Maîtres à penser
Do you think I’m Sexy? Amazzone più che ninfa, Arianna andava più sul pragmatico (ma era sempre sexy). Non per niente era una cultrice, marxisteggiante (soft), della scuola di Francoforte. Anche se Lorenzo (più ‘sufi’, ma anche lui sexy) le aveva fatto apprezzare l’’eretico’ ex francofortino Elémire Zolla. Sia pur prendendolo con i ‘guanti’ (lei in questo era sempre un po’ sulle sue). Quello – tra gli spiritualisti vari, new-age o pentecostali, che Lorenzo ogni tanto le propinava – che più l’aveva colpita. Anche perché più colto, più profondo, più intrigante. E poi non era new-age, era un ‘filosofo perenne’. Uno scavatore, uno speleologo, un subacqueo, dell’anima. E delle anime. E per questo Arianna si era tuffata, senza bombola d’ossigeno, in qualche suo saggio. E aveva rischiato l’embolia (spirituale).
Già allora l’Atalanta venuta di corsa dall’Arno scoccava saette a seno nudo. E non solo ora che si era imboscata tra Amazzonia e Atlantico. Si era fermata per raccogliere tre mele d’oro: Zolla, Heidegger e, fuori campo, Cristina. A chi, tra i compagni borghesucci e imbolsiti, le chiedeva il perché di questo suo interesse così politicamente scorretto, almeno per i corifei del pensiero imperante, lei rintuzzava estraendo dalla faretra i dardi dello Zolla angry youngster, contestatore alle prime armi allineato al coro della scuola di Francoforte – di cui lei era una (virtuale) discepola a distanza (anche temporale). Un po’ per virtù scolastiche (insieme a Heidegger, i ‘francofortini’ formavano la piattaforma critica e teorica del suo vivace esprit architectural), un po’ perché il su’ babbo gliela inculcava sempre (la scuola francofortina, insieme a Marcuse, Freud e Sartre).
Sì, il mitico Jean Paul, suo eroe giovanile, “l’imprenditore di filosofia, di letteratura, di politica … si sente in Sartre la carenza di una necessità interiore.” Sì, lei amava Sartre, ma anche Baudelaire (che non garbava punto a Jean Paul). Alla fine al duo associò Camus: chiodo scaccia chiodo. In ogni caso, lei, come Lorenzo del resto, non era inchiodata alla tradizione filosofica ufficiale, in nome del primato della vita (parola di Adorno, filosofo ‘ufficiale’).
E così, dopo aver (as)saggiato il ‘cattivo’ maître à penser Elémire – ma la ‘mela’, in fin dei conti, gliel’aveva passata Lorenzo (scippata a Cioran: in quanto a ‘eretici’, il nostro, non se ne faceva scappare uno) – la ‘contestazione globale’ di Marcuse, Adorno e compagni cominciò a sembrarle un mero e vuoto esercizio di acrimonia (e grammatica). Noioso, nauseante. Privo di un vero orizzonte alternativo (sorvoliamo, per non dare il ‘destro’ ad altri commenti, sui salti di gioia di Lorenzo, sempre pronto a spingere su Julius Evola, Giorgio Locchi – un altro degli ‘sconosciuti’ cui l’aveva iniziata – e camerati d’ogni nuance: ma black is black…).
Nuove frontiere che Zolla (e il suo destriero, Lorenzo, al seguito) aveva trovato nei luoghi dell’anima, territori di cui ben poco Arianna aveva sentito parlare in casa (tranne che in occasione di qualche sortita della mamma – d’altronde era pittrice), in facoltà e nel suo giro di amicizie (salvo quando entrò nei pascoli celesti di Lorenzo: la solitudine dei numeri primi). Sempre un po’ sulle sue, però. Nondimeno, i ‘vagabondaggi’ metafisici di Elémire la trovavano spesso cameratesca sua compagna di viaggio. Così pure le sue ‘meditazioni’ e il suo ‘stupore infantile’.
Di sorpresa in sorpresa, ecco entrare in scena uno dei grandi (strani) amori di Arianna: Cristina Campo, la Simon Weil italica, la scopritrice della valenza teofanica del momento estetico, aristocraticamente pregna di Upanishad e mistica. Complice nel presentargliela (virtualmente) sempre lui, Elémire Zolla (oltre che il Lorenzo del periodo lefèbvriano), il quale, da mistico sensale, dovette assistere – magnifique – prima al coup de foudre, fuori campo, della sensuale Arianna per Cristina e poi alla sua ‘fuitina’ nelle lande del ‘sacro’ e del ‘mistero’. E durante i ‘pellegrinaggi’ nei territori vergini dell’anima (e dello spirito: Lorenzo le aveva spiegato che erano due ‘entità’ distinte), un’ulteriore, sconvolgente, scoperta: il ‘dionisiaco’. Che Arianna celava da tempo infagottato nel suo intimo, del quale forse sospettava l’esistenza, ma di cui non conosceva il ‘nome’ (e il ‘numen’).
E di balza in balza, il rinvenimento fortuito (o ‘forzato’ da Lorenzo) degli ostraka seppelliti sotto il terreno corticale del pensiero dominante: i frammenti di coccio di (più o meno) ‘cattivi maestri’, come Nietzsche (sì, proprio lui, il ‘cavallo pazzo’; e pensare che il primo ‘maestro’ di Arianna – il marxista Georg Lukács – si era impegnato a fondo nell’illustrare la “distruzione della ragione, da Nietzsche a Hitler”…). E poi, Benn, D'Annunzio e Cioran, in casa ostracizzati (salvo qualche ‘sinistro’ addomesticamento – lo stesso Heidegger era guardato con ‘maldestro’ sospetto: d’altronde non era stato il suo Lukács, il feroce Realpolitiker, l’’inquisitore’, il messaggero escatologico del nuovo eone, a bollare ex cathedra Heidegger, il leone, come “capofila del tenebroso esistenzialismo fascista”?).
Sempre con la guida del suo personal guru – Lorenzo – il ‘fascista’ (immaginario) dal ‘cappuccio’ rosso (per lui il fascismo era una fase storica conclusa, però gli serviva come sfondo di riferimento, ma anche come trampolino di lancio per nuove avventure mentali e di vita. E poi, non si sa mai, poteva essere ‘rifondato’…). Lui che le aveva fatto conoscere, dulcis in fundo, l’amarognolo Ezra Pound, approfittando della passione giovanile di Arianna per Jack Kerouac e invogliandola con le parole di un suo personaggio: “Pound era un buon diavolo, anzi, il mio poeta preferito.”
Due le squadre in campo: Marcuse, Sartre, Aragon, Lukács, Eluard, Neruda, contro Pound, Drieu La Rochelle, Brasillach, Jünger, Benn, Céline. Ma ecco infilarsi, tra angeli e demoni, anche il liberale Aron, quello che aveva profetizzato, contro ogni utopia sessantottina e catto-comunista, la deriva ‘chic-buonista’: “La simpatia testimoniata ai delinquenti più che alle vittime, la riduzione del numero e della severità delle azioni penali, la messa sotto accusa della società, colpevole per definizione, e non dei criminali.” Senza lontanamente immaginare che si sarebbe arrivati al ‘ma anche’…
E per battere anche nuovi sentieri (ma dove portavano?), lo sciamanesimo di Castaneda – anche questo osservato dal suo entourage con, ancor più, legittima suspicione – fino alle esperienze estetiche-estatiche d’ogni tipo, incluse – orrore! – alcune varianti borderline pentecostali (in questo imboccata, come sempre, dal famelico Lorenzo, che lei, per scherzare, ogni tanto chiamava Loren Zollà).
Alla fine, entrambi, lui e lei, nel tentativo di abbattere, una volta per tutte, la barriera tra la dimensione materiale e quella del ‘sogno’ (spesso coincidente con quella dello spirito, che, durante la ‘veglia’, sembra dormire), tentarono l’Aistesis (l’ebbrezza delle sensazioni) e l’Estasis (la vertigine spirituale dell’anima che si affaccia sui territori della trascendenza). E poi (gli esami non finiscono mai), l’aurora nicciana e il tramonto spengleriano. Abbinamenti spesso riusciti nel loro ambito di coppia. Prima a corrente continua (si comprendevano, ma non sempre concordavano), in seguito a corrente alternata, con qualche caduta di tensione e, qua e là, dei black-out (non si con-prendevano più, né si prendevano).
Infine, qualcosa scoppiò…
Tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara