giovedì 29 gennaio 2009

L'Architettura: così in alto così in basso

Parlando di Cielo e di Terra, di ‘dualità’ in lotta, ricomposta dal ‘tertium datur’ – l’Uomo come sintesi tra lo spirito e la materia, essendo l’anima il ‘prodotto’ (soft) di tale ‘contatto’ (hard) –, non posso che arrivare a colei che è il sommo esito dell’incontro di tutte queste ‘realtà’ (quelle, giustamente, in grassetto): l’Architettura.

Di tale somma arte (non sempre nei ‘fatti’: spesso, verbis non factis) ho liberamente dissertato nel mio ‘intervento’ su architettura moderna e Artonweb (citato anche da De Architectura), lì dove ho ri-cordato (ricondotto al ‘cuore’), tra l’altro, che: “L’architettura è la ‘materializzazione’ (tekton) del ‘principio’ (arké), è il ‘rivestimento’ dell’’idea’ (la verità) …”.

Ovviamente l’architettura (con la 'a' minuscola o – nel caso del Grande Stile e dell''Arcitettura' e dell''Arké-tettura' – con la maiuscola) partecipa di altre arti e ‘articolazioni’ (non solo figurative o ‘plastiche’), essendo il ‘deposito’ delle ‘registrazioni’ dell’ambiente, del territorio, del mondo … dell’architetto, del suo tempo, dei tempi andati, di quelli futuri…:

“Ulteriori sedimentazioni e articolazioni hanno attraversato tutta l’architettura fino a oggi, in un connubio, non sempre felice ma comunque vitale, tra mythos e logos (il mito tace, il logos parla). Parole e silenzi, idee senza parole… Il mito è il ‘vivaio’ delle idee d’architettura, in quanto racconta sempre la stessa cosa – essendo la matrice di ogni forma culturale e simbolica, con forte valenza estetica – ma in modo sempre diverso. Il logos, logos endiathetos – discorso interiore e logos prophorikos, è il tentativo dell’idea di farsi ‘fatto’, ‘evento’ ‘avvenimento’. Il mito è il ‘silenzio’ dell’architetto che, nel farsi parola, provoca la ‘scintilla’ (il ‘fiat lux’/Big Bang) che muta il Caos in Cosmos (il caos – nel ‘cuore’ dell’architetto – partorisce la stella danzante). Ma sempre più spesso si sentono balbettii, o urla…”

Fin qui il mio intervento (ho riportato solo uno stralcio ‘mutilo’ – si rinvia al ‘corpo’ intero).

Ma potevo fermarmi all’erba (più verde) del mio vicino? Di certo no… Ed eccomi nel mio ‘hortus conclusus’ a parlare ancora di Architettura. E siccome tra le mie mura posso permettermi di essere più ‘ermetico’, do qui un’ulteriore definizione del termine: l'Architettura come tekton (‘sintesi costruttiva’ – è più adatto a quello che sto per dire) di Ar (radice indoeuropea per 'sole', quindi anche ‘cielo’) e Ki (‘corpo’, ‘terra’). Insomma, l’Architettura realizza – ‘materializza’ – l’unione tra Cielo e Terra…

L’Architettura, così in alto così in basso… Arte del costruire e costruire per l’arte: un po’ ‘cielo' (Ar), un po’ ‘terra’ (Ki) – sempre in bilico tra la realtà celeste e la parvenza tellurica, tra l’essenza profonda e l’apparenza fenomenica, tra la riproduzione ‘tipica’ (varianti di uno o più ‘modelli’, essendo il ‘tipo’ il contenuto della struttura interiore della ‘forma’) e l’’unicum’ (più o meno) irripetibile (talvolta, amaro): insomma, terra, primo, secondo, terzo cielo… (sul purgatorio e l’inferno, glissiamo… eppure, almeno in Architettura esistono!)

Ma l’Architettura, oltre che ‘celeste’, è, soprattutto umana (e terrena) e di questa natura ne coglie tutti gli aspetti: non ultimo, se dall’unione tra lo Spirito e la Materia nasce l’Anima del Mondo, l’Architettura ne è la degna estrinsecazione.

Che poi essa intrighi, streghi, strangoli, gongoli o gingilli, è tutto nella natura del suo logos. Torniamo così alla parola… La parola che forma, in-forma, per-forma, trans-forma (basta che non sia pro-forma...). E questo blog gioca una delle sue carte sull’uso creativo della parola (diciamo pure: parola 'crea-attiva'), oltre che sulle finestre che essa apre sui vari territori del sapere. E chi possiede il 'potere' della 'parola' può (come l'architettura) trasformare il mondo!

Ogni post un colpo di vento… La ‘polvere’ va via, un raggio di sole rischiara un angolo buio, un’altra pagina di Gocce di pioggia a Jericoacoara si apre:


“Sax and the City. Lorenzo e New York. Che musica! Il bullo e la pupa. E l’architettura. Neoclassica, neogotica, moderna e postmoderna. Un ammasso di brillanti progetti accatastati alla rinfusa. Spazi senza luoghi. “Un ininterrotto patchwork, perennemente disarticolato.” Questa, New York: ‘la città generica’, la ‘Bigness’, lo ‘Junkspace’. E per concludere: ‘ragnatela senza ragno.’

Per ricominciare: spazio spazzatura con molti consumatori e pochi spazzini. “Un’iconografia per il 13 per cento romana, per l’8 per cento Bauhaus, per il 7 per cento Disney, per il 3 per cento Art Nouveau seguito a poca distanza dal Maya. E quel che è peggio, “cascame organico, nemmeno biodegradabile…” Insomma, città fresh and trash (e non solo nelle parole e nei libri di Rem Koolhaas). Ma per Lorenzo, più che altro, mash.

E poi, di recente, aveva divorato un altro libro, quest’ultimo neo-con: Living Machines – Bauhaus Architecture as Sexual Ideology, di Michael E. Jones (Lorenzo era bulimico quanto alle letture – ma raramente le vomitava). In ogni caso, vue de droite o vue de gauche, alla fin fine si arrivava agli stessi ‘cassonetti’: quella cosiddetta ‘moderna’ era, stando almeno a questi critici ambidestri, architettura intellettualistica, aria fritta, frutto rancido e, talvolta, trucido, delle alchimie cerebrali (e cervellotiche) di individui sradicati. Parto di un’ideologia antiumana. Radicali liberi. Colate di cemento e groviglio di ferro per edifici e quartieri costruiti per un ipotetico e patetico uomo nuovo’.

Uomo ‘privo di qualità’, (dis)funzione del solo ambiente, un essere la cui natura umana’ è solo una mera astrazione. Questo l’abstract delle ca(p)otiche ipotesi costruite a tavolino, (im)pura concrezione della crassa ipocrisia dei ben-pensanti e degli sciccosi parvenue dell’Haute Culture, quella che vola sempre basso. Da queste paludi, da questa planitude, la pur paludata intellighenzia faceva scaturire la (presunta) ovvia (e ingenua) conclusione – in parallelo con analoghe derive da ‘strizzacervelli’ da lettini a castello (di carte) – che, trasformando l’ambiente, sarebbe cambiato l’uomo. Ma il cambio non ha funzionato, la marcia non si è ingranata e la ‘macchina’ è andata fuori strada (e se lo dice pure James Hillmann…).

Fiat productio, pereat homo” – solfeggia il Sombart, illustrando il poco illustre uomo fagocitato dalla tecnica e dal progresso (l’uomo-massa dis-integrato, inviso, ovviamente, a Lorenzo, il nostro one-man band. Lui parteggiava per l’uomo-comunità). Ma ora basta con l’Existenz Minimum, bandiera (ammainata) degli architetti funzionalismi: tutti al lavoro per l’Existenz Maximum, per un’architettura che dall’oggettività dei bisogni veleggi verso la soggettività dei desideri…

Le Corbusier, Wright, il Bauhaus, l’architettura razionalista, quella organica… non erano però tutte da buttare. In ogni caso, per evitar grane, pattume (meglio l’oro di Napoli) o panettone che fosse, Lorenzo, da buon architetto (sia pure random e sempre disponibile alle zingarate), sentì l’ovvio bisogno (e il prurito) di assaggiare e graffiare la città. Cominciò a palparla, squadrarla, vivisezionarla, scattando foto all’impazzata, come quel bel tanghero di Ultimo tango a Parigi. Certo, New York forse non valeva una messa, ma era pure un bel mix di flora, fauna e cemento. E con tanti fauni a caccia di miss, ninfe e ninfette.



mercoledì 28 gennaio 2009

Un, due, tre... neshamah!


”… quel grande e vero Anfibio la cui natura acconsente a vivere, non solo, come altre creature, in diversi elementi, ma in mondi separati e distinti” (Sir Thomas Browne).
L’uomo: il grande ‘anfibio’… diviso tra ‘cielo’ e terra.

Cielo in terra, cielo in basso; stelle in alto, stelle in basso; tutto quello che è in alto è pure in basso…” questa legge analogica, retaggio quanto mai attuale della Sapienza (la Sophia) e della Tradizione, ci ricorda – ci riporta al ‘cuore’ – quella che è una grande verità: la multiforme apparenza della realtà si riassume in una singola unità. Ogni unicum, ogni ‘unità’, per essere efficace e agire sulla realtà (il regno delle cose), deve contenere in sé la molteplicità.

Dall’uno al molteplice: se l’Uno è la tesi e il Due (dualità, divisione, diavolo… ma anche dì – giorno, luceDio, donna…) pone – e presuppone – l’antitesi (la ‘lotta’), il Tre dispone – e propone – la sintesi (la ‘pacificazione’) degli opposti: si vis pacem para bellum!

Vediamo cosa accade nell’uomo, come questo processo di tesi (Dio) e di antitesi (il mondo) venga qui sintetizzato: l’uomo come sintesi tra la tesi (Dio, lo Spirito) e l’antitesi (la materia, il corpo). Se, come vuole la Tradizione, Deus inversus est daemon (ma, a mio parere, più che l’altra faccia della stessa medaglia, o della ‘luna’, l’inversus è solo una ‘scheggia impazzita’, un ‘frammento di ritorno’ del Caos che vuole ‘intromettersi’ nel nuovo ordine del Cosmos: dal caos la stella danzante…), e quindi la dualità è il primo passo, la trinità è il passo successivo (e definitivo: altri ordini più complessi, basati sul sette, l’otto o il nove, numeri tra loro ‘collegati’, non sono altro che estrinsecazione o suddivisione più ‘minuta’ dell’ordine ternario di base).

Dalla dualità alla trinità: si è abituati a considerare l’uomo ‘diviso’ in corpo e anima: il primo è la parte esteriore, visibile, dell’essere umano, la seconda è la parte interiore, invisibile (anche ‘spirituale’, per chi ha il coraggio di usare questo termine e non si ferma alla ‘mente’). Pertanto, il concetto corrente circa l’essere umano è dualista. Questo è vero, fin troppo spesso, nella pratica, ma, in realtà (e nell’essenza – e idea – delle cose), l’uomo è tripartito: corpo, anima e spirito.

Del corpo ne sappiamo abbastanza (ma non è mai troppo); quanto agli ultimi due: ai limiti della sufficienza. Già il fatto che li si consideri sinonimi (o delle ‘varianti’, o l’uno il ‘prolungamento’ dell’altro) la dice lunga su quanto corta sia la nostra conoscenza su di essi. Ma questi ultimi due termini – anima e spirito – non sono affatto alla stessa stregua, anche se nella pratica corrente l’uno (l’anima) ingloba l’altro (lo spirito). È sì vero che anemos – ‘vento’ o, solo, ‘soffio’ – e ‘spirito’ hanno lo stesso ‘respiro’, ma una cosa è l’analogia tra le parole (che già nel greco, tra psyché – ‘ombra’, farfalla – e pneuma – respiro, soffio animatore – è meno evidente), talora solo flatus vocis, ben altro è fare l’’analisi’ delle stesse parole alla ricerca del loro significato profondo (quello vero).

“Dio, il Signore formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7). Appena ‘l’alito vitale’ (che sarà poi lo spirito dell’uomo) venne in contatto con il corpo, l’anima ne fu il risultato. L’anima è dunque una combinazione di corpo e spirito, ed ecco perché l’uomo viene definito un’anima vivente. L’alito vitale divino (il ‘soffio’ dello Spirito) diventa, quindi, lo spirito dell'uomo, cioè il principio (l’essenza) di vita che è dentro di lui (Gesù ha detto: È lo spirito che vivifica” Giovanni 6,63). E questo vale, sia pur detto in altri modi, in ogni Tradizione umana: è nell’essenza – e sostanza – delle cose…

Passando, per conferma, dalle radici cristiane all’’humus’ ebraico: Neshamah è lo spirito, di natura divina, pura e nobile. Nefesh e Ruah sono due ‘livelli’ dell’anima: la prima è l’anima fisica, legata al mondo materiale, che si trova in ogni essere umano, in quanto entra in lui nel momento della nascita. È l'aspetto ‘animale’ dell'uomo, che sovrintende a tutte le funzioni mentali e organiche e può commettere il male per appagare un bisogno, un impulso, un ‘raptus’. Ruah è l’anima sensibile, capace di discernere fra il bene e il male, di scegliere la via della saggezza o la legge del desiderio.

Tornando alle ‘radici’ cristiane (senza voler sottovalutare – tutt’altro! – le radici greche, fino a quelle indoeuropee), la ‘tri-unità’ umana è ribadita da Paolo in 1 Tessalonicesi 5,23, lì dove dice: “… l’intero essere vostro, lo spirito, l’anima e il corpo, sia conservato irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo”. Corpo, anima e spirito (Paolo, per metterli ‘in riga’, li nomina dall’’’alto’ in ‘basso’): rispettivamente, gli ‘organi’ in movimento nello spazio, nel ‘piano’ (il ‘piano mentale’, il ‘piano emozionale’, ecc.) e tra i ‘punti’ (lì dove le ‘dimensioni’ sfumano nell’infinito ‘Nulla’…).

Passando dal 'contenitore' al 'contenuto', lo spirito è l’organo della coscienza, dell’intuizione e della comunione, ma perché venga pienamente ‘alla luce’, occorre che ci sia il ‘cesareo’: “… la Parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l’anima dallo spirito…” (sempre dal ‘corpus paolino’, in Ebrei 4,12).

L’anima è, invece, l’organo della personalità, il ‘mediatore plastico’ (poco ‘elastico’) tra spirito e corpo. Le sue facoltà sono: la volontà, l’intelletto e i sentimenti. Se l’anima è la ‘mediatrice’ tra lo spirito e il corpo, lo spirito è quella parte che lo mette in comunione con il ‘cielo’ (il 'secondo' e il 'terzo' cielo, ossia il mondo spirituale: quello ‘invisibile’, ma ‘animato’, intorno a noi, e Dio stesso lo Spirito). Queste tre funzioni sono attive pienamente – e quindi dalla ‘statica’ (stitica?) dualità si passa alla ‘dinamica’ (energetica: spirito = dynamis) trinità – solo quando lo spirito si separa dall’anima e agisce come motore dell’attività umana.

Ma l’anima tiene prigioniero lo spirito… Se lo spirito rimane inglobato nell’anima e l’uomo cammina a 'tre (diciamo pure: due) cilindri' – anche se pensa il contrario – le tre 'funzioni' dell'uomo operano a corrente ‘alternata' (più spesso, 'discontinua’, oppure, ancor più sovente, lo spirito è spento, disattivato). L’uomo massa, infatti, ha ‘ammassato’ in sé (una ‘mappazza’ si sarebbe detto ai tempi dell’Arbore in fiore) l’anima con lo spirito: lo spirito è, pertanto, ‘sommerso’ dall’anima e ci vuole, necessariamente, ‘qualcuno’ dall’’esterno’ (un ‘maestro’, un ‘mentore’) o dall’’interno’ (un’illuminazione, un ‘flash’, la Parola di Dio) per tirarlo fuori dalle acque stagnanti (in ogni caso, si può – si deve… – partire dalla Bibbia: così strano per noi italiani! Ma famolo strano… Oppure, un esempio non tanto a caso, si può iniziare dalla ‘Filosofia perenne’ di Aldous Huxley – ma anche il nicciano ‘Cosi parlò Zarathustra, così dissonante, può dare lo squillo di tromba…).

Parafrasando Jung: Se io credo nello Spirito… io so! Insomma, per dirla alla Heidegger: "Il Terribile è accaduto!" D'altronde (qui c'è, invece, Carlos Castaneda): "Il sapere è una farfalla notturna..." Ed è ancora giorno (per molti: ma senza luce....).

“Il soffio creativo viene da una regione dell’uomo in cui l’uomo non può discendere neppure se Virgilio stesso lo accompagnasse, perché Virgilio non potrebbe scendere fin là…” ricordava Ronald D. Laing, lo ‘strizzacervelli’ cult che voleva estrarre lo spirito dall’anima. E ancora: “Molti erano abituati a credere che gli angeli muovessero le stelle. Ora è chiaro che non lo fanno: come risultato di questa e di consimili rivelazioni, adesso molta gente non crede negli angeli. Molti erano abituati a credere che la ‘sede’ dell’anima fosse in qualche posto nel cervello. Da che si cominciò ad aprire i cervelli con una certa frequenza nessuno ha mai visto l’’anima’: come risultato di questa e di consimili rivelazioni, adesso molta gente non crede nell’anima. Come si può ritenere che gli angeli muovano le stelle, o essere così superstiziosi da ritenere che l’anima non esiste solo perché non la si può vedere dall’altra parte del microscopio?”

Ma è veramente così importante fare una distinzione fra lo spirito e l'anima? Sì, questo ‘taglio’ è della massima importanza, e 'urgenza', perché ne derivano delle implicazioni dirette nella vita dell’uomo in generale, non solo del credente. Come può, infatti, egli operare nell’intero ambito della realtà, penetrare nell’essenza delle cose, cercare di ‘dirigere’ per quanto possibile la sua vita, se non conosce i ‘mari’ in cui si avventura, né tanto meno sa dei ‘venti’, dei ‘flussi’ marini, della sua stessa ‘imbarcazione’? Come può comprendere (con-prendere) la vita, non solo quella spirituale ma la stessa esistenza materiale, se ignora l’ampiezza del territorio, o il campo d’azione, dello spirito, se nulla sa di come esso ‘informi’ il corpo (senza lo Spirito è ‘informe’ o, al massimo, ‘deforme’) e di come dall’impatto reciproco nasca quella ‘pellicola protettiva’ (un po’ ‘callosa’) che è l’anima? E poi, la mappa non è il territorio...

Solo uscendo dalla comfort zone (che è poi ‘discomfort') del ‘materialismo’ e dell’’empirismo’ a oltranza – senza per questo farsi tirare giù dalle sabbie mobili di spiritualismi, fondamentalismi, magismi e vaneggiamenti d’ogni sorta – l’uomo può ‘ricostruire’ (ristrutturare) la propria esistenza, passando da quello che spesso è“un brandello, contratto e disseccato” (R. D. Laing, in La politica dell’esperienza) – alla condizione (lo ‘stato desiderato’) di uomo e donna ‘nuovi’ (l’ultimo uomo?). Solo così potremo cominciare ad avere di nuovo “l’esperienza del mondo, con innocenza, verità e amore… (ibidem).



martedì 20 gennaio 2009

Architetto jolly o superstar? Semmai, star trek... (jolie! Meglio Angiolina, comunque)

L’altro giorno, intrufolatomi in uno dei miei siti preferiti – architettura moderna –, mi sono imbattuto nell’articolo La crisi dell’archistar e, preso di nuovo dal sacro fuoco dell’Architettura, ho qui lasciato il mio ‘lacerto’ * (spero non troppo grasso). Non solo, sempre a causa del focus e del momentum (ossia della messa a fuoco dell’obiettivo, da raggiungere con l’uso della forza – l’energia spirituale – dispiegata dal braccio umano), cavalcando e ‘restringendo’ la ‘linea del tempo’ ho intravisto con l’oculus fidei lo stato desiderato del mio blog (da attuare già da adesso come se): un blog (o sito – questo al momento non è fondamentale) pluriverso – da un lato filo-psico-teorama, dall’altro archirama. Oppure, siccome per me la parola, nel suo significato profondo, fa da apripista (pathfinder) a tutta una serie di ulteriori scoperte, invece di rama (che dà l’idea di una zumata panoramica sui vari segmenti della realtà) potrei scegliere come suffisso rhema (ossia parola specifica, in un certo senso profetica).

In ogni caso, un blog più tematico, sequenziale, ‘convergente’ (da ‘cervello sinistro’, insomma), pur rimanendo, sostanzialmente, ‘laterale’, ossimorico, simbolico, ‘divergente’…

*A proposito di ‘lacerto’: Il caos ha partorito la superstar danzante, questo il titolo del mio articolo (è un ‘debutto’ su siti di architettura e arte), lo troverete su architettura moderna e Artonweb (http://www.artonweb.it/architettura/articolo30.html http://architetturamoderna.blog.dada.net/)

Invece, ai lettori del blog (che certo leggeranno anche il ‘lacerto’ – un po’ 'lucertola' un po’ 'lucignolo'), sempre in omaggio all’Architettura riservo un mio ‘vestigium’ di una ventina d’anni fa: l’introduzione (‘poetica’) al mio progetto per il Concorso di Architettura La Casa più bella del mondo. L’ho inserita anche nei miei due romanzi, in quanto, dal punto di vista della ‘scrittura’ e delle ‘aperture’ simboliche, lo reputo un eccellente ‘rigeneratore’ di sinapsi…

La domus padana.

Era l’alba, il momento più degno per l’incontro cui tanto aveva anelato.

Si avvicinò al locus: il genio aveva ghestalticamente ricomposto le mille tessere in quarant’anni gelosamente serbate.

I have a dream si trasfigurò: la sua domus padana era lì, del sito proserpina, eppur ecumenica.

Nell’aura dai colori non ancora accesi, il portico audace tentò l’approccio, baroccamente giocoso, novecentescamente solenne.

Incuriosito, come bambino quarant’anni addietro, scartò la pur breve scalinata, infilò la rampa di sinistra, sospinse l’uscio ed entrò: una luce soffice lo accolse mentre s’incamminava incerto verso qualcosa che gli appariva un curioso dialogare tra reale e virtuale.

Scartò la scala di sinistra e acquisì la tattile consistenza cromatica che l’imago autre offriva di sé sulla flessuosa parete di destra: eterna diatriba tra essere e non essere, o forse qualcosa di più semplice? Scelse la prima ipotesi e, baldanzosamente attratto da sons et lumiéres, s’affacciò nella cavea ellittica.

Improvviso s’elevò un urrà di benvenuto: elfi e umani lo avevano per quarant’anni atteso e ora pubblicamente lo ringraziavano.

Ripresosi dallo stupore, gli parve persino di riconoscere figure settecentesche, perfettamente a proprio agio, così come cantava quel loro dialetto padano, così antico, eppur così vicino al suo.

Improvvisamente, vicino al camino, tra le griffe spuntò il figlio che se n’era andato appena grande, forse rientrato nei ranghi dopo anni di romitaggio esistenziale.

Lasciò le sequenze che l’ultimo videoclip affastellava sulla parete e, sentendo il desiderio di allontanarsi un po’ da quel clamore, volle ritirarsi nella stanza appena discosta dall’ingresso.

La porta era socchiusa; la sospinse, e si meravigliò assai vedendo lei, che l’aveva abbandonato, e i suoi vecchi, in un unico abbraccio.

Salutò con familiarità, quasi non avesse subito il distacco, prese lei per la mano e salì le scale; ma tale era lo stordimento, più di quanto volesse far credere, che salì per la rampa trompe l’oeil, accompagnato da chissà quale genio.

Superato l’ultimo gradino, si affacciò dall’alto sulla cavea ancor echeggiante e la immaginò vuota: in essa avrebbe potuto sistemare per sé, per la moglie e per il figlio, l’ufficio dell’operatore immobile, eppur collegato col villaggio ecumenico.

Per la sua intimità, e per i messaggi col villaggio cosmico, pensò invece a una sala al piano superiore, dove, nelle notti stellate, la cupola, una volta aperta dalla magia dell’elettronica, gli avrebbe dischiuso tutti i luoghi delle sue eterotopie.

S’immerse in queste digressioni, la mano di lei ancora stretta, la cupola ancora dischiusa sullo spazio irreale che virtualmente si apre oltre la coscienza, quando un improvviso temporale gl’inseminò il capo: pensò allora che forse una più stabile copertura, magari colorata d’azzurro, avrebbe garantito la pace domestica.


lunedì 12 gennaio 2009

Nietzsche tra crackers, crack e lische di pesce (quel che rimane del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci)

Oggi sono un fuoco di fila: ho appena infilato ('rifilato' direbbero i maligni) un medi-file al miele in un blog di scrittura sopraffine; e poi, per finire, un mini-file al fiele in un forum di filosofia, a dar fiato alla Sophia Perennis (un po' sfiatata, per non dire sviata, in questo tempo smagato: non ci sono più le fate di una fiata!).
Basta con le ciance (e diamoci un'ultima chance) : prima il medi-file con cui sono entrato (per la prima volta) ne "Le stanze di Gaia" http://capecchi.myblog.it/ (ve lo raccomando: è 'caliente', e non perchè Gaia sia anche il nome di mia figlia); e poi il mini-file per "La Filosofia e i suoi Eroi" - http://www.filosofico.net/filos1.html (inutile dire che ve lo 'spingo', non tanto per Spengler o Nietzsche - o chi voi volete - ma perchè la Filosofia aiuta a non 'spegnere la luce'...)

Per Gaia:

Sei una scrittrice (e non solo: il pensiero precede l'azione...) eccezionale: sei la mia preferita (insieme a un'altra, che non ti nomino, che è di tutt'altra sponda - a te non garberà affatto, ritengo - e che è 'troppo' dura: con la 'k', questo l'unico indizio).

Ti seguo da un annetto e m'immergo nel tuo fandango... Al punto che ti ho citato più volte - anche con tuoi 'estratti' (poi, in caso di pubblicazione, probabile, ti chiederò il permesso) - in un mio libro in progress, il secondo (ti mando in segreto un excerptus minimal: non dire niente a nessuno - è top secret, anzi 'top sacred'):
“Quanti libri si fanno senza scopo / Lo studio è troppo / La carne si rattrista / La parola ora tace.” Silenzio tombale (solo il sussurro urlato di Ceronetti), nessuna increspatura sulla superficie del pelago. Una goccia di acqua sorgiva diluita nell’immensa palude globale.
Un impulso furioso, folle: cancellare tutto. Bruciare tutto. Fuoco purificatore: un falò, via ogni file. Fare terra bruciata (guai se il deserto cresce…). Troppe parole, troppa zavorra, molto pan di zucchero e brioche. Another brick in the wall.
“Non riesco a scrivere non riesco a scrivere non riesco a scrivere. La parola è insufficiente. La parola mi è inutile.” Ho finito il romanzo e con lui sono finito io. Sono d’accordo con Gaia, quella del blog – le Stanze – che frequento da quando Miro ci ha lasciati (ma qualcosa di lui aleggia nell’aria, ben più di un miraggio – e poi, forse, riemergerà). Mi sento sfinito, sono rimasto senza parole, prosciugato: con loro sono volati via anche i pensieri. Non ho più voglia di scrivere. Mi sento a pezzi, una m…
Merde d’artiste e oro, incenso e mirra. Inutile aspettare i re magi. Faccio per cancellare tutto. “Tiri una leva. Schiacci un bottone. Non ci capisci niente e a un certo punto muori e basta.” Delete: voglio annegare anch’io nel lete, poi mi ricordo di Billy Idol (mio idolo anni ’80 – ero un pischello) e delle sue parole: “Il punto è: devi davvero fare le cose perché vuoi farle, perché quello è il tuo sogno. Perché è l’amore della tua vita. Devi appassionarti. Perlomeno, è così che ho fatto io. Non mi è mai interessato vivere l’avventura di un altro. Volevo la mia personale avventura, il mio viaggio. Non volevo montare in sella al sogno di qualcun altro.”
Rimonto in sella...
A proposito di 'armi' chiudo con una kikka dalla Bhagavad-gita: "Lui non feriscono l’armi, lui non brucia il fuoco, lui non bagnano l’acque, lui non dissecca il vento…” L'ho inserito nel mio primo romanzo "Gocce di pioggia a Jericoacoara" (che abbia a che fare con l'habanera e il fandango? Di certo con il forrò...).


Per il Filò:

sopra o sotto, tutto si rivolta nella mia mente: il Nietzsche antiplatonico di Heidegger, quello anticristiano classico-pagano di Löwith, Klossowski e Deleuze, quello cripto-cristiano, escatologico o mistico, di Quinzio e Vannini (Jaspers e Marcel inclusi). Emancipazione dal padre o dalla madre? Redenzione del tempo o dal tempo? Sonno della ragione o risveglio dello spirito? Dioniso versus il Crocifisso o in-Crocifisso? Friedrich: l’in-divino cercatore di Dio o l’indovino trovatore dell’Idea smarrita? Nietzsche: ”aforisma e paradosso, racconto e invettiva, illusione artistica e dissonanza esistenziale.” La ricerca continua…


Propongo questo rebus 'stellare', tratto da una mia 'scrittura' in progress (penso di completarla al più presto - il titolo è segreto - e sacred - ma ha qualche assonanza col titolo del post), anche ai coraggiosi 'argonauti' di questo blog: sono certo che vi coinvolgerà in uno tsunamico brainstorming, e sconvogerà, non dico la stanza, ma l'intero 'palazzo'...


Fallimento? No, grazie. Successo? Può (deve) succedere...

Oggi faccio uno strappo e pubblicizzo un autore della Bruno EditoreEbook per la formazione: non tanto perché ha apprezzato il mio intervento (lo leggerete nella seconda parte del ‘post’) a commento del suo articolo sul blog della stessa casa editrice (e io sono sensibile agli apprezzamenti…), quanto perché mi dà l’occasione per ribadire che il 2009 sarà un anno di successo (lo dico per fede, e la fede è la via prioritaria – ma stretta – per il successo, diciamo il ben-essere nel senso di salus e shalom: la via indo-europea che passa per Canaan… o se si vuole, le ‘nozze di Cana’). In ogni caso, prima di entrare nel Canyon (si è notato che mi piacciono i giochi di parole? Meglio, però, andare – alla Heidegger – alla ‘radice’ della parola. Oppure, alla Mircea Eliade , e non solo , ‘distillarne’ il contenuto ‘alcolico’ - alchemico, simbolico), un respiro a plesso solare aperto (manipura - 'mani pure' va bene lo stesso): respirare, sospirare, traspirare, co-spirare, ... e poi di nuovo: inspirare, a-spirare (tutto, fuorché... spirare).

E vai con l’articolo!

Il timore del fallimento

Una delle dinamiche più frequenti che si riscontrano nei venditori, direttamente collegata con la mancanza di autostima, è il cosiddetto timore del fallimento.

Il fallimento (inteso come il non raggiungimento degli obiettivi che ci si era prefissi) è sicuramente una pillola amara da deglutire, tuttavia ogni persona deve fallire, ad un certo punto della propria vita, per apprendere qualcosa di nuovo.

La cosa importante non è il fatto che l’individuo abbia fallito, bensì la maniera con la quale ha accettato e metabolizzato il fallimento stesso. Un individuo può permettere a se stesso di sentirsi distrutto dal fallimento, oppure usarlo per rinforzare le proprie abilità e determinazione a raggiungere mete ancora più elevate.

Chi teme il fallimento dovrebbe ricordare che le persone di maggior successo al mondo hanno spesso dovuto fallire molte volte, nel corso della loro vita. Tuttavia, cosa ha fatto la differenza è stata la loro volontà di imparare dagli errori commessi e utilizzarli sotto forma di apprendimento, per raggiungere il successo.

Il timore del fallimento crea ansia, e ingigantisce l’eventuale problema.
Un venditore con il timore di fallire può diventare troppo competitivo o, peggio, aggressivo, in quanto inizia a vedere ogni cliente come una potenziale trappola. Ciò sottrae emozioni positive ad un’attività che, di per sè (almeno per chi la ama), è gioiosa e divertente.

Inoltre il timore del fallimento rende nervoso ed ansioso il venditore stesso, e diventa un ostacolatore di prestazioni elevate, rendendo il professionista erratico ed animato da un basso livello di energia. Per vincere questo comportamento fortemente autolimitante, il primo passo è accettare le proprie imperfezioni.

Nessuno è perfetto e ogni persona, amando se stessa e gli altri, dovrebbe tollerare le cadute di tono in una determinata occasione, per usarle come trampolino di lancio (modificando il proprio comportamento) nell’occasione successiva.

E in tutti i casi, ricordare sempre che il fallimento è solo un successo (spesso ancora più grande) rimandato.

A Cura di Cesare D’Ambrosio,
Autore di “Tecniche di Vendita”

Passo ora al mio commento:

“To suffer one’s death and to be reborn is not easy.” Soffrire è facile, ma ‘rinascere’ è difficile! Il timore del fallimento…: spesso, come i ‘porci di Gadara’ (v. nei Vangeli, ma li cita anche il grande R. D. Laing – v. “La politica dell’esperienza”), siamo in ‘formazione’, ma non stiamo ‘in rotta’. E poi, ‘deragliamo’ anche per ‘difetto di comunicazione’ tra ‘macchinista’ e ‘cabina di controllo’… La PNL può, specie se fatta con Spirito!

A margine un breve estratto dal mio ‘Gocce di pioggia a Jericoacoara’ (N. B. Galatea e Lorenzo sono la rappresentazione - a tinte sfumate, o con commistioni, tipo simbolo del Tao - del ‘Male’ e del ‘Bene’):


«Galatea, richiama immagini piacevoli, ricordi che ti fanno sognare, vibrare, addolcire. Fa’ tintinnare, vibrare, il campanellino pavloliano. Cambiare la vita significa cambiare la vibrazione, volere una cosa significa mettersi sulla stessa vibrazione della cosa. Se due persone, o, in generale, due realtà, sono ‘innamorate’ l’una dell’altra, respirano la stessa stimmung, la stessa aria (e aura). Entrano così in comunicazione, in comunione. Il Tu e l’Io di due ‘comunicanti’ s’incontrano nel Mitwelt, nel mondo comune tra i due mondi, nell’intramondo. E lì suonano le campane… E soffia lo Spirito. La Dynamis sospira, ti fa respirare, riempie, ricuce, dopo aver ‘dato un taglio’. Ti fa rivivere… “To suffer one’s death and to be reborn is not easy.” Sì, ha ragione Fritz Perls, il ‘ghestaltico’: è difficile, non è uno scherzo, morire per poi rinascere… In ogni caso, dopo la tua de-cisione, riaffacciati al mondo. Io, tu, qui, adesso… Anche a partire, come Abramo, da un piccolo ‘clan’. “Dove due o tre sono riuniti c’è Dio.” Nelle Scritture c’è l’auspicio che tutti i credenti “s’incoraggino gli uni gli altri.” Vai nel ‘corpus paolino’, a Ebrei 3,13, ma anche nella Seconda Lettera a Timoteo. ‘Incoraggiare’ è un modo per dire ‘coaching’. Galatea, hai fatto dunque bene a ravvivare il tuo dono in te e offrirlo agli altri. Anche se a pagamento. Il maestro, anzi la maestra, è degna della sua mercede. Tu sei stata pronta a investire il tuo tempo, la tua energia, le tue emozioni, la tua passione, per creare la vita dei tuoi sogni. “Chi guarda dentro sogna, chi guarda fuori si risveglia” – parole di Jung. E per stare sulla stesso flusso: “L’uomo saggio non dà le giuste risposte, ma pone le giuste domande.” Sono passato a Claude Levi-Strauss. E per concludere in bellezza, con Isaia: “Quelli che sperano nell’Eterno acquistano nuove forze, si alzano in volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano.” E scusami se è poco…»
Lorenzo era nel suo pieno vigore logorroico (ma chi lo sentiva veniva immancabilmente trascinato dal ‘flusso’, e rimaneva a galla).

«E poi, una volta appresa la tecnica, uccidi il maestro e passa al self-coaching (parlava come se non sapesse che Galatea fosse una coach, e di grido…). Predisponi una lista energetica ‘high vibration’: gente, oggetti, idee, fantasie, attività, location, eventi che ti entusiasmano e affascinano. Ti daranno energia al bisogno. Riallinea la tua fede (quella di Galatea era certamente ‘deragliata’). Prendi il mouse della tua vita e chiedi allo Spirito Santo che ti faccia da antivirus. Poi potrai andare su qualunque ‘sito’… Focalizza l’attenzione: l’intenzione concentrata dà forza alla fede, sposta le montagne… ma sii flessibile. Non spezzare la canna, né spegnere il lucignolo. Considera l’intuizione come realtà. Deframmenta la mente confusa. E poi, di’: “Dove mi trovo nel mio cammino spirituale? Ho un cammino spirituale?” Ricorda: “In Lui – Dio – viviamo, ci moviamo, e siamo.” Hai problemi a sentire la chiamata di Dio nella tua vita, hai blocchi sulla tua strada? Galatea, ricorda, Dio ha per te in mente qualcosa di più, di molto di più! Ti aiuterò a fare un tratto di strada con Dio, poi Lui, come a Emmaus, scomparirà e tu comparirai. Supererai i tuoi limiti – pensa alla preghiera di Iabez, nell’Antico Testamento –, raggiungerai obiettivi specifici, come insegna Yonggi Cho, un grande predicatore coreano. Potrai avere la bicicletta dei tuoi sogni, della marca e del colore e che tu vuoi…»



sabato 10 gennaio 2009

Focus (l'obiettivo col 'fuoco dentro') e Momentum (la forza - la fede - per il 'braccio': noi)

Accettazione, non rassegnazione; confidenza con il proprio corpo, non alienazione, fede assoluta nel risultato sperato – lo stato desiderato si direbbe nella PNL, da contrapporre allo stato presente (in cui, spesso, vige l’assenza: assenza di emozioni, di gioia, di felicità, di risorse in senso lato, e ‘stretto’): ecco tre pilastri per il 'portico' d'ingresso al nuovo anno.

Per uscire dalle ristrettezze (dalla ‘distretta’, per usare un francesismo desueto ma efficace), occorre, anzitutto fede (repetita iuvant), ossia, per dirla nuovamente con un termine desueto ma anch’esso pregnante, ‘confidanza’ (fede ‘cieca’ va pure bene: occorre, infatti, chiudere gli occhi fisici, e anche quelli ‘mentali’, e aprire il ‘terzo occhio’, l’oculus fidei).

Facciamo dunque tabula rasa (ground zero mi verrebbe da dire, se non fosse troppo ‘macabro’) delle nostre convizioni limitanti (anche quelle che riteniamo dei ‘must’, degli obblighi), aiutandoci con qualche esercizio preliminare per ‘ripulire lo specchio’ (quanto meno) – ne parlerò nel prossimo post – e diamoci un obiettivo ‘misurabile’, ossia realizzabile (anche se al momento appare arduo) in un tempo stabilito. Focus (nel senso di obiettivo messo a fuoco, ma anche di ‘fuoco dentro’) e momentum (nel senso ‘energetico’: vi ricordate il momento? La forza per il braccio…).

La forza è la fede, il braccio siamo noi! E poi ricordiamoci che la fede può muovere le montagne... E sempre nella ‘sequela’ di Gesù, qualsiasi cosa voi chiederete nel Suo nome, credete di averla ottenuta, e la otterrete! Gesù ha preceduto la PNL… Ci diceva (e dice tuttora: il Suo Spirito aleggia sulle acque...) di agire come se, di pensare positivo, e di sovrapporre lo stato desiderato sullo stato presente…

Riscopriamo dunque il leone in noi, sovrapponiamo il cigno al brutto anatroccolo e lasciamo il pollo che ci blocca a terra per volare con l’aquila che ci cresce dentro. E soprattutto, cavalchiamo la tigre (ci porterà nella giungla, ma lì, nel suo ‘cuore’, c’è una radura dove batte sempre il sole…).

Per chiudere, un altro ‘pillolone’ dal mio Gocce di pioggia a Jericoacoara. Vi aprirà nuovi orizzonti (o, forse, vi porterà nella ‘radura’).

La sua anima: umana, sub-umana, super-umana. Tre livelli antinomici della stessa istanza psichica, a sua volta in continua lotta (e riappacificazioni) col corpo e lo spirito. Eppure, l’anima avrebbe dovuto fare da mediatrice… Quattro le fasi alchemiche: nigredo, albedo, citredo e rubedo. Lorenzo, nel suo altalenante excursus esistenziale, le aveva attraversate tutte – spesso ‘facendo a pugni’ –, ma non in progressione, piuttosto a salti random. Un po’ Fausto Coppi, un po’ Dottor Faust. Tanto più in quei pochi giorni passati a Pugnochiuso. Una continua ‘apertura’ sui vari ‘loci’ della sua vita e sulle ‘piazze’ del mondo circostante (e di quello ‘sotterraneo’: la Terra di Lorenzo era ‘cava’). Un po’ terra-inverno-notte, un po’acqua-primavera-aurora, poi di nuovo aria-estate-(pieno)giorno. Per finire, fuoco-autunno-tramonto. Ma anche bambino, adolescente, maturo, vecchio. Sempre in ordine sparso.

E ora, in meno di una settimana, queste fasi le aveva riattraversate tutte, sia pur confusamente. Di certo, la nigredo e la rubedo, la terrestrità (se così si può dire) e la passione (anche vulcanica, e – perché no? – sulfurea). Forze luciferine e arimaniche, luce e ombra. Presenze e assenze, forze ed eventi che affondano le radici nell’invisibile. Anche queste le aveva sperimentate tutte. Anche il secondo corpo, il doppio mefistofelico, quello che lo teneva imprigionato nei pregiudizi.

“Io sono il tuo nulla” sibilava Mefistofele. “Nel tuo nulla io voglio trovare il tutto” gridava Faust. Uomo plurale, uomo legione. In lui convivevano il lupo e l’agnello. Ma dalla legione, che più volte, malgré tout, aveva rischiato di affogare nella palude (e nella planitude), stava riemergendo, asciutto, il ‘legionario’. Il lupo aveva ingoiato l’agnello, ma questo, nutrendosi delle sue glandole – della sua ‘ghianda’, quella di Hillmann –, lo stava trasformando in leone.

Cammello, leone, fanciullo… (di nuovo! Ma questo ‘garzoncello’ era diverso, aveva combattuto contro il drago). Capì. Per l’ennesima volta (ma quando avrebbe preso la rincorsa definitiva per il ‘tuffo dal trampolino’? La piscina olimpionica era a un dipresso. Avevano però tolto, da dieci anni e passa, il trampolino…). C’era uno sviluppo lineare, predeterminato, ma da lui ‘colorato’. Non l’illimitato ciclico divenire, senza principio né fine, proprio di ogni Weltanschauung tradizionale, ma una visione rettilinea del tempo (in effetti, ondulatoria – con qualche improvvisa fuga indietro o in avanti. In Lorenzo Tradizione e Modernità s’intrecciavano, ma quest’ultima era sempre in fuga per l’innanzi). C’era una ‘ghianda’ sul suo ‘terreno’, la quale ‘voleva’, ‘doveva’, svilupparsi, nonostante i terreni circostanti, le erbe cattive, il loglio – famiglia, amici, società – e, soprattutto, malgrado lui stesso. E ora la ghianda era diventata una quercia. Robur. Robusta, tenace, capace di sopportare le tempeste. Radicata ma flessibile (ossimoricamente) come una canna. Canna al vento (dello Spirito).

Le sue radici. La passione infantile per l’India, per i suoi misteri, la sua spiritualità. E per la Grecia, la mitologia, i suoi dèi. La pulsione verso l’Olimpo e la passione per il Satyrion di Petronio. E, non ancora saturo, il suo infilarsi, sedicenne, negli antri oscuri dei cinema d’essai per vivere di Antonioni, Bergman, Buñuel. E per incontrare Pasolini e il suo angelo. Teorema risolto. Una via lattea di cui lui, Lorenzo, era, allora, solo un pulviscolo, un deserto rosso in cui, poi, sarebbe diventato un uomo blu.

Due fili, Oriente e Occidente, Apollo e Dioniso, Beatles e Rolling Stones, perennemente intrecciati. Due occhi (quello fisico – Eros – e quello spirituale – Theos) puntati sul traguardo. Specie ora che non era più miope né astigmatico (e nemmeno presbiteriano, per fare una battuta ‘loffia’. Era pentecostale, a modo suo, tra il loft e il soft, ma, in ogni caso, un po’ di Calvino permeava il suo spirito).

Occhi pieni di meraviglia. Il suo stupore notturno. Le sue città invisibili. Da Valdo a Marcovaldo. Oltre il guado, sino in oriente, cavalcando le tigri di Evola, danzando con Gurdjieff e Stella Kramrisch (all’indologa l’aveva introdotta proprio Galatea). Lorenzo raspava proprio nel fondo della notte. D’altronde, “il sapere è una farfalla notturna” diceva il don Juan di Castaneda, l’indio heidegerriano della foresta (la mariposa by night l’aveva catturata Furio Jesi, uno che aveva parlato pure di Evola, magari non troppo bene – ma per Lorenzo l’importante era parlarne…).

Il suo sognare, per ritrovarsi con le mani nel sogno. E manipolare la realtà. Tableau universale e aura microcosmica. Per vivere appieno (finalmente!) le sue passioni. Micro-Mega, Steiner (Rudof e George). Anche le donne. Megagalattiche (Arianna, Gaia, Galatea, per limitarsi alle prime lettere del suo alfabeto del desiderio). Galante ma svagato. Incostante, dimentico, talvolta sfocato. Nel suo terreno c’era, sì, il fuoco, ma il vento spesso lo spegneva.

Earth, wind and fire. Focherello, fuochino, fochetto. Ma questa volta il fuoco l’ebbe vinta. Anche perché non c’era nessun estintore.



giovedì 1 gennaio 2009

2009: un anno di carattere (un anno 'gold': a 24 carati)

Il 2008 è stato un anno up and down. Non dico niente di nuovo: monti e valli fanno parte del continuum naturale – e come si sa, natura abhorret vacuum (quindi, l’importante è che qualcosa comunque sia avvenuto…).

“A ogni giorno il suo affanno…” disse chi non si curava delle “quisquiglie e pinzellacchere” (e non era Totò, però aveva anche Lui il Suo senso dell’umorismo), ma puntava al sodo. E, per quanto mirasse (al)le stelle, voleva che noi, pur con il viso star-targeted (volto verso il Cielo), avessimo i piedi (e il ‘cuore’) puntati sul qui e ora.

Il 2009 sarà l’anno del qui e ora. Le borse ‘scucite’ saranno sostituite da pochette meno ‘quotate’, ma più glamour. Quanto alle borse sotto gli occhi, non avremo paura di eliminarle (queste del tutto, senza sostituzioni) con un bel po’ di filler. E di suon in suono, il 2009 sarà l’anno del feeling: né fiele, né miele, ma cura (alla Heidegger, alla Battiato, e, ribadiamolo, alla Gesù Cristo). In definitiva, un anno di carattere.

A proposito di carattere, surfeggiando sull’oceano-web mi sono imbattuto su un’onda anomala: uno psico-nauta (Adriano Segatori, uno psichiatra no-global del tutto non-conforme) che discettava di carattere a 24 carati (a proposito, Lilli è tornata, lucida, senza più polvere). Un breve assaggino per cominciare l’anno (i grassetti sono miei – si sa, i panettoni sono difficili da smaltire).

“Il carattere è quella struttura dell’uomo che si combina tra temperamento e personalità, tra le qualità ereditate e costituzionali che caratterizzano i comportamenti reattivi e l’unicità complessiva data dall’articolata armonia tra strutture connaturate e costruzioni esperienziali. Esso si pone, perciò, a metà tra il dover essere passivamente prestabilito e il voler essere attivamente progettuale, nel punto in cui uno diventa – o almeno dovrebbe auspicabilmente diventare – ciò che è, come destino e come donazione. Il carattere, quindi, si fonda su risorse che escludono la libera volontà del soggetto – il quale può solamente prendere atto della quantità e della qualità delle stesse – e sulla percezione di un peculiare destino da condividere e da perseguire nel percorso integrativo della sua personalità, proprio nell’operazione volontaria di rendere più redditizie e vantaggiose le risorse ricevute.

(…) Il carattere, a questo punto, possiamo vederlo come la carta d’identità della personalità: ciò che caratterizza una persona nel momento in cui questa si trova ad assolvere al compito esistenziale per la quale è stata chiamata: il senso e la meta del viaggio di trasformazione e di integrazione.
E qui entra in gioco il destino, perché, se “Il carattere è destino”, “Ethos anthropoi daimon” – come rivendica con precisione James Hillman partendo da Eraclito –, allora il carattere è ciò che definisce e caratterizza la “ciascunità”, secondo il felice e centrato neologismo dello stesso Hillman: il carattere è la particolarità che ogni persona esprime usufruendo delle opportunità offerte in natura e che, attraverso un pericoloso percorso di spaesamento e di ritrovamento, cerca, raggiungendo lo scopo interiore di quella sua unica ed irripetibile vita: non trasformazione ma identificazione.
Se il cammino, però, è personale – come le risorse in gioco e la meta auspicata – il metodo può essere unificato e uniformato? Certamente no! Il carattere è imparabile, non insegnabile. Può essere evidenziato e messo in luce attraverso un dispositivo educativo non un procedimento didattico…”

Che il 2009 sia un anno di carattere!