La filosofia mi tira, la teologia mi attira, la
psicologia mi attrae, la spiritualità mi atterra… (mi atterrisce, ma
di terrore sacro.) Ma la fede mi porta in alto - Il Terribile
è accaduto!
Ho rivisto Million
Dollar Baby e ho compreso una volta ancora che la vita
bisogna afferrarla, per poi lasciarla andare sulle onde dello Spirito. Anche se
tutto questo può portare, in taluni casi (il film ne è testimone), alla morte per eccesso di vita:
un voler quasi tranciare il filo dell’esistenza, dopo aver cavalcato
la tigre, affinché dall’existenz minimum si passi alla massima
vita.
E se ciò – il forzare il passaggio oltre il ‘velo’,
squarciandolo – può non essere moralmente plausibile, so pure che la Sua
benignità dura in eterno…
La ragazza da un milione di dollari (Hilary
Swank/Maggie) mostra una sua fede, sia pure apparentemente aliena dallo
Spirito; altrettanto dicasi dei suoi coach (Clint Eastwood/Frankie e
Morgan Freeman/Scrap). Una “trinità” – Maggie, Frankie e Scrap – che ben
rappresenta ogni tri-unità ‘corpo-anima-spirito’ nei suoi complessi
intrecci e intersezioni (l’olismo che supera ogni mera unità).
E poi, il quarto (con e oltre Jung): lo “spettatore”, che
ben comprende come la profondità della Realtà sia così oscura da
confondere ogni nostra morale e moralina. Ma se riusciamo a liberarci dalle
catene – a scatenarci – possiamo comprendere il vero significato
dell’esistenza. Un’esistenza che può essere “guerra e pace”, purché sia degna
di essere vissuta: questo vale per Maggie, malgrado la sua scelta estrema – e
vale anche per Frankie che in Maggie – Mo Cùishle (il
“mio sangue”, il “mio tesoro”, come segretamente la chiamava in gaelico) – aveva
trovato una ragione in più per vivere. Non solo, anche qui, come per l’Aisha
del mio post (Fighter), c’è, dopo qualche forte resistenza, l’accettazione,
consapevole e ammirata, della donna da parte dell’uomo.
Qui mi fermo e, al posto di Frankie e Maggie, vi lascio con
Lorenzo e Gaia e alcune gocce di pioggia a
Jericoacoara. E lasciate che la pioggia vi bagni. Purché non vi
raffreddiate...
“E come dicono piacesse a una fanciulla svelta
il pomo dorato che le tolse l’impaccio della sua ritrosia, mi piace.” Di morso
in morso, sempre più vicino al torsolo… Lorenzo, dimentico della Genesi (e
memore di Catullo), clonò il suo sorriso: solo allora si rese conto – forzando
un po’ i tempi – che due incontri casuali in così breve tempo facevano bingo
(più che ambo) nel campo delle leggi statistiche (che lui ben conosceva, da un
esame marginale del suo piano di studi) e che si accingeva a rientrare, per
l’ennesima volta, nell’accidentato territorio di Jung e delle sue sincronicità.
La situazione non era però impilabile in quella della piscina: l’intreccio di
libro e gambe configurava uno scenario ben diverso.
«Conosci Laing? Mi riferisco a erredì Laing (Lorenzo calcò
intenzionalmente sulle iniziali R. D. per giocarci un po’), il guru della
pazzia...»
Scagliata la prima pietra, il tempo di un respiro, fatta una
breccia nella muraglia, cominciò ad avvolgere (come non era solito fare)
l’inerme fanciulla nelle sue spire.
«Sì, il guru: beh, sai, la posizione del loto stimola!»
Lorenzo non riuscì a trattenere la banalità intellettualoide,
arrotando pure la erre, ma la ragazza valeva ben una messa (...in moto, di ogni
sua risorsa).
«Touché!» lei di rimando.
Ormai il contatto era on – l’anglicismo è qui d’obbligo
in onore di Ronald – e la luce si accese su (e in) entrambi. Non
particolarmente vivida, ma più che sufficiente a illuminare per una decina di
minuti il percorso tra lo psicanalitico e lo spirituale che si era
inaspettatamente avviato, complice Ronald David Laing, il guru scozzese
dell’antipsichiatria, il mentore di Lorenzo.
«Di Laing, e parlo del ’68 – che qui da noi era poi il ’69,
l’anno del mio debutto in una bollente Firenze (e dintorni, Pisa soprattutto)
–, mi aveva colpito il suo approccio esistenzialista. Mi sembrava quasi un
Sartre più nauseato del solito, ma ciò che più mi attraeva era il suo cotè
metafisico, spirituale, al di là del velo.»
Il fiotto delle parole fu quasi orgasmico. Lorenzo poteva,
finalmente, permettersi di parlare alto.
Era da un bel po’ di tempo che non usava il sermo compositus per
titillare e avvincere, se non convincere, gli interlocutori (le ultime
frequentazioni di chiesa, gente spesso alla buona, e quel che rimaneva dei suoi
cerchi di amicizie avevano abbassato il suo ‘tono’). Lui amava la varietas
e la mutatio. E riusciva a passare, in un battito d’ali, dal sublime
al terra terra. Ma quel che più detestava era l’analfabetismo culturale, il
balbettio o la logorrea senza ratio né pneuma. E i palloni
gonfiati. Ma soprattutto, i talenti sotterrati. Non riusciva proprio a
comprendere come si potesse vivere senza cultural literacy. Lui valutava
le case, e le persone, dalle loro librerie…
«Certo, Laing. Se non fosse stato per lui, anch’io sarei rimasta
al muto cicaleccio quotidiano. Oppure, all’happy hour, al brunch, al
grunge... Niente di male, per carità. C’è il tempo per i voli pindarici
e quello per le scivolate e le bischerate (qui Gaia toccò le corde del Lorenzo
alla fiorentina, già a mezza cottura…). Ma io, allora, e parlo di solo un paio
di anni fa, volevo, non solo conoscere, ma sapere. Penetrare nelle
cose. Coglierne l’essenza. Pistis e Sophia, fede e sapienza.
Ed ecco che, in un incidente di percorso, andai a sbattere contro Ronald. Se sei
pronto, il maestro non si farà attendere… E lui mi
venne incontro. Come ti ho detto, più che un incontro, fu uno scontro. Uno
sgambetto, un colpo a tradimento. Un deragliamento dal binario delle mie
robotiche certezze. Prima robuste, poi indebolite. Se non fossi inciampata in
Ronald, avrei continuato a bighellonare tra vetrine e display. Oppure sarei
rimasta in sosta, al palo o da velina (il massimo immaginabile, ma c’è pure il
minimo…), in quel grande parco-macchine che è il mondo. Magari girando e girando
in cerca di un posto… Una gogo girl tra tanti gogo boys. Ma lui era
dietro l’angolo e mi colpì alla testa.»
Gaia finse di massaggiarsi la tempia destra (il ‘cervello
destro’?) e continuò la corsa, premendo l’acceleratore.
«Un libro. Sì, è stato proprio un libretto a cambiarmi la vita.
A introdurmi in nuovi territori, inesplorati. Con strani abitanti. A
farmi navigare su mari lontani, e pericolosi. Una cosa tra le cose, un
volume affondato nell’oceanica biblioteca di Babele di questo caotico cosmo
quotidiano. L’ossimoro che si fa emozione, la bellezza che dà ossigeno
all’anoressica realtà, una flebo di vita ‘autentica’ per disintossicarsi dalla
tisica quotidianità. Un libro trans contro l’anossia dell’esistenza.
Spruzzi e sprazzi di vernice spray sul muro bianco della mia vita (anche se ho
letto da qualche parte che “L’uomo è un foglio bianco, su cui l’ambiente
e la società incidono delle linee precise…”). ‘La
politica dell’esperienza’, il libro che tu ben conosci, trovato per caso
(ma il ‘caso’ è il ‘cacio sui maccheroni’ della quotidianità) su una bancarella
di libri usati, fu proprio una mazzata. Una scossa, in particolare la sua
chiusa: “Se solo potessi convertirvi, condurvi fuori dalle vostre
meschine menti, se potessi comunicare con voi, allora sapreste.” E io seppi,
ma non mi fermai lì, andai oltre…»
Solo un attimo di sospensione, e poi la stoccata finale.
«A proposito, se incontri il maestro, abbraccialo, bacialo e
poi… uccidilo.»
Un lampo, un flash-back nello spin del tempo: fu proprio alla svolta dell’ultima pagina del fatidico 1991 che – complice un ‘supporto’ umano (e un altro paio a far da ‘volano’) – Lorenzo si ‘risvegliò’, rientrando in sé come il figliol prodigo (pur non avendo vissuto, salvo qualche intemperanza – so’ ragazzi… –, alla maniera dissoluta di questi). Ma, passato il momento di lucidità, non sempre era riuscito a sfuggire al cappio dell’immancabile (sia pur sempre meno frequente) ricaduta, ripetutamente risucchiato dall’esistenza ordinaria.
Un lampo, un flash-back nello spin del tempo: fu proprio alla svolta dell’ultima pagina del fatidico 1991 che – complice un ‘supporto’ umano (e un altro paio a far da ‘volano’) – Lorenzo si ‘risvegliò’, rientrando in sé come il figliol prodigo (pur non avendo vissuto, salvo qualche intemperanza – so’ ragazzi… –, alla maniera dissoluta di questi). Ma, passato il momento di lucidità, non sempre era riuscito a sfuggire al cappio dell’immancabile (sia pur sempre meno frequente) ricaduta, ripetutamente risucchiato dall’esistenza ordinaria.
Come un sonnambulo o, peggio, un robot, aspirato
dai suoi pensieri, dai suoi ricordi, dai suoi desideri, dalle sue sensazioni,
dalla bistecca che mangiava, dalla sigaretta che fumava, dall’amore che faceva,
dal bel tempo, dalla pioggia, dall’albero vicino, dalla vettura che passava... Pur non
rientrando appieno nella tipologia (comune, diciamo pure maggioritaria)
dell’uomo sonnambulico, o eterodiretto, non sarebbe di certo sfuggito
all’occhio levantino di monsieur Gurdjieff (anche se Lorenzo non
fumava).
Fasi up e fasi down. Up nella sua volontà, down
nelle viscere del suo subconscio. Qualche volta il ribaltone. Guai se il down
esteriore fosse stato, abitualmente, in fase col down interiore…
Che risonanza! Anzi, che dissonanza. Stonata: depressione, vuoto, oppressione, letargo.
Ma ora i due up si erano riallineati e Lorenzo, sospinto fuori dalla
caverna delle ombre vaganti, si era ri-risvegliato (se così si poteva dire)
quel che bastava per continuare quel cammino sul ponte, così pieno
d’intralci e intoppi (e scivoloni), che pure – così almeno gli era stato
profetizzato anni prima – lo avrebbe portato verso una meta luminosa.
Un faro al termine della notte: da tempo
premonizioni, intuizioni e segni vari (bagliori) gli avevano fatto
intravedere squarci di un mondo ‘autre’, di un’altra dimensione della
realtà. E una chiamata a una vita diversa...
“Viaggiare è proprio utile, fa lavorare
l’immaginazione ... Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario ...
Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita.” Il
viaggio alla Céline (anche se Lorenzo oscillava più tra Céline Dion e Dion
Fortune, tra la cantante e l’esoterista) lo stava portando dal fondo della
notte verso un’alba dorata. Lui che, come Salgari, suo compagno di
fanciullezza, viaggiava soprattutto a cavallo della fantasia. Anche in questo cavalcava
la tigre.
L’immaginazione al potere. E Lorenzo,
immaginifico com’era, sarebbe certamente diventato re… Circostanze e
coincidenze gli avevano dato delle indicazioni ben precise e lo stavano
accompagnando, mano nella mano, talvolta con strattoni, verso la corona – Keter
–, la ‘sfera’ più in alto sull’’albero della vita’. Oppure, anche senza
scettro, nella giusta direzione. Giusta ma non ancora a portata di mano, o di
vista (se non del terzo occhio: l’oculus fidei).
Se fino ad allora tutto era andato a rilento, ora ebbe, dentro
di sé, la sensazione certa che tutto avrebbe cospirato a farlo andare, e
quanto prima, verso la meta. Non solo quella eterna: già un primo traguardo – e
che traguardo! (ma lui non lo sapeva ancora) – in questa vita. Saltando,
zompando, cabalisticamente, dal tempo circolare – l’eterno ritorno – dei
primordi al tempo cubico – lineare – del futuro: scagliato come
un dardo verso il traguardo.
Morte, dov’è il tuo pungiglione? Dalla vita
‘muta’ alla vida loca. Dal Mito alla Storia… Ma sarebbe stato pur sempre
un futuro ‘mitico’. Luminoso, gioioso, focoso. Vitale, vitalistico, pieno di
slancio. Olistico. Senza più affanno e viso abbattuto. Non più come
Caino. Al contrario, sarebbe corso verso la meta ridendo, danzando, con una
mano verso il cielo e l’altra puntata verso la terra.
Dionisiaco e apollineo. Filosofo e
poeta, avrebbe inghiottito il tempo in una folle risata. Non più l’Adamo
scacciato dal giardino (si era forse scocciato?), Lorenzo, ma lo Zarathustra
disceso dal monte (e come rimase scioccato!). Per lui, che nicciano era fino al
midollo, diciamo pure fino all’ossimoro (e non nicchiava più), era
giunto il momento (divino, malgré Nietzsche) di trangugiare tutto d’un
fiato il ben poco sciropposo Gilles Deleuze e la sua salata citazione
internettiana, scippata a un sito di ‘cultura non conforme’: “Coloro
che leggono Nietzsche senza ridere, e senza ridere molto, senza ridere spesso,
colti talvolta da un fou rire, è come se non leggessero Nietzsche.”
E Lorenzo aveva deciso di ridere.