammanettato le mie voglie corsare (adieu fuitina stellare con Jessica Alba… ogni notte un trip diverso). It’s too late to apologize. Non ho più scuse. Dalla radiosveglia la voce velvet del sempre cool Timbaland mi riporta sulla battigia. It’s too late… Lascio Garden of nights (il Village da dreamer radical-chic – niente di particolarmente osé: solo Muse e qualche strip) e mi butto giù dal letto.
Della notte mi è rimasto solo il sorriso: lentamente passo per l’ultima volta il dito sulle sue labbra di sogno, prima che si assottiglino e sublimino, impalpabili come labili fili evanescenti, al balenare delle prime pallide luminescenze diurne. L’eco narcisa degli ultimi sparsi frammenti onirici cerca invano di raggiungermi, ma ammutolisce spaurita davanti all’alba sorgiva, sfiatando pudica nel lete delle memorie fuggitive. No pain no drama: ho già trascritto le stille essenziali, lascio senza magone le vaghe stelle dell’orsa.
Il telefono squilla (l’ultima, definitiva, rupture al notturno soffitto di cristallo – di lì, rapito, posso mirare l’epifania degli dèi). Squallida cocotte, vattene per la tua strada… io sono fedele al mio computer (e pensare che fino a qualche annetto fa manco me lo filavo…). Lascio a letto i miei clandestini philosophes prêt-à-porter (nouveaux o anciens, tutti mi fanno il filo, ma io mi fermo ai preliminari), snobbo la cornetta – di giorno sono fedele – e vado a tirare. Slash-flash: qualche strisciata di piccì, per tenermi su. Inizia la mia giornata.