domenica 17 gennaio 2021

IL SESSANTOTTO. LUCI E OMBRE (rosse e nere)

IL SESSANTOTTO

 

LUCI E OMBRE (rosse e nere)

 

Oggi, e qualche altro post ancora, parlerò del ’68.

Cosa c’entra, a chi può ancora interessare, ma cos’è sto sessantotto…?

Tutte domande lecite e plausibili, in quest’epoca più ombre che luci (Kali Yuga direbbe qualche studioso non-conforme, o qualche negazionista qualunquista dell’ultim’ora).

Parlo, però, di un evento (sfaccettato e multicolore – non solo ‘rosso’, anche ‘nero’, e nerd) che ha forgiato la mia vita e, indirettamente, a chiare lettere o di riflesso, la fine del secolo scorso e stralci del presente. E ne parlo perché l’ho vissuto direttamente, scontri compresi… (e “incontri con uomini straordinari”). E non per sentito dire, o per gettare fumo (so’ pischelli…).

E ne ho anche parlato diffusamente nel mio romanzo Gocce di pioggia a Jericoacoara, da cui questo (s)tralcio – ne seguiranno altri nei prossimi post.

Bene, ci sono posti a sedere… (anche in piedi).

 

“Col compiersi del mio sviluppo, si acutizzarono in me l’insofferenza per la vita normale alla quale ero tornato, il senso dell’inconsistenza e della vanità degli scopi che normalmente impegnano le attività umane. In modo confuso ma intenso, si manifestava il congenito impulso alla trascendenza.” Frattali e frattaglie. Mentre a Berkeley, a Parigi, nelle stesse Firenze e Pisa, quando non infuriava la battaglia c’era per lo meno l’odore acre delle scaramucce (e di molotov e lacrimogeni), Lorenzo, chiuso – blindato – nella sua stanza (la pensione per studenti – i suoi si sarebbero trasferiti a Firenze da lì a poco), s’incartava cercando invano (indArno) di scacciare le mosche che gli si appiccicavano addosso.

   Aveva scartato l’inessenziale, ma l’essenza latitava (troppi i ‘buchi’ dell’anima da riempire). Tanto più la sua vocazione. Solo presunta. Continuava a sbattere come un lattante la testa contro la finestra chiusa (fosse stato donna, contro il soffitto di cristallo, se non di marmo), nella speranza di raggiungere una realtà che non riusciva ad afferrare. Per dirla con Baudrillard, era come una mosca di fronte ad un vetro.  

   “C’è un tempo per costruire e un tempo per vivere e generare. E un tempo perché il vento rompa il vetro sconnesso…” Finché ci riuscì (a infrangere la vetrata, senza spiaccicarvisi sopra). Uscito dall’impasse con l’aiuto (il vento) di Julius Evola e del suo congenito impulso alla trascendenza (e di Thomas Eliot e i suoi Quattro Quartetti). Il filosofo maledetto (Julius) – il nichilista aristo-creativo, il ‘barone nero’, il no-global ante-litteram che non dispiace a Max Cacciari il filo-lagunare – lo aveva aiutato, col suo bastone, a uscire dal gregge belante per entrare nel branco ululante. Fuori dal recinto maleodorante per introdursi, nottetempo, nella selva oscura, il bosco prêt à porter da sradicare e portarsi appresso, come un giovane Jünger ribelle (quello che piace pure a Roberto Saviano, l’anti-camorra/gomorra).

   Quinto: uccidi il padre e la madre. Lorenzo: il giovane novizio da iniziare alla vera vita, allontanato dalla madre (non solo quella biologica, ma anche quella ‘social-borghese’) per essere condotto nella ‘foresta’, per ivi morire e rinascere (simbolicamente e nei fatti). Eden pagano scippato agli dèi. Pagato a caro prezzo. E senza usura, alla Ezra Pound (e con Jerry Rubin, e gli altri beat e radical west coast, a dettare i nuovi ‘comandamenti’). Hashish e mirra contro ogni camarilla. Cameratescamente. Giardino inaccessibile, intorno a cui ruggiva il leone e in cui strisciava, sbuffando, il leviatano, un po’ biscione, un po’ caimano (Berluska era ancora di là da venire).

 

  “Non verso Nord o verso Sud, né Est né Ovest, ma verso l’Alto...” Tra due pesi (e misure), ma imponderabile. I tre fili – quello bianco, la pulsione ascendente; il rosso, la tendenza espansiva; quello nero, la pulsione discendente – fittamente intrecciati. Pronti a slacciarsi. E a diventare uno. Fili lunghi, ma resistenti. Dacci un taglio! Lorenzo, il filosofo da srotolare… Senza misura: un po’ global un po’ no; figlio naturale degli hippies e, hip-hop, della droite barricadera. In the cut.

   Lui era per l’et-et più che per l’aut-aut. Ma non per questo si era fermato. Con il suo vel vel era andato oltre il velo (anzi, l’aveva stracciato). Al seguito di Péguy e Sorel era andato oltre. Al di là della serra riscaldata del conservatorismo spicciolo e del perbenismo borghese. Ma non era un ultrà. Evaso dalle gabbie della vita non vissuta, mercificata, aveva percorso, sulle tracce dell’ombroso Heidegger (non solo Jünger), gli Holzwege, i ‘sentieri del bosco’, i sentieri interrotti, che, pure, portano alla Lichtung, la ‘radura’ dell’esistenza autentica. Un sentiero luminoso per Lorenzo, in cerca di lumi.

   Parto cesareo del ’68, il Lorenzo-matricola. Levatrici: Sartre, Reich, Burroughs, ma anche Evola, Spengler, Jünger. Due tris in attesa del poker (poi sarebbe venuta la scala reale). Svezzato, a giochi (laurea) fatti, col pensiero antiglobale di Toni Negri e, manco a dirlo, con le dritte di Alain De Benoist. E la sua rottura epistemologica con la destra cadente. Lui cercava nuovi astri, oltre lo star-system. Figlio del Sole, non meno che delle stelle. Solare, stellare, lunatico. Anarca e Miles (gloriosus), Davide e Golia (di Jonathan manco a parlarne). Oltre le antinomie ‘destra-sinistra’, ‘conservazione-rivoluzione’, ‘hippy-yuppy’, alla ricerca di una sintesi originale. Che tardava a nascere…

   Epos ai confini dell’eros, questo il suo antidoto contro la banalità del quotidiano. Kulturkampf esistenziale. Progettualità viva piuttosto che memoria morta (e corta). Voleva andare avanti voltandosi, di tanto in tanto, indietro. Tantum verde e tantra nero. Tramonto dell’Occidente, alba dell’Oriente (non quello massonico, ma il messianico). Con Guénon, Aurobindo e Coomaraswamy a offrirgli mammelle sempre gonfie di latte. E Mishima pronto a dargli il suo mantello (e il pugnale).

   Lorenzo: cuore nero, mente rossa, spirito viola. Grillo parlante. Ma anche cicala. E farfalla. Un po’ grullo (grillino ex ante? Ai posteri l’ardua sentenza…). Ingenuo, alla latina (in-gens: gentilizio, ma alla buona). Nobile di umili origini, povero di spirito. E si sa, i poveri di spirito sono il regno dei cieli. Spirituale, subsonico, individualista anarchico. Nero, rosso, un po’ verde (bossiano ex ante? Finiano, piuttosto, a latere, sia di Gianfranco sia di Massimo): questo, in sintesi, Lorenzo l’ambidestro, futuro e libertà, il pastore-guru risvegliatosi dall’’ipnosi cristallizzata’ dell’uomo comune, il poeta Pound & Kerouac di una nuova mistica e di un nuovo mito. Pieno di devozione verso tutto ciò che è nobile, con la vocazione a guardare lontano e a volare alto. Pronto a far dei polli delle aquile, delle pecore lupi…  

 

 

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