READING FROM NEW YORK
Mela
verde, New York, acerba, matura, marcia. Cucina dell’inferno, salotto del
paradiso. Purgatorio. Lembi di limbo. Città lombrosiana, più che ambrosiana, psicanalizzava
Lorenzo (che un po’ guru lo era) nelle sue esordienti promenade all’ombra dei
grattacieli. Città fallica, ma non fallita. Folle. Frullata. La folla che
viaggia a folle. Frange di tempo. Città senza frangia.
“New York é una città brutta e sporca. Il suo clima é indecente. Le sue
strategie politiche terrorizzerebbero qualsiasi bambino. Il suo traffico é una
follia. La sua competitività é micidiale. Ma su una questione non vi sono
dubbi: dopo essere vissuti a New York, dopo aver fatto della città la vostra casa, nessun altro luogo potrà più reggere il
confronto.”
Città di cui fare esperienza. Con
innocenza. Da avventura culturale. E anche trend-setter.
E Lorenzo aveva tentato il grande salto. Un progetto ‘tosto’ il suo,
tostato al punto giusto. Ma su cui non avrebbe puntato un cent. Rien ne va plus. E
la pallina si era fermato sul numero giusto. Zero (a proposito, Lorenzo era un fan dei 50
Cent. Forte per un cinquantenne…).
“Le città sono stati d’animo, stati
emotivi, umori.” Con o senza John Steinbeck e Saul Bellow. Città da abbandonare, ma per andare
dove? “When you leave New York
you ain’t going nowhere.” Eppure, “Living in New York is never
easy” (e nemmeno leaving). Vivi
e lascia vivere. Da svegli, dormendo o in fase rem, New York è assolutamente da vivere, fosse anche “vedi New York e poi muori...” E
Lorenzo, che pure mai come in quello scorcio esistenziale (uno squarcio di vita autentica) voleva vivere, si fece
‘prendere’ dal gorgo macro-metropolitano (e dal suo gergo). Dal vortice
tritarifiuti, dalla fonderia di corpi e anime, dal laboratorio alchemico.
Reading from New York. Città biblica. Come
la Bibbia: puoi rileggerla infinite volte e ogni volta scopri un senso nuovo. Settanta
sensi. Città fucina, laboratorio di un futuro charming. E il
presente? Il sole che sbanda sui muri di vetro, le pareti di mattoni che si
fanno rubizze… New York, città di rubino, cristallo e porcellana (cinese).
Paradiso, inferno, purgatorio… (il limbo era passato di moda). Chiasso
generale tra i silenzi individuali. La musica? From the beginning, di
Emerson, Lake e Palmer. Così
sentiva (come sintesi) il ‘suono’
della metropoli in quel particolare stato d’animo (alla Emerson: non il
pop-singer, ma Ralph Waldo, sempre lui, il filosofo del ‘divenire’, quello per
cui “le preghiere degli uomini sono una
malattia della volontà e i credi una malattia dell’intelletto”). Sì, questo
il suo preludio nuiorchese. Un po’ alba di Pugnochiuso un po’ notti al Cairo.
Una malattia e una preghiera. Ma lui ora era in convalescenza. E una volta
guarito, avrebbe vissuto d’altro: di architettura, forse di preghiera…
Era il Kairòs, il calvario era finito
(dopo la salita, la discesa) e le lancette si erano fermate: a mezzogiorno.
Prima l’est (Pugnochiuso: una porta, una delle tante, sull’Oriente), poi
l’ovest (New York, un portone sull’Occidente). Un’oasi nel caos del tempo. Una
sosta tra volontà e immaginazione. E dentro questa, un viaggio nella selva
oscurata dagli skyscrapers, attraverso spazi, tempi, culture e identità
differenti, ma incidenti, intersecatisi in un complesso network di rapporti ed
effetti. E affetti.
“New York è dove tutti vengono a farsi
perdonare” confessa in Shortbus
il vecchio gay, già sindaco (alla frutta) della Grande Mela. Sì, Shortbus, il
gay-movie un po’ a Le fate ignoranti (ma oltre misura…), porno qui porno
là, ma d’autore (film trans-portato
al Festival di Cannes; portata un po’ indigesta…), che ben descrive la
metropoli metrosexual. Alla
Beckham.
Posh. Qui, più che
altrove, Lorenzo avvertiva la disseminazione della cultura, costantemente
contrattata e in divenire. Eppure, era solo da un paio di giorni che camminava
col naso in su. E senza puzza sotto le narici. La metropoli puzzava, la campagna odorava? Era tutto oro quel
che luceva? La metropoli versus la
città rurale. Due realtà sostanzialmente diverse secondo Georg Simmel, filosofo
quanto mai attento alla realtà urbana (Lorenzo se n’era occupato ultimamente,
in un breve saggio su un giornale locale. Discettando, una ciliegia tira
l’altra, anche di Kevin Lynch, Kurt Lewin e, dulcis in fundo, della percezione-Gestalt dell’immagine urbana).
Due realtà fisiche e
due gestalt – forme, strutture – che
incidono diversamente sul modus viventi dei loro abitanti. E sull’immaginario
urbano. Imago mundi. L’architettura che ‘co-stringe’
fisicamente, psichicamente, ‘pneumaticamente’, i suoi sudditi. Architettura da
de-costruire, reset
psico-territoriale, bouleversement creativo.
Punto di partenza, tra riva e ‘deriva’: la metropoli. Ritmo veloce, giungla di stimoli,
sensazioni e immagini. Versus: l’ambiente
rurale, dal ritmo lento, più
abitudinario e uniforme. “Più la folla è
densa, più ci sentiamo soli”, così Zygmunt Bauman ‘liquida’ la ‘città del
troppo’ (altro che villaggio globale… Troppo annacquato: perciò i localismi
stavano tornando a galla). Ma anche del troppo poco, del troppo uguale,
dell’indistinto. E dell’outlet (e dei continui outing e coming out). Città-teatro-off, metropoli del ‘passaggio veloce’,
del nulla – anche se iper… (e quella
di Marc Augè non è un’iperbole: passiamo la maggior parte della nostra
esistenza in ‘non-luoghi’, dove si consuma il presente e si abortisce
l’avvenire).
La metropoli del denaro e di Mammona versus
la campagna del baratto (e della mamma, quella con le tette gonfie di
latte). Ma anche lo sfilacciamento del
tessuto comunitario – altro che manna – a vantaggio della scolorita ‘stoffa’
periurbana (le periferie anonime e suicidofile, ipermercati inclusi, per quanto
architettonicamente ben disegnati). Luoghi, non-luoghi? Vita, non-vita? Il
bello non ha prezzo.
Vita tra i confini. Identità versus alterità. Ma ancor di più: alterità nell’identità. Equilibrio in
bilico. Città plurale, campagna singolare. Spaesamento. Urbanizzazione
selvaggia. Portici, shopping malls, clochardization.
Marginalità inclusiva, gentrification
elitaria. Minimal o segno ipergrafico. Fast-food versus slow-food. Boutique versus
ipermercato? Un po’ l’uno un po’ l’altro. Ma con juicio.
Adelante. Ingoiare, piluccare. Vivere,
sopravvivere. Morire, sognare, svegliarsi, risvegliarsi.
Fare del silenzio un’opportunità, un ‘possibile appuntamento’ per ricevere
intuizioni dal superconscio. Il silenzio della natura che (tra cinguettii e
fruscii) annacqua l’ebbrezza urbana. Vivere
tra i margini (e, spesso, sconfinare…). Questo l’universo quotidiano. Ma
anche l’intellettualità sofisticata, la riservatezza fino alla ritrosia, il
formalismo blasé e il distacco
anodino, il tempo che tutto scandisce e cronometra: questa la metropoli e i
suoi ‘numeri’. Ma dietro il numero c’è Dio…
(Tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara)