martedì 23 dicembre 2008

√ » Ma OBAMA ha usato l’Ipnosi? (Ebook Disponibile!)

√ » Ma OBAMA ha usato l’Ipnosi? (Ebook Disponibile!)

E se Obama avesse utilizzato l'ipnosi? (altro che 'I can' o le canne...)


Ma Obama avrà usato l'ipnosi per raggiungere il top? E visto che il tempo è maturo (ma i frutti dell'anno sono ancora acerbi, se non inaciditi - e poi l'albero di Natale non è più tanto verde, e i panettoni sono pure un po' sgonfi...), mi vien da pensare: non sarà che anche Gesù ha utilizzato la PNL?
Mi fermo qui, non vorrei essere irriverente. E io, che come Jung, so ("se credo che Dio esiste? Io non credo, so!"), sono certo che in Gesù ci sia stata ben più che PNL o terapie strategiche brevi: la Sua 'terapia' era, sì, breve (e gli effetti duravano a lungo - molto a lungo, in eterno...), e infarcita di paradossi (più che zen: diciamo, uno zen allo zenit...), ma la Sua strategia era ancor più persuasiva e pervasiva (senza essere 'invasiva') di ogni psicoterapia umana, per quanto efficace possa essere: nella 'Gesuterapia' (Gestalt?) non c'è solo il cambiamento della persona, ma il suo approfondimento (da ogni pietra Gesù può ricavare il diamante, pur restando Pietro Pietro, Paolo Paolo, Maria Maria: da ogni singolarità Egli trae una 'singolarità 'più 'efficace').
Poi, quanto ad Obama e alla sua 'strategia comunicativa' e 'seduttiva' presuntivamente fondata sull'ipnosi eriksoniana (una delle 'chiavi' della PNL), mi meraviglierei se non fosse stato così: chi, tra i leader e comunicatori d'ogni tipo, non utilizza, magari non scientemente, una 'strategia' prossemica o un qualche mezzo di 'se-duzione'? Se poi da questa nasca sedizione o dedizione, o se ne tragga benedizione o si vada in definitiva perdizione, tutto sta nell'emittente, nel ricevente, nel 'canale' e nel messaggio.
A proposito di quest'ultimo, Buon Natale (e per farvi passare un po' di tempo tra un cenone e l'altro, vi allego l'e-book su Obama della BRUNO Editore: forse vi darà la dritta per farvi vincere almeno a tombola...).

martedì 16 dicembre 2008

Million Dollar Baby

La filosofia mi tira, la teologia mi attira, la psicologia mi attrae, la spiritualità mi atterra… (mi atterrisce, ma di terrore sacro.) Ma la fede mi porta in alto - Il Terribile è accaduto!

Pistis SophiaFede e Sapienza: la Tradizione che non tradisce…

Ho rivisto Million Dollar Baby e ho compreso una volta ancora che la vita bisogna afferrarla, per poi lasciarla andare sulle onde dello Spirito. Anche se tutto questo può portare, in taluni casi (il film ne è un 'tipo'), a una momentanea fine, forzata da una ferma volontà d'indomita rassegnazione: un tranciare il filo dell’esistenza, dopo aver cavalcato la tigre, affinché dall’existenz minimum si passi alla massima vita. E se ciò – il forzare il passaggio oltre il velo, squarciandolo – può non essere moralmente plausibile, so pure che la Sua benignità dura in eterno…

La ragazza da un milione di dollari (Hilary Swank/Maggie il corpo, non poi tante - le ragazze - nello spirito) mostrava una sua fede, sia pure apparentemente aliena dallo Spirito; così pure, anche se per velati cenni e la Stimmung generale, i due suoi 'coach' (Clint Eastwood/Frankie e Morgan Freeman/Scrap sullo schermo - digiuni, forse, di PNL nella 'carne', non di certo nello 'spirito'). Una ‘trinità’ che ben rappresenta ogni tri-unità ‘corpo-anima-spirito’, nei loro complessi intrecci e intersezioni (l'olismo che 'supera' ogni mera 'unità').

E poi, il quarto (con e oltre Jung): lo 'spettatore', che ben comprende – in sintonia, anche non avvertita, con l’essenza del messaggio di Cristo (ri-soffiato continuamente, di età in età, di luogo in luogo, dallo Spirito Santo, o, se volete, dall'Energia Cosmica: d'altronde, lo Spirito è la Dynamis) – che la ‘profondità’ della Realtà è ben oltre la 'superficie': e come tale può anche essere contro la nostra ‘morale’, per quanto buona e 'morale' possa apparire. Se noi addentiamo il ‘frutto proibito’ (la ‘mela’, il ‘pomo della discordia’) male ci coglie… - ma è una felix culpa: il tempo, la vita stessa, noi come 'esseri umani', ne siamo la 'debita' conseguenza (pieni di 'debiti', ma con qualche 'credito'...): non ci sarebbe redenzione, libertà, felicità, se non riuscissimo a liberarci dalle catene per correre verso le vette. Ma Dio è Colui che ha creato anche la mela e Lui può usarla a suo piacimento!

Qui mi fermo (lascio che io mi ‘riposi’ e altri vadano ‘oltre’) e, in mia vece, lascio che alcune 'gocce di pioggia a Jericoacoara' (il mio ‘book’ non tanto ‘instant’) vi bagnino. Purché non vi raffreddiate...


“E come dicono piacesse a una fanciulla svelta il pomo dorato che le tolse l’impaccio della sua ritrosia, mi piace.” Di morso in morso, sempre più vicino al torsolo… Lorenzo, dimentico della Genesi (e memore di Catullo), clonò il suo sorriso: solo allora si rese conto – forzando un po’ i tempi – che due incontri casuali in così breve tempo facevano bingo (più che ambo) nel campo delle leggi statistiche (che lui ben conosceva, da un esame marginale del suo piano di studi) e che si accingeva a rientrare, per l’ennesima volta, nell’accidentato territorio di Jung e delle sue sincronicità. La situazione non era però impilabile in quella della piscina: l’intreccio di libro e gambe configurava uno scenario ben diverso.

«Conosci Laing? Mi riferisco a erredì Laing (Lorenzo calcò intenzionalmente sulle iniziali R. D. per giocarci un po’), il guru della pazzia...»

Scagliata la prima pietra, il tempo di un respiro, fatta una breccia nella muraglia, cominciò ad avvolgere (come non era solito fare) l’inerme fanciulla nelle sue spire.

«Sì, il guru: beh, sai, la posizione del loto stimola!»

Lorenzo non riuscì a trattenere la banalità intellettualoide, arrotando pure la erre, ma la ragazza valeva ben una messa (...in moto, di ogni sua risorsa).

«Touché!» lei di rimando.

Ormai il contatto era on – l’anglicismo è qui d’obbligo in onore di Ronald – e la luce si accese su (e in) entrambi. Non particolarmente vivida, ma più che sufficiente a illuminare per una decina di minuti il percorso tra lo psicanalitico e lo spirituale che si era inaspettatamente avviato, complice Ronald David Laing, il guru inglese dell’antipsichiatria, il mentore di Lorenzo.

«Di Laing, e parlo del ’68 – che qui da noi era poi il ’69, l’anno del mio debutto in una bollente Firenze (e dintorni, Pisa soprattutto) –, mi aveva colpito il suo approccio esistenzialista. Mi sembrava quasi un Sartre più nauseato del solito, ma ciò che più mi attraeva era il suo cotè metafisico, spirituale, al di là del velo.»

Il fiotto delle parole fu quasi orgasmico. Lorenzo poteva, finalmente, permettersi di parlare alto.

Era da un bel po’ di tempo che non usava il sermo compositus per titillare e avvincere, se non convincere, gli interlocutori (le ultime frequentazioni di chiesa, gente spesso alla buona, e quel che rimaneva dei suoi cerchi di amicizie avevano abbassato il suo ‘tono’). Lui amava la varietas e la mutatio. E riusciva a passare, in un battito d’ali, dal sublime al terra terra. Ma quel che più detestava era l’analfabetismo culturale, il balbettio o la logorrea senza ratio pneuma. E i palloni gonfiati. Ma soprattutto, i talenti sotterrati. Non riusciva proprio a comprendere come si potesse vivere senza cultural literacy. Lui valutava le case, e le persone, dalle loro librerie…

«Certo, Laing. Se non fosse stato per lui, anch’io sarei rimasta al muto cicaleccio quotidiano. Oppure, all’happy hour, al brunch, al grunge... Niente di male, per carità. C’è il tempo per i voli pindarici e quello per le scivolate e le bischerate (qui Gaia toccò le corde del Lorenzo alla fiorentina, già a mezza cottura…). Ma io, allora, e parlo di solo un paio di anni fa, volevo, non solo conoscere, ma sapere. Penetrare nelle cose. Coglierne l’essenza. Pistis e Sophia, fede e sapienza. Ed ecco che, in un incidente di percorso, andai a sbattere contro Ronald. Se sei pronto, il maestro non si farà attendere… E lui mi venne incontro. Come ti ho detto, più che un incontro, fu uno scontro. Uno sgambetto, un colpo a tradimento. Un deragliamento dal binario delle mie robotiche certezze. Prima robuste, poi indebolite. Se non fossi inciampata in Ronald, avrei continuato a bighellonare tra vetrine e display. Oppure sarei rimasta in sosta, al palo o da velina (il massimo immaginabile, ma c’è pure il minimo…), in quel grande parco-macchine che è il mondo. Magari girando e girando in cerca di un posto… Una gogo girl tra tanti gogo boys. Ma lui era dietro l’angolo e mi colpì alla testa.»

Gaia finse di massaggiarsi la tempia destra (il ‘cervello destro’?) e continuò la corsa, premendo l’acceleratore.

«Un libro. Sì, è stato proprio un libretto a cambiarmi la vita. A introdurmi in nuovi territori, inesplorati. Con strani abitanti. A farmi navigare su mari lontani, e pericolosi. Una cosa tra le cose, un volume affondato nell’oceanica biblioteca di Babele di questo caotico cosmo quotidiano. L’ossimoro che si fa emozione, la bellezza che dà ossigeno all’anoressica realtà, una flebo di vita ‘autentica’ per disintossicarsi dalla tisica quotidianità. Un libro trans contro l’anossia dell’esistenza. Spruzzi e sprazzi di vernice spray sul muro bianco della mia vita (anche se ho letto da qualche parte che “L’uomo è un foglio bianco, su cui l’ambiente e la società incidono delle linee precise). ‘La politica dell’esperienza’, il libro che tu ben conosci, trovato per caso (ma il ‘caso’ è il ‘cacio sui maccheroni’ della quotidianità) su una bancarella di libri usati, fu proprio una mazzata. Una scossa, in particolare la sua chiusa: “Se solo potessi convertirvi, condurvi fuori dalle vostre meschine menti, se potessi comunicare con voi, allora sapreste.” E io seppi, ma non mi fermai lì, andai oltre…»

Solo un attimo di sospensione, e poi la stoccata finale.

«A proposito, se incontri il maestro, abbraccialo, bacialo e poi… uccidilo.»

(...)

Un lampo, un flash-back nello spin del tempo: fu proprio alla svolta dell’ultima pagina del fatidico 1991 che – complice un ‘supporto’ umano (e un altro paio a far da ‘volano’) – Lorenzo si ‘risvegliò’, rientrando in sé come il figliol prodigo (pur non avendo vissuto, salvo qualche intemperanza – so’ ragazzi… –, alla maniera dissoluta di questi). Ma, passato il momento di lucidità, non sempre era riuscito a sfuggire al cappio dell’immancabile (sia pur sempre meno frequente) ricaduta, ripetutamente risucchiato dall’esistenza ordinaria.

Come un sonnambulo o, peggio, un robot, aspirato dai suoi pensieri, dai suoi ricordi, dai suoi desideri, dalle sue sensazioni, dalla bistecca che mangiava, dalla sigaretta che fumava, dall’amore che faceva, dal bel tempo, dalla pioggia, dall’albero vicino, dalla vettura che passava... Pur non rientrando appieno nella tipologia (comune, diciamo pure maggioritaria) dell’uomo sonnambulico, o eterodiretto, non sarebbe di certo sfuggito all’occhio levantino di monsieur Gurdjieff (anche se Lorenzo non fumava).

Fasi up e fasi down. Up nella sua volontà, down nelle viscere del suo subconscio. Qualche volta il ribaltone. Guai se il down esteriore fosse stato, abitualmente, in fase col down interiore… Che risonanza! Anzi, che dissonanza. Stonata: depressione, vuoto, oppressione, letargo. Ma ora i due up si erano riallineati e Lorenzo, sospinto fuori dalla caverna delle ombre vaganti, si era ri-risvegliato (se così si poteva dire) quel che bastava per continuare quel cammino sul ponte, così pieno d’intralci e intoppi (e scivoloni), che pure – così almeno gli era stato profetizzato anni prima – lo avrebbe portato verso una meta luminosa.

Un faro al termine della notte: da tempo premonizioni, intuizioni e segni vari (bagliori) gli avevano fatto intravedere squarci di un mondo ‘autre’, di un’altra dimensione della realtà. E una chiamata a una vita diversa...

Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione ... Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario ... Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita.” Il viaggio alla Céline (anche se Lorenzo oscillava più tra Céline Dion e Dion Fortune, tra la cantante e l’esoterista) lo stava portando dal fondo della notte verso un’alba dorata. Lui che, come Salgari, suo compagno di fanciullezza, viaggiava soprattutto a cavallo della fantasia. Anche in questo cavalcava la tigre.

L’immaginazione al potere. E Lorenzo, immaginifico com’era, sarebbe certamente diventato re… Circostanze e coincidenze gli avevano dato delle indicazioni ben precise e lo stavano accompagnando, mano nella mano, talvolta con strattoni, verso la corona – Keter –, la ‘sfera’ più in alto sull’’albero della vita’. Oppure, anche senza scettro, nella giusta direzione. Giusta ma non ancora a portata di mano, o di vista (se non del terzo occhio: l’oculus fidei).

Se fino ad allora tutto era andato a rilento, ora ebbe, dentro di sé, la sensazione certa che tutto avrebbe cospirato a farlo andare, e quanto prima, verso la meta. Non solo quella eterna: già un primo traguardo – e che traguardo! (ma lui non lo sapeva ancora) – in questa vita. Saltando, zompando, cabalisticamente, dal tempo circolare – l’eterno ritorno – dei primordi al tempo cubico – lineare – del futuro: scagliato come un dardo verso il traguardo.

Morte, dov’è il tuo pungiglione? Dalla vita ‘muta’ alla vida loca. Dal Mito alla Storia… Ma sarebbe stato pur sempre un futuro ‘mitico’. Luminoso, gioioso, focoso. Vitale, vitalistico, pieno di slancio. Olistico. Senza più affanno e viso abbattuto. Non più come Caino. Al contrario, sarebbe corso verso la meta ridendo, danzando, con una mano verso il cielo e l’altra puntata verso la terra.

Dionisiaco e apollineo. Filosofo e poeta, avrebbe inghiottito il tempo in una folle risata. Non più l’Adamo scacciato dal giardino (si era forse scocciato?), Lorenzo, ma lo Zarathustra disceso dal monte (e come rimase scioccato!). Per lui, che nicciano era fino al midollo, diciamo pure fino all’ossimoro (e non nicchiava più), era giunto il momento (divino, malgré Nietzsche) di trangugiare tutto d’un fiato il ben poco sciropposo Gilles Deleuze e la sua salata citazione internettiana, scippata a un sito di ‘cultura non conforme’: “Coloro che leggono Nietzsche senza ridere, e senza ridere molto, senza ridere spesso, colti talvolta da un fou rire, è come se non leggessero Nietzsche.”

E Lorenzo aveva deciso di ridere.

lunedì 8 dicembre 2008

Peak State

Oggi, otto dicembre, ho de-ciso d'inerpicarmi verso le vette (d'altronde, otto = infinito; dodici = numero solare: 3x4, ossia la triade suprema che 'illumina' le quattro plaghe terrestri). Lascio. dunque, le pianure (soprattutto le depressioni), supero le colline e miro (verso) le stelle... Traguardo: l'esperienza delle vette (anche, esperienza oceanica, cosmica...). E in subordine - visto che, strappando il cielo, dobbiamo srotolarlo sulla Terra - anche peak state.
Stato di picco, per non andare a picco... (troppe le zavorre che ci trasciniamo appresso: e anche se sappiamo nuotare ...). Ed ecco quindi che, per la prima volta (sembrerà strano), ho fatto un acquisto web (a parte i soliti bigliettini da visita): l'e-book in cima (guarda caso) al banner. Ma perchè? Perchè voglio superare il peak state, voglio congiungerlo con l'esperienza delle vette, voglio praticare la PNL con Spirito... Da quando? Da subito! (mai rimandare, per evitare che dal peak state si passi - l'ora pre-pranzo me lo suggerisce - allo steak state...).
Poi, riguardo a cosa sia la
PNL+Spirito - chiamiamola per il momento PERK (Programma Emozioni Ruah Kinesis - o qualsiasi altro acronimo in cui ci sia lo Spirito/Ruah) - rimando tutto a domani.

mercoledì 3 dicembre 2008

Tramonto dell'Occidente - Alba dell'Oriente (quello messianico, non massonico)

Dietro il numero c'è Dio, ma Dio (e ogni realtà oltre) spesso si cela dietro il simbolo.
Il simbolo getta un ponte tra l'inesprimibile e il contingibile: unisce l'Oriente con l'Occidente (evitando che il secondo tramonti... - anche se Nietzsche non sarebbe d'accordo: occorre che l'ultimo uomo tramonti!). Fatto è che, tralasciando altri approfondimenti, lì dove si giunge alla 'radice' delle cose (delle parole, per esempio), o dove si ci s'inerpica fino al 'simbolo' che 'sottende' realtà altrimenti indicibili, oppure quando si perviene al 'terzo cielo' dell'esperienza mistica o estatica, lì, finalmente, si raggiunge un accordo tra gli uomini (e le donne - diciamo pure tutta la realtà, visibile e ultrafanica). Per comprendere come opera il 'simbolo' e come anche, e soprattutto, i numeri abbiano una valenza simbolica, 'posto' una mia breve considerazione sul significato simbolico del numero correlato a un club associativo (Club 41), numero
sul cui significato 'anagogico' si era, forse, glissato - presumendo che indicasse solo l'età minima dei suoi associati (ma forse quel numero è solo lì per 'caso': ma come si sa, il caso è la scorciatoia che Dio usa quando non vuole farsi vedere...).

Significato simbolico del numero 41.

Il numero quarantuno non ha, di primo acchito, quella manifesta implicazione simbolica ‘statutaria’ (per così dire) che viene riconosciuta a numeri di più ampia connotazione anagogica, quali, per esempio, l’uno, il tre, l’otto… Nondimeno, è evidente che, per ‘risonanza’, è possibile individuare un’accezione simbolica, peraltro piuttosto ‘accentuata’, nel numero 41.

Innanzitutto, il 41 succede, ovviamente, al numero 40 e ne indica, anche ‘simbolicamente’, il ‘superamento’. Ciò è ‘rafforzato’ dalla considerazione che 41 è un numero dispari e, come si sa (Virgilio docet), Dio si rallegra del numero dispari (d’altronde, anche Platone, fra i tanti, sosteneva che i numeri pari fossero di cattivo auspicio).

Per dare ‘corpo’ alle argomentazioni – occasione la conferenza "I MISTERI DEL CRISTIANESIMO ‘L’Olismo originario e le Verità Rivelate’, relatore l'autore dell'omonimo libro, Teodoro Brescia – consideriamo la questione da un’ottica biblica (basti pensare che Filone Alessandrino fondava la sua interpretazione delle Scritture su basi numerologiche e Sant’Agostino stesso affermava che «la mancata comprensione dei numeri impedisce di capire molti dei passaggi figurati e mistici delle Scritture»). L’isopsefia e la ghematria – l’interpretazione numerologica delle parole, la prima in ambito cristiano, la seconda da parte della Qabbalah –, d’altronde, sono strumenti che, al di là delle implicazioni bibliche, cercano di individuare la chiave giusta adatta a svelare il mistero della Natura e l’Harmonia Mundi celata in ogni cosa, ovvero la complessa interrelazione (Tutto è Uno) tra macro-cosmo e micro-cosmo, tra essere e divenire.

Torniamo al nostro numero, ma per individuarne la ‘chiave’ simbolica soffermiamoci dapprima sul suo ‘predecessore’, il Quaranta.

40: numero d’attesa e preparazione, di ‘filtraggio’ – purificazionema come attraverso il fuoco. O meglio, attraverso l’acqua: infatti, come è trasmesso da Genesi (cap. 7), il diluvio è durato quaranta giorni e quaranta notti (7,12). Quindi, è un periodo d’intensa tribolazione, in cui si salva solo un ‘resto’ di ‘eletti’. Questo trova conferma nell’altrettanto tragico (sia pur in misura decisamente più ridotta) evento della distruzione di Sodoma e Gomorra: Abramo implora Dio di salvare Sodoma se vi avesse trovato almeno 40 giusti (ma dovette scendere a più miti consigli: fino a dieci – che, peraltro, non furono trovati... cf Genesi 19,28-32). È, dunque, un numero di ‘morte’ (in Egitto, Giuseppe impiegò 40 giorni per imbalsamare il corpo del padreGenesi 50,3). Ma è, soprattutto, un numero di ‘passaggio’, in attesa della Terra Promessa (tuttavia, è un periodo scarsamente produttivo: è un girare a vuoto, un procedere tra alti e bassi, tra pericoli e carenze d’ogni specie).

Dapprima quaranta giorni per mandare un’avanguardia a esplorare la Terra promessa (Numeri 13,25 – senza concludere alcunché), poi, per ‘estensione’, 40 anni nel deserto (come punizione e prova Numeri 14,34-35). Nel deserto (in Esodo e Numeri), landa inospitale alla vita, luogo del male, del ‘silenzio’ ma anche del ‘chiasso’ e della rivolta spocchiosa, emergono i bisogni fondamentali dell’uomo e la ‘necessità vitale’ del suo rapporto con Dio – il Dio ‘personale’, non ‘astratto’ (anche il profeta Elia vagò quaranta giorni e quaranta notti prima di giungere sino al monte Oreb, cioè il Sinai – 1 Re 19,8). Ma è anche il tempo della ‘maturazione’ preliminare a ogni rapporto più stretto con Dio: è un periodo d’intensa attesa (Mosè rimase 40 giorni e 40 notti sul Sinai prima di ricevere le tavole della Legge).

È un periodo di sfida (Golia per quaranta giorni sfidò i Giudei – cf 1 Samuele 17,16 – e poi si presentò Davide…) e ravvedimento (Giona per 40 giorni predicò la ‘penitenza’ agli abitanti di Ninive Ancora quaranta giorni, e Ninive sarà distrutta! cf Giona 3,4 – e alla fine fu ascoltato). Prova dura, tentazione, digiuno, preghiera, scontri ad alto livello… (come non pensare ai quaranta giorni di ‘tentazione’ di Gesù nel deserto? Matteo 4,1-11).

A questo punto, dato che il passaggio dal 40 al 41 è correlato al passaggio dallo 0 (la stasi ‘dinamica’, il ‘vuoto’, il ‘punto’) all’1 (l’inizio – un nuovo inizio – l’essenza delle cose, ma anche la ‘circolarità’ del divenire), oppure dal 4 (‘sintesi’ di 40) al 5 (‘sintesi’ di 41) – ossia dalla ‘stabilità’ (lo stare ‘fermi’, ‘rigidi’ – ma il rigido si spezza…) alla ‘dinamicità’ (la ‘quinta direzione’ punta verso l’Alto) –, è chiaro che, se il 40 è ‘attesa’ (e poi il numero quaranta, come d’altronde il numero tredici, rappresenta la morte simbolica, la prova iniziatica, iniziata ma ancora in fieri), il 41 è ‘compimento', ‘adempimento', ‘nuova nascita’, nascita ‘spirituale’…

Una generazione si chiude (il 40 indica anche la durata di una ‘generazione’), un’altra si apre….

Se poi consideriamo che il 42 simboleggia la dualità reintegrata del principio Spirito-Natura e che, secondo lo Zohar (libro cabalistico), esplicita il Nome divino di nove lettere (la corona del nome sacro), e che 42 è tre volte 14 (numero ghematrico di Davide), e quindi individua il Messia (l’Unto, il Re), anche come Servo di Iahvé e Figlio dell’Uomo (una sorta di Übermensch divino), e che le quarantadue generazioni da Abramo a Gesù (cf Matteo 1,17) sono in effetti 41 (nella Bibbia niente è per caso), tutto ciò indica lo stretto rapporto intercorrente tra 41 e 42.

In definitiva,

40: fine di una generazione che ha girovagato spesso a vuoto, affrontando gravi prove e traversie, e di cui pochi sono i sopravvissuti;

41: un nuovo inizio proteso al traguardo definitivo: il 42...

martedì 2 dicembre 2008

La radice e le foglie


Oggi mi sono alzato 'storto' ...e mi sento indolente. Ma qualcosa va per il verso 'giusto': la mia formazione spirituale e quel po' di PNL che non guasta (specie il 'riaggancio', o ancoraggio, a una situazione piacevole - ne riparleremo) - insomma, l'unione psiche-spirito (bisogna prima 'separarli' - per far venire lo spirito alla 'luce' - poi 'riunirli' per moltiplicarne gli effetti dinamici) - ha fatto il resto.
A proposito di 'indolente': andando alla 'radice' di un termine se ne trova il 'vero' significato e la parola 'morta' uscirà dalla 'tomba' e produrrà effetti 'vivi'. È vero, basta provarlo (non c'è bisogno, o quasi, di tornare a Heidegger e al suo 'radicamento' nel sottosuolo greco. Ma se si ha
tempo... e, specialmente, se dall'avere si passa all'essere...). Per esempio, nel caso di 'indolente', dovrei essermi alzato 'senza dolore'. Allora, qual è il problema? Evidentemente, senza cadere nell'agiografia dolorifica pseudo-cristiana, il 'dolore' è collegato al 'movimento'. Il dolore blocca, ma più spesso fa muovere... e questo vale in tutti i suoi significati oltre il 'grado zero' di lettura.
Capendolo, ho compreso che alla radice dell'indolenza c'è la stasi e, quindi, con brevissime tecniche psico-spirituali, ho tolto l''in', mi è rimasta la 'dolenza' e mi sono mosso: dalla stasi all'estasi... Di lì a partire il passo è stato breve (l'estasi è l'estate dell'anima: inutile dire che la stasi è l'inverno - forse, l'autunno, del corpo. Quanto allo spirito, è notte fonda...).
Quindi: tecnica dello 'sradicamento' della parola (per arrivare al suo vero 'senso'), tecnica del 'ricordo' (per riagganciarsi a uno stato, se non di 'picco', almeno di 'collina') e, prioritariamente, un saluto mattutino di benvenuto allo Spirito, affinchè ci 'risvegli' dal 'sonno'..
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