mercoledì 25 settembre 2019

CITTÀ COME STATI D’ANIMO


CITTÀ COME STATI D’ANIMO

Cos’è la città, se non un coacervo di esperienze, un cumulo di mattoni di vita.
Sedimenti di passato, bollicine di presente, fumi di futuro... D’altronde, per dirla con Saul Bellow, «le città sono stati d’animo, stati emotivi, umori, per la maggior parte distorsioni collettive…» Nella città, nella metropoli in particolare (quando non si avviano a diventare ‘necropoli’…), si avverte la disseminazione della cultura, costantemente contrattata e in divenire. Naturalmente, non lì dove vi sono i ‘ghetti’: lì c’è la massima, forzata, omogeneità in spazi anche grandi (ma il fuoco, talora, soffia sotto le ceneri: parlo, per esempio, della vivacità sotterranea di cultura e subcultura urbana in alcune realtà islamiche – v. in Iran – che cercano, malgré tout, di ravvivare l’antica dinamicità dell’Islam medievale e delle radici arie e zoroastriane contaminandole di occidentalismo freelance). Oggi, più che metropoli versus città rurale, il dibattito è tra provincialismo, mondialismo omogeneizzante o mondialismo liberatorio e libertario che non disdegna la diversità, la specifica kultur (più che banale zivilisation), tenendo conto sia dei rami che si protendono verso altre realtà (lo stesso mondialismo) sia delle radici identitarie. Insomma, un cosmopolitismo localistico glocal (ogni ossimoro è una risorsa in più). Due realtà fisiche e due gestalt – forme, strutture – che incidono diversamente sul modus viventi dei loro abitanti. E sull’immaginario urbano.
Imago mundi. L’architettura che ‘co-stringe’ fisicamente, psichicamente, ‘pneumaticamente’, i suoi sudditi. Architettura da de-costruire, reset psico-territoriale, bouleversement creativo. Ritmo veloce, giungla di stimoli, sensazioni e immagini, versus ambiente rurale (o provincialismo urbano), dal ritmo lento (anche quando corre…), più abitudinario e uniforme (e conforme). «Più la folla è densa, più ci sentiamo soli», così Zygmunt Bauman ‘liquida’ la ‘città del troppo’ (altro che villaggio globale… Troppo annacquato: perciò i localismi stavano tornando a galla). Ma anche del troppo poco, del troppo uguale, dell’indistinto, dell’outlet, del ‘passaggio veloce’, del nulla – anche se iper… (e quella di Marc Augè non è un’iperbole: passiamo la maggior parte della nostra esistenza in ‘non-luoghi’, dove si consuma il presente e si abortisce l’avvenire).
«Nella grandezza smarrente delle metropoli americane ove il singolo – ‘nomade dell’asfalto’ – realizza la sua infinita nullità dinanzi alla quantità immensa, ai gruppi, ai trusts e agli standards onnipotenti, alle selve tentacolari di grattacieli e di fabbriche… In tutto ciò, il collettivo si manifesta ancor di più senza volto che non nella tirannide asiatica del regime sovietico». Così Julius Evola, no-global antelitteram, liquida New York (e di conseguenza ogni omogeneizzazione pur nella plurietnia: in quanto auto-emarginantesi, etero-emarginata, assente, indifferente…). La metropoli del denaro e di Mammona versus la campagna del baratto (e della mamma, quella con le tette gonfie di latte). Ma anche lo sfilacciamento del tessuto comunitario – altro che manna – a vantaggio della scolorita ‘stoffa’ periurbana (le periferie anonime e suicido-file, ipermercati inclusi, per quanto architettonicamente ben disegnati). Luoghi, non-luoghi? Vita, non-vita? Il bello non ha prezzo.
Vita tra i confini. Identità versus alterità. Ma ancor di più: alterità nell’identità. Equilibrio in bilico. Città plurale, campagna singolare. Spaesamento. Urbanizzazione selvaggia. Portici, shopping malls, clochardization. Marginalità inclusiva, gentrification elitaria. Minimal o segno ipergrafico. Fast-food versus slow-food. Boutique versus ipermercato? Un po’ l’uno un po’ l’altro. Ma con juicio. Vivere tra i margini (e, spesso, sconfinare…). Questo l’universo quotidiano. Ma anche l’intellettualità sofisticata, la riservatezza fino alla ritrosia, il formalismo blasé e il distacco anodino, il tempo che tutto scandisce e cronometra: questa la metropoli e i suoi ‘numeri’.
Ma dietro il numero c’è Dio…

mercoledì 18 settembre 2019

SAUDADE


SAUDADE
Tratto dall’intervista fattami da Silvia Barbato (su Terza Pagina – trimestrale di editoria e cultura – maggio 2011).
N.B. Il mio romanzo “Gocce di pioggia a Jericoacoara”, di cui si parla nell'intervista, ha poi vinto il 1° premio per la letteratura "Emily Dickinson" 2013.
Nasce per istinto romanziere, anche se diverse circostanze lo portano lontano da questo genere e verso la saggistica. Nicola Perchiazzi svela la sua prima passione pubblicando con Sovera “Gocce di pioggia a Jericoacoara”, un romanzo completo e ricco sotto ogni angolazione lo possiamo analizzare. Ci stupisce nella cifra stilistica multistrato con stili e livelli in continua evoluzione, nel movimento e nello spostamento, sì geografico ma soprattutto interiore, diviso tra la crescita e la voglia di restare fanciulli legati al proprio presente; alle sintesi sensazionali che uniscono il panta, pur evidenziano le singolarità, a cominciare dai protagonisti. Un romanzo che ispira voglia di sperimentare, di tentare e di evolversi in tutto e per tutto, sempre.
Questo è il suo primo romanzo. Cosa l’ha spinta a cambiare genere?
Non direi cambiamento, ma riaffermazione del genere ‘romanzo’. In effetti sono nato come romanziere, ma, pur credendoci molto, ho lasciato Gocce di pioggia a Jericoacoara nel cassetto per alcuni anni, cinque. Nondimeno, una scrittrice e pensatrice ‘borderline’, con cui ebbi un incontro/scontro sul web, avendo letto ampi stralci del romanzo ne fu così colpita che mi spinse a tenere sempre il ‘cassetto’ aperto…
Il Brasile è il protagonista della storia. Cosa la lega a questo paese?
Un legame antico, risalente agli anni ’70, ma legato più all’architettura che alle tradizioni o al folklore. Infatti, all’epoca, nell’ambito dei miei studi di ingegneria edile, m’innamorai della ‘scuola’ brasiliana, con il suo ‘stile’, per così dire ‘flessuoso’, armonico, sensuale, complice dei luoghi, della saudade e, insieme, alegria dei suoi abitanti. E poi la musica, sia nella versione ‘soave’ sia in quella jazz. E le sue spiagge, le sue baie, i suoni di quella lingua così intrigante. Sì, come contraltare alla mia passione giovanile per l’India e, più ‘cinematografica’, per Bora Bora e spiagge cantando, quella per il ‘panciuto’ Brasile è da sempre una mia passione non tanto nascosta.
Quanto è importante per lei viaggiare?
Per dirla con Céline, riprendendo l’incipit del ‘settimo giorno’ del percorso di miglioramento peak performance del mio “Prendi la PNL con Spirito!”, potrei dire: “Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione […]. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita.” Sì, i miei sono, innanzitutto, viaggi interiori, anche se, alla Salgari, più realistici del re… Non viaggi per scavare nell’inconscio – non li ritengo (Freud mi perdoni) utili – ma esplorazioni nei ‘mari interni’ e nel ‘deserto’ (qui e là delle oasi, anche qualche foresta). In ogni caso, il viaggio è per me, sì il tragitto, ma soprattutto l’arrivo. E la sosta, ma sempre in movimento…
Tante esperienze e viaggi sono serviti a dare sostanza a quello che sono, in definitiva, i miei veri viaggi – ripeto, viaggi interiori che, un po’ per ‘vocazione’, un po’ per intralci vari, hanno, spesso di necessità virtù, frenato i miei viaggi ‘esteriori’. Ma ora mi sento obbligato –
obligado – a toccare con mano Rio, Jericoacoara e New York. Noblesse oblige.
Le storie che si intrecciano vedono protagonisti un gruppo di ragazzi. C'è qualcosa di autobiografico, o è pura fantasia?
Hai detto ragazzi. Giusto, i due protagonisti, per quanto a cavallo dei cinquanta, sono ancora dei middlescents, dei bambulti, dei ‘bambini adulti’: pieni di sogni, di ideali, di idee… Dei forever young. Sì, questo mi ‘appartiene’. Come pure, anche se con un po’ di ‘glosse’ e ‘cancellazioni’, il periodo sessantottino e post. Le vicende sentimentali, rouge & noir (ma anche il ‘colore’ ideologico), sono in parte vere, in parte romanzate. C’è il solito intreccio tra realtà e reality (sai, la ‘civiltà dello spettacolo’). Comunque, nel sostrato e nell’afflato ideologico, spirituale e filosofico, mi rispecchio in gran parte.
Qual è il messaggio che vuole che arrivi al suo pubblico attraverso il romanzo?
Il messaggio, come ben si intuisce, è ‘multilivello’. Per dirla con quella ‘web friend’ (una che di scrittura ne capisce, anche se è, ideologicamente, ‘scorrettissima’), il mio romanzo è: romanzo-rapsodia, fervido di vita e voci, di ritmi e canti e risa, dal profumo di ingenue aurore … vorticoso nel suo ritmo da derviscio tournant, vibrante di tensione e trepidazione, ossimorico nei suoi dolci contrasti, dalla scrittura vivace, geniale, estetizzante, ma tutt'altro che décadent, capace di affratellare Policleto e i Beatles. Un ‘panta rei’ entusiastico ed entusiasmante, un fluire di sapienze ed eresie, dall'oscillare inarrestabile, ebbro … una scrittura da giocoliere della parola e da funambolo della nuance.”
Quindi, tema di fondo, invogliare, specie i giovani, alla scrittura ‘creativa’, ossimorica, dai cambi continui di ‘registro, giochi linguistici e assonanze (sviluppano il ‘cervello destro’). E poi un ritorno ai grandi temi, al Pensiero Forte (anche quello Debole ha avuto le sue ragioni, di cuore): la ‘grande’ politica, la spiritualità, il mistero… Un nuovo Sessantotto in chiave rinascimentale e un po’ medievale, insomma. Ma aperto al Nuovo (che avanza – non gli avanzi di quello pseudo-nuovo che sembra ancora troneggiare sulle nostre tavole, mediatiche e familiari). In definitiva, un tentativo di ‘nuove sintesi’. E una ‘visione’. E per questo l’ossimoro e l’eclettismo – ma in senso creativo e critico – la fanno da padroni nel romanzo. Che le ‘gocce di pioggia’ diventino un acquazzone…
Ha già in vista nuovi progetti editoriali?
È chiaro che l’appetito vien mangiando. Se prima pensavo di insistere nel filone ‘saggi’, ora è chiaro che la mia passione fou preme underskin perché scriva un altro romanzo. Ma questo senz’altro più slim del primo, molto in ciccia (ma balla bene…). E poi, un po’ di carne già coceva. Si tratta di aggiungere un po’ di contorni, frutta e molte, molte spezie. Ci sarà molto vissuto e molta fantasy, ideologia e humour, ma vorrei farlo ancor più magical mystery tour, sia pure più ‘porta a porta’. Mi sa che sarà, non dico un thriller, ma sempre un po’ noir. Penso a un ‘giallo’ filosofico-politico, un po’ alla Fight Club, diciamo. Un romanzo sneakers e tacchi a spillo…

Long Way 2 Go


Long Way 2 Go

Tu non sei esattamente il tipo di persona che ci si aspetterebbe di vedere in un posto come questo a quest’ora del mattino.”
Spesso siamo spaesati, fuori luogo – in senso concreto o figurato. Per superare i “luoghi comuni” e l’”assenza di luogo” (atopia), e sperare, non solo nell’utopia, ma nell’eutopia (il “bel luogo”), è necessario fare il “salto’: cambiare “visione del mondo” (la tua Weltanschauung), uscendo dalla turris eburnea (la tua comfort zone ) e vivendo in modo originale lo “spirito del tempo” (lo Zeit-geist) e ricreando l’“atmosfera” (la tua stimmung).
Tutto questo, che si sia fermi (la via secca) o in cammino (la via umida). Ma ciascuno con il suo viaggio… Purché creativo. (che il viaggio sia breve – short time – o long way to go).
“Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione […] Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita.” (L.F. Céline).
Ma come partire per una recherche o un voyage che sia creativo? Estraggo un tralcio da uno dei miei libri.
                                                                                                           
L’emisfero cerebrale destro è il ‘motore’ della nostra creatività: ci permette di pensare per metafore e simboli, di fantasticare, di ‘sognare’ (e dalle fantasie e dai sogni possiamo attingere molto: anche delle grandi scoperte scientifiche sono avvenute in questo modo…). Ti consente, soprattutto, di creare delle nuove ‘sintesi’ (anche per organizzare meglio il tuo lavoro e per far funzionare meglio un team operativo) ed – eureka – di “buttare lì” (un po’ a casaccio, o a pioggia, come nel brainstorming) delle nuove idee vincenti!
Il secondo ‘serbatoio’, l’inconscio – collegato con il primo – è la sede delle nostre pulsioni e degli istinti: esso, a nostra insaputa, influenza i nostri sentimenti, comportamenti e azioni. E soprattutto, ha una sua specifica ‘abilità’: riesce a ‘resettarci’ dal punto di vista emozionale e psico-fisico (anche contro la nostra volontà).
Fermiamoci un attimo e torniamo ai due principi base, senza i quali non possiamo mettere a fuoco e poi realizzare (traguardo, goal) tutto il resto:
·        attenzione
·        intenzione
Una premessa: come certo sai – e chi non conosce Einstein? – massa ed energia sono collegati tra di loro; e sai anche che la massa, quindi anche il tuo corpo, non è altro che energia ‘rallentata’, a bassa vibrazione. Tu sei un’’onda’ nell’oceano dell’universo, un ‘vortice’ nel campo quantistico dell’intero cosmo… Dunque, c’è l’energia e c’è l’informazione: quest’ultima è, diciamo, il contenuto ‘numerico’ dell’energia (anche Pitagora lo pensava), ossia ciò che differenzia e individualizza (identifica) ciascuna entità dell’universo. E come forse non sai, sono possibili cambiamenti di energia e d’informazione: come diceva Eraclito, tutto scorre, tutto cambia… E specialmente se si è connessi con il mondo spirituale, si può favorire il cambiamento. E tu vuoi cambiare!
Ora, ascolta con attenzione: in tutto l’universo c’è sovrabbondanza di energia, che non aspetta altro che di essere attinta… (al di là di ciò che naturalmente avviene grazie all’irradiazione solare e a ogni altra fonte energetica.). Tutto ciò ha ovviamente un riscontro su di noi: la nostra “energia vitale” dipende essenzialmente dal nostro quantum energetico. Tutto è energia… anche tu sei fatto di energia. Ma anche il tuo pensiero è fatto di energia… E l’energia pervade ogni cosa: quindi, quello che tu pensi, come tu pensi, può influenzare le cose, può incidere sugli avvenimenti. L’attenzione è una sorta di dinamo, di “attivatore di energia”. Ora, solo chi ha un buon ‘quantum’ di energia può godere di ottima salute, non solo fisica ma anche spirituale! Per dirla con Nietzsche: …può avere in sé la virtù che dona (ossia stare in cima alla “piramide di Maslow”). Bene, tutto quello che stai leggendo è una sorta di ‘dispenser’ di energia, se lo metti in atto attraverso l’interesse, la riflessione sui contenuti, la ricerca sul significato delle parole chiave e l’ulteriore sviluppo da parte tua delle tematiche affrontate (anche con l’ausilio di internet). E specialmente, con l’applicazione: ossia, mediante la messa in atto degli esercizi proposti e di altri che da essi potrai ricavare e rielaborare, grazie alla tua inventiva e alla ‘fantasia’ ora sempre più al galoppo.
C’è però un freno… Ciò che ti trattiene dall’essere presente, quindi dall’essere ‘vivo’, altro non è che l’aspettativa del domani, la speranza nel futuro (ottima se speranza fiduciosa, pessima se vaga speranza), ossia l’attesa di un qualcosa che deve accadere e che forse non accadrà mai… (e parlo non solo di attese positive, ma di paure, ansie, angosce…). Se almeno quest’aspettativa fosse “fede ardente” (praticamente, certezza ‘virtuale’), ‘visione’ del traguardo, dello “stato desiderato”… allora tutto andrebbe bene. E invece, si tratta spesso solo di vaghe e cieche ‘scorribande’ in un futuro ipotetico, in una “selva oscura”, e senza nessuna ‘torcia‘ che illumini il sentiero…

Ho parlato di “selva oscura”: la ‘torcia’ che fa luce sul tuo cammino è l’attenzione cosciente, ossia il tuo essere completamente presente in ogni singolo momento. Devi essere attentamente cosciente, devi essere totalmente assorto – ‘impregnato’ – nel momento presente, nel qui e ora. Solo così potrai avvicinare il tuo futuro, anticipare lo “stato desiderato”. Per vivere il “qui e ora” (l’hic et nunc), devi farti ‘investire’ (ma senza farti ‘coinvolgere’) da ciò che accade al momento, qualunque cosa essa sia – e dovunque ti trovi: seduto, a passeggio, in macchina. Devi farti ‘investire’, ho detto, ma senza farti ‘schiacciare’, ossia senza badare alle sensazioni che provi (piacere, fastidio, noia): devi, in definitiva, conservare una consapevolezza senza giudizio. Devi solo prendere atto di quel che accade in te e attorno a te.
Quindi, ripeto, due sono, in particolare, gli agenti favorevoli per ‘energizzarti’: l’attenzione e l’intenzione. Con l’attenzione infondi ulteriore energia a quella già esistente in te e attorno a te. Con l’intenzione ‘indirizzi’ (‘orienti’) l’energia e favorisci il cambiamento – in te, intorno a te e, soprattutto, in tutto ciò che ti viene incontro, o addirittura ti piomba addosso. ‘Coltivando’ e attivando l’attenzione e l’intenzione, ogni cosa intorno a te, ma anche ‘lontano’ da te, cambierà direzione e ‘contenuto energetico’: le realtà ‘positive’ si avvicineranno… le realtà ‘negative’ si allontaneranno! Nel Libro di Giobbe (citato spesso da Jung) c’è scritto: “Non appena temo un male, esso mi colpisce e quello che mi spaventa mi piomba addosso.” È la naturale, cosmica, legge d’attrazione (quella divulgata da The Secret, ma nota a tutti gli ‘spiritualisti’ d’ogni tempo): con i tuoi pensieri e la tua buona o cattiva intenzione attirerai positività e negatività. Come dice Deepak Chopra nel suo Le sette leggi spirituali del successo: “Tutto quello su cui concentrate l’attenzione prospererà; al contrario, tutto quello da cui la distogliete perde vigore, si disintegra e scompare. L’intenzione, d’altro canto, innesca la trasformazione dell’energia e dell’informazione…”
Trasformazione, informazione, conoscenza… Il sapere è una farfalla notturna. E se cammini di notte, occorrono attenzione e intuizione… Per fare questo, ossia ‘intuire’ la ‘gerarchia’ spirito-anima-corpo (dal ‘superiore’ – ma solo per ‘potenza’ – all’inferiore), occorre attivare l'attenzione e metterci l’intenzione. Ciò permette di captare l’energia e carpire l’informazione e di ‘situarsi’ di volta in volta in uno di quei ‘nodi’ (o ‘snodi’) della trama energetica del cosmo in cui è possibile vivere al meglio il ‘momento’ (anche momentum, nel senso di ‘quantum’ energetico), approfittando così delle ‘contingenze’ che il kairòs l’attimo propizio – offre al ‘fortunato’ (ma la fortuna aiuta gli audaci…).
Al di là dell’apparente cripticità, quanto detto sottende (che è più di ‘sottintende’) alcuni concetti essenziali, propedeutici a ogni cammino di psico-attivazione atto al miglioramento delle prestazioni in ogni campo esistenziale (sarebbe meglio chiamarla ilio-psico-pneumo-attivazione – lì dove il primo aggettivo si riferisce al corpo, il terzo allo spirito – ma forse pretendo troppo…).
Semplifichiamo, sciogliamo i nodi. Entriamo in questa cosiddetta “trama energetica” (spero che per te non sia un trauma…). Energia e informazione sono essenziali per la ‘vita’ dell’universo (e quindi, dell’uomo): come ormai è arcinoto, tutto è alla fin fine energia (la materia è energia‘frenata’). E in tutto l’universo c’è sovrabbondanza di energia, che non aspetta altro che di essere attinta… Se si è attenti, se si ha l’intenzione, si attirereranno ‘cascate’ di energia… Coltivare l’attenzione significa ‘allontanare’ la vaga, stancante e fuorviante aspettativa del domani, ossia l’attesa di un qualcosa che deve accadere e che forse non accadrà mai (e parlo non solo di attese positive, ma di paure, ansie, angosce…).
Quello che accade nella tua mente accade nella tua vita. Quello che hai nella tua mente tu lo attrai verso di te. Quello che tu desideri…  tu avrai!