WALK ON THE WILD SIDE
“Un tipo importante di piacere, e di conseguenza di fonte della
moralità, nasce dall’abitudine. Quanto è abituale si fa più facilmente, meglio,
dunque più volentieri; vi si prova piacere, e si sa per esperienza che l’abituale
è collaudato, dunque è utile; un costume con il quale è possibile vivere è
considerato salutare, in contrapposizione a ogni esperimento nuovo e non ancora
messo alla prova. Il costume è perciò l’unione del piacevole e dell’utile, e
per giunta non esige riflessione”
(Nietzsche, Umano, troppo umano).
Quanto è abituale si fa più facilmente, meglio, dunque più
volentieri: è
collaudato, è diventato “costume”… Il guaio è che il nostro costume esige,
per essere completo, una maschera. Anzi, più d’una.
Noi non siamo un’unità, ma
una folla, una “legione”. E rischiamo di fare la fine dei porci di Gadara: nei Vangeli sinottici, i maiali, “spiritati”, finirono
tutti nel lago, dove affogarono. Eppure erano “in formazione”: come tanti bei
soldatini – e come gran parte di noi – tutti irreggimentati. Ma non erano “in
rotta” (come, giustamente, osservava Ronald Laing): erano sulla strada sbagliata.
E c’era, invisibile, il pifferaio magico. Invisibile, poi, si fa
per dire: le onde dell’etere saranno pure invisibili, ma come le vediamo bene…
E come abbronzano!
Comunque, poveri porci (e intelligenti pauca). Nondimeno, anche i
porci vogliono sopravvivere: nondimeno, come sosteneva Virginia Satir, l’istinto più forte, non è quello di sopravvivenza, bensì quello di aggrapparsi a ciò che è familiare.
“Hey baby,
take a walk on the wild Side”... Ma noi, essendo ormai arruolati nel
grande circo (tra “nani” e “ballerine”), continuiamo a rinchiuderci, come i
tanti bamboccioni, nella nostra bubble: una
comfort zone che, da “bolla di sapone”
(che comunque ci permette di vedere all’esterno; e in ogni caso, prima o poi
scoppierà), facciamo diventare una torre d’avorio.
Ma ne usciamo se ci toccano
la macchina o il nanetto nel giardinetto (fosse almeno l’hortus conclusus del Cantico dei Cantici: soror mea, sponsa mea…).
Siamo nel nostro
giardinetto ma siamo fuori da noi stessi: siamo alienati. “La nostra alienazione giunge alle
radici.” (Ronald
Laing, La politica dell’esperienza). Eppure, stop con le lacrime (sono o no un paladino, corifeo e sponsor del pensiero positivo, immaginativo e creativo?):
tutto può cambiare dentro e fuori di te!
“La danza incomincia. Vermi sotto i polpastrelli, labbra che
cominciano a pulsare, male al cuore e nodo alla gola. Tutti sono leggermente
fuori passo e fuori tono, ognuno segue un suo tempo e un suo ritmo. Lentamente,
si formano le coppie. Bocca a bocca, cuore a cuore, cercandosi nell’altro,
paurosamente, timidamente, ardentemente… le note si cercano in accordi, gli
accordi si uniscono nel ritornello, la cacofonia si trasforma in contrappunto
di un coro polifonico, un diapason del rito. Onde danzanti in cui fluiscono
alti e bassi di labbra e capezzoli, dita, spine dorsali, cosce, che ridono, si
attorcigliano, si mescolano, si fondono …. Estrema gioia e letizia, luminosa
vita che emana ancor più nuova e intensa freschezza. Sì, e possibile…”
(R. D. Laing, ibidem).
Sì, c’è ancora vita sulla
terra… (sino al 2021? O sino al 2120? E che dire del 2210? Se da un canto,
giocando con le cifre il prodotto non cambia, dipende da noi, cantando, far sì che cambi almeno il
risultato finale… E se non dipendesse da noi?).