NOTTI A RIO
Samba pa ti
Nei post precedenti ho soggiornato prima a Roma,
poi a New York. Oggi, sempre complice il romanzo tuttifrutti Gocce
di pioggia a Jericoacoara, volo (e spiaggio) a Rio de Janeiro, se Deus quiser…
Se
Deus quiser – se Dio vuole – lo slogan carioca.
E Dio aveva voluto… e il due di cuori aveva fatto poker, barando pur di
giungere a destinazione. Rio de Janeiro, ‘la città meravigliosa’, svelata a
gennaio (1502) per turbare i sonni dell’Occidente, riscoperta a settembre (2000
e passa) per colorare i sogni del nascente Oriente di Arianna e Tomás,
era lì a disposizione, con le sue montagne a cuneo e il Pan di Zucchero
emergente sulla dolce Baia di Guanabara. Pronta a essere sciolta in
bocca, tra un boccale di birra e un baccanale. Traboccante di vita, invitante,
sveglia. Svogliata e svitata.
Rio, città incantata
e incantatrice, tragedia e farsa. Giungla urbana (non solo per i suoi dieci milioni
e passa di bianchi, neri, gialli, meticci di ogni nuance, ma, alla lettera, per
la foresta ‘cittadina’ di Tijuca, la più vasta del mondo). Concresciuta
tra i morros a pan di zucchero (e il Corcovado,
col suo Cristo Redentor,
concreto – in ogni senso) e la giugulare di spiagge, graffiata dalle
smozzicate unghie nere delle favelas. Alla luce del cielo più blu (di tutto o globo).
Blu dipinto di blu. E il mare a fare da
pendant. Centocinquanta i quartieri: dal top al down, cento chilometri di praias
da favola (top of the tops), baie, cale e calette. Topless e brown sugar. Con
Tomás, caliente aitante cobra con gli occhiali (rayban), che, caimano,
calcava il pedale della sua cabrio nera, scalando marce e scialando benzina,
pur di farsi una sgroppata su Rio (e Arianna).
Che tour de
force! E senza forse. Una farsa (tra la commedia – umana – e il
dramma). A ritmo di bossanova, armonia
ritmica sincopata (ma Arianna la sincope l’aveva rischiata a Jericoacoara:
solo il forró l’aveva salvata). Partenza obbligata da Copacabana,
prime sgommate (traffico permettendo) sulla mitica Avenida Atlântica,
bordeggiando filo filo(dentale) la baia. Poi a capofitto nella gola profonda.
Non prima di aver dato una botta a Botafogo, l’intellettuale, e aver
fatto una calata alla mini-praia di Urca, bocconcino con contorno di
liberty e alsaziano, inginocchiata (e loro distesi) sotto o Pâo de Açucar (urca, che panorama!).
E poi di nuovo al galoppo (solo qualche
sosta, più o meno prolungata, per un sorso di schopp – la birra
alla spina): Vermelha, Leme, la surfeggiante Arpoador e la Ipanema
fashion – quella di Vinicius de Moraes e Tom Jobin, e della loro –
partenariato d’amore? – garota ‘piena di grazia’ (È lei la ragazza che sta
passando, dondolandosi dolcemente…). Di seguito Leblon, dalla sabbia
fine: esprit de finesse e jeunesse, spiaggia boom di giovani
sirene e tritoni, surfici e veleggianti. E, dappertutto, i bum bum.
«Lo sai che nel 1984, l’ultimo dell’anno, su
questa spiaggia erano tre milioni e mezzo al concerto di Rod Steward? Il top
dei tops dell’audience nella storia della musica, e forse non solo…»
Gli occhi di Tomás si fecero lucidi, quasi
volessero distillare, centellinare, per poi all’improvviso vomitare, ricordi
accuratamente sepolti sotto la sabbia.
«Avevo solo otto anni, ma sai, sono
sensazioni tatuate indelebilmente sotto pelle… Notte magica: mi trasformò, mi
fece fare il salto verso l’ignoto, verso altri lidi. L’atmosfera, la musica, la
massa umana, la messa laica, gli spiriti svolazzanti e guizzanti, Jemanjá…
Mio fratello – diciotto anni – e la sua ragazza – una garota bum bum – rimasero
a terra, distesi sulla sabbia. Rod li aveva stesi… E io presi letteralmente il
volo. E mi ritrovai cullato dalle braccia di Jemanjá…»
Arianna, che nello strippante trip
Jericoacoara-Rio aveva finalmente tubato senza ombra di turbamenti col bel
Tomás, si lasciò andare anche lei alla brezza dei ricordi. Dancing out of the darkness. Dolcemente, senza rabbia, senza
rancore, anzi con un po’ di nostalgia. Rivisse condensate le ore vellutate di
lei e del suo Lorenzo distesi velvet underground ad aspirare
musica, stretti (giù e su) cheek to cheek, ispirati, carezzati, titillati,
graffiati dalla voce di Rod e leniti da quella di Jacques.
“Une orange sur la table / Ta robe sur le tapis / Et toi dans mon lit /
Doux présent du prèsent / fraîcheur de la nuit / Chaleur de ma vie.“ Un
amore alla Prévert, appassionato, passionale, di profonda amicizia… Carnale,
spirituale, sensuale. Senza limiti. Al di là del bene e del male. Maudit. Ma ora malandato. Abbandonato,
ma, chissà… Udite,udite… che Lorenzo non fosse, come sempre, il backup guy, l’(eterno)
ragazzo di ritorno? Ruota di scorta? No, mai! Un po’ sgonfio, questo sì.
Lui,
ancora lui, sempre lui, il palloncino si stava gonfiando, cominciava a risalire
a galla… Sempre lo stesso ritornello, ma questa volta una bella cover, più
intrigante del solito.
Cover,
remix, unplugged? Ma guarda un po’… era la prima volta che, da
maggio (o giù di lì), pensava veramente a
Lorenzo con un tocco di nostalgia e affetto! E con qualche brivido.
Samba
de minha terra. La sabbia impalpabile era piena di polpa (ma sarebbero
seguite ore da pulp fiction). Le ragazze di Copacabana: una più pescosa
dell’altra (ogni tanto un frutto marcio, alla cellulite); i ragazzi: pere cotte
(tra cui rotolava qualche bel cocco, brunito fuori, bianco di dentro).
Il
latte scorreva a fiumi, erano lì l’uno per l’altra. E le cocu magnifique? A
casa… (Arianna non era per nulla convinta che Lorenzo fosse andato da solo a
Pugnochiuso.) Il brivido precedente aveva lasciato il posto a nuovi tremiti.
Lorenzo aveva preso il volo, Tomás era atterrato, sia pure fortunosamente,
sulla sua pista. Dissestata. Due – Arianna e il secondo Adamo (con
qualche riserva…) – in uno: lei in fio dental (mai arrischiato fino ad
allora), lui quasi. Una mimesi del meglio della fauna locale. Quest’ultima a
fare da terzo incomodo, da convitato di sabbia (in lei c’era un po’
della pantera, da lui faceva capolino il giaguaro). Arianna, donna leopardo (alla
Moravia?).
Toda
joia toda beleza. Flora e fauna ibridate da gemme alloctone: un po’
teutoniche, un po’ latine. E lei, internazionale. Arianna, penetrata dal
genius loci, aveva azzardato il microkini (leopardato) a Copacabana, dopo un
assaggio del più pudico bum bum made in Ipanema, multicolore e glamour.
Incredibilmente in forma, nonostante gli anta (e sempre bootylicious, come Beyoncé, e dal booty/bumbum sempre in piena forma, alla Jennifer). Donna ‘a
clessidra’, rapporto vita fianchi alla Jessica Alba, quindi non solo ‘bonita’,
ma più intelligente della media (secondo i ricercatori, quelli di bocca buona).
Un po’ Faust, un po’ Dorian Gray, un po’ Shakira (aveva preso in primavera un
po’ di lezioni di danza del ventre, il che collaborava al sostentamento del suo
‘asso’ alla Lopez).
Ben
sceccherata, lei. E lui, l’asso (sotto la manica), delizioso, sciccoso,
scioccante. Ice, ghiacciato, un
ghiacciolo alla frutta… Doremifasol… Scacco al re. Shake shake shake… shake your booty. Se a vent’anni (come nelle canzoni
di rabbia di Claudio Lolli) Arianna – le passate
conquiste, i buchi nella sabbia… – faceva girare le
testa agli uomini, ora – fatto il bis e passa (di anni) – faceva tourner la tête
a uomini e donne. Bipartisan. Un colpo al cerchio e uno alla botte. Da love boat. Bum chicky, chicky bum. Shake ya bum bum…
A cerchi concentrici (anzi, eccentrici):
dopo il tour panoramico hula
hoop, lei
e il gringo (in effetti, era un
po’ brasileiro un po’ europeo) fecero tappa all’isola di Paquetá.
Ma nessun tuffo, se non nelle viuzze dal gusto antico, guancia contro guancia
(quella di Arianna, arrossata, traccia inequivocabile di un contropelo
troppo duro…). L’Área de Preservação do Ambiente Cultural valeva
bene una visita accurata, con lo stetoscopio. Ma qui non giocarono al dottore.
Tornarono alle radici, all’Architettura, allo spazio che si fa forma.
Policromia di casette d’antan, nulla che grattasse il cielo. Uniche fughe in
avanti (anzi, retrò), le case dell’architetta visionaria anni ’50, la free
spirit Ormy Toledo, sulle orme e dentro la quale (la sua architettura)
entrambi, specie Tomás, vollero andare a fondo (ogni viaggio è un’avventura
culturale), soffermandosi non poco dinanzi alla sua vasta produzione in
technicolor, qualche volta entrandoci dentro.
Diverso l’approccio con la praia do
Grumari. Qui nessuna costruzione, solo palme e tropici. Puro capricorno
(per lei, ‘cancro’ impuro – come Lorenzo, del resto). Spazio nature. Caprice de Dieu. Natura
informale. Sabbia e poi sabbia, mare turchese, lontani dal sabba metropolitano.
E da ogni gabbia. Qui, quasi con rabbia, Arianna osò il topless che aveva
lasciato nel cassetto dei ricordi (la Porto Santo Stefano anni ‘70, più qualche
puntatina sull’albeggiante Costa Smeralda da sceccherare e quella Azzurra sul
viale del tramonto). Al limite del nude look (a Copacabana, per quanto filodentale,
era pur sempre un due pezzi).
Amazzone per caso,
femmina per libero destino (l’ossimoro al quadrato…), Arianna: creatura
dell’estate (per nascita e declinazioni). Estasi pura. Sempre in movimento.
Bionda. Come Janey, una delle Four blondes di Candace Bushnell. E quando un uomo si trova davanti a
una bionda: “L’attività cerebrale
diminuisce, il quoziente intellettivo scende, le capacità cognitive vengono in
buona parte ibernate.”
Arianna,
anche lei bionda a pezzi. Ma sempre Sex and the City. Sia pur candida (Sesso? Sì, siamo italiani…). L’abbronzatura,
sempre più dorata, con scaglie di cioccolato. Fondente. Arianna alla fonda nel
Nuovo Mondo.
Fusa, confusa? Sexual healing? Non
sapeva cosa pensare. Circonfusa di nuova luce? Cominciava a pensarlo.
Mancava poco al sabato. La nuova
terra era formata e adorna. Il tohu e bohu degli ultimi mesi era
ormai solo un pallido, sbiadito, ricordo. Era in pieno streben immaginifico.
Slancio creativo, free lance, sulla pista di lancio. Strip and trip ai
tropici. Se avesse avuto sottomano la ‘lancia’ – un tecnigrafo (ormai
strumento archeologico, ma lei lo conservava come una reliquia), o un computer,
anche una semplice matita – avrebbe colpito nel segno, avrebbe partorito il suo
capolavoro, la sua casa sulla cascata.
Pochi giorni a Rio e
già si sentiva come una di casa. Anche tra le viuzze e le piazzette dell’Avenida
Rio Branco, in vetta alla salita alla Frisco, sul trenino che
attraversava il parco di Tijuca fino al Cristo del Corcovado. E
per la par condicio, sul ponte do Diablo, a guardia della favela. E che
non fossero favole ne ebbe la conferma la mattina seguente, quando tastarono,
sia pur ai lembi, Rocinha, la bidonville più grande del Sudamerica
(carità di patria? No. Solo voglia di sensazioni forti, come nelle scorribande
del divin marchese e della sua trasversal combriccola).
Favela
pop. Trecentomila (o giù di lì) poveri in alto a dominare i ricchi e
l’ancor più ricca baia (e sempre più meninos, e non solo, lì a sniffare, la
testa affondata nelle buste di plastica piene di freon, il gas dei
condizionatori. Euforici per un quartino – d’ora –, fuori per chissà quanto…).
E non era certo l’unica, di favela (almeno settecento le baraccopoli, con due
milioni di desperados – desaparecidos? – ad
arrancare. E narcos a tutta birra, e coca, a tirare e sparare). Da lì e da altri
‘alti luoghi’, armate di chicos
(‘gasati’ e ‘incollati’) discendevano spesso e volentieri a far razzia sulle praias di Ipanema, Leblon, senza dimenticare Copacabana (non c’era, Deo
gratias – e gratis, solo la turma do
gueto, ma anche gruppi di uomini e donne di buona volontà
impegnati nel sociale).
E le favelas più malfamate erano proprio
quelle a contatto di gomito coi quartieri più chic (Tomás le aveva confidato
che i facoltosi clienti dello Sheraton, alla spiaggia privata, ai campi da
tennis, alla piscina, al fitness center, preferivano le zumate al cannocchiale
sulla contigua favela di Vidigal…). Ma per loro Rocinha bastava e
avanzava.
Era ormai primo pomeriggio e Arianna e Tomás
decisero di tornare in albergo per un corroborante relax pre-serale: il party
li avrebbe di certo stancati ed era meglio fare una bella ricarica. Ma prima
della programmata siesta un robusto pranzo indigeno (sperava non indigesto, ma
ormai lei era vaccinata a tutto) a base di feijão a carioca – fagioli
neri, carne di maiale e salsiccia piccante – annaffiato da dosi massicce di alvorada
(acquavite, succo d’arancia, limone e maracuja). Per essere più pronta per
la notte di locura, di follia, nella quale si sarebbero aperte le porte
sul mondo invisibile (quello reale, così le aveva detto Tomás).
Altro che la Rio by night per turisti, a
base di samba e cenetta in una ‘Barbecue House’… Sarebbero accaduti – così le
aveva promesso il guascone compagno d’avventura – eventi mirabili, prodigi
straordinari, incontri meravigliosi e pericolosi (speriamo nessuna bala perdida – pallottola vagante).
Incontri con uomini (e donne)
straordinari. Come nello scespiriano (e non solo) Sogno di una notte di
mezza estate…