sabato 29 maggio 2021

LOVE IS A PINK CAKE


 

 

LOVE IS A PINK CAKE

 

Fiori di cellofan e cieli di marmellata. La ferita si richiuse subito. Dopo il primo fendente, senza che Arianna tentasse, non diciamo una contromossa da capoeira, ma almeno un’unghiata (le aveva sempre avuto corte, le unghie, solo ultimamente – canard enchainé –, da ragazza branchée se le era fatte french, alla moda), tutto filò liscio: dopo il botto iniziale, sulla battigia, fecero subito coppia. Una danza gestuale brut, un sincronismo di sguardi, parole, vibrazioni. Una stimmung gestaltica, quasi da trip da LSD. Lucy in the sky with diamonds. Tocchi virtuali, progressivi, in-gredienti. Tra una caipirinha e l’altra, in un crescendo di toni, senza nessuna stonatura. Come spesso avviene agli esordi. E poi?

    “Love is a pink cake” scriveva Andy Warhol. Tutto era romantically correct: la spiaggia da sogno (la ‘torta rosa’), il romanzo di grido e l’abbronzatura fashion (più o meno naturista, come trent’anni prima). Da pop-art (e peep-show – di quelli soft, però). Una pink cake piena di cuoricini e con la faccia di Marilyn (o la sua – ma il compleanno era scaduto da circa tre mesi). A far da testimonial al (trans)oceanico love affair, dopo i primi tre giorni a Jericoacoara vissuti da single. In quello che, dopo qualche piccola pazzia loca a Fortaleza, doveva essere un suo eden privato. Con tanto di cancellata. Magari da aprirsi, ma solo quando le sarebbe frullato per la testa. Senza badare al serpente (e alla mela: intera o frullata, non importava).

    In ogni caso, fino a quel fatidico martedì, nemmeno l’ombra di Adamo… Nessun fico (con o senza foglia). E nessun Dio. E nemmeno un deus ex machina, un Dio ‘tappabuchi’, per risolvere i problemi. Bastava a se stessa. Arianna e il suo paradiso prêt à porter: un odeon a gradini, illuminato dalle luci al neon, questo il suo eden. Tra kitsch e (hotel) Ritz. Proprio come lei: quel poco di snob, diciamo un dieci per cento (lascito della su’ nonna), un tocco di kitsch (idem, ma da parte di mummy yankee, figlia dei fiori). Infine, un eccesso di eleganza innata (dono di natura, suo carisma). E il babbo? Less than zero.

 

    Lo sguardo di Tomás la portò in mare aperto. Un vortice d’acqua dolce la risucchiò e la fece scomparire negli abissi. Poi, di nuovo dal dolce al sale. Sapore di sale, sapore di mare, voglia di amare. Infine, la spiaggia, mano nella mano di Tomás, le forme morbide in linea con le dune, i capelli in sintonia con la brezza.

    Il contatto, pelle a pelle, col corpo del macho togo di Rio valse a farla tornare coi piedi sulla sabbia. I muscoli di entrambi (anche quelli di Arianna, abilmente dissimulati), gli sguardi, sfrontati o interrogativi: tutti tesi verso il traguardo. Le fronti spaziose, le labbra carnose, dossi e valli tra dune e palme: lui, flessuoso ma maschio, tappeto su cui danzare, plaid da cui farsi abbracciare; lei, femmina ribelle (ma slave to love), flabello da sventagliare, divano da rifoderare, carrozzeria da smerigliare… Lui, una tantum, transgender di frontiere; lei, il più delle volte, costretta entro i confini (che, però, ogni tanto – carpe diem  oltrepassava, trasgrediva, trasognava). Reach out and touch faith…

    Donna borderline, Arianna, non appiattita sulla vociante piazza dell’omogeneizzazione dei generi, né nostalgica di gerarchie, maschiliste o femministe. Era sempre lei a condurre il gioco. Per una questione di cellule… (per dirla alla Lucio Battisti, suo mito inox, malgré tout). Nondimeno, anche in lei, sotto sotto, la voce ‘tiranna’ (una sottile voce di silenzio) sussurrava (o gridava, nelle ‘segrete’ dei suoi heideggeriani sentieri interrotti): Your own Personal Jesus… Someone to hear your prayers… Someone who cares…

    Reach out and touch! Predatrice, senza essere donna piranha (anche prima di Fortaleza). Lei la boccia, gli altri i birilli. Femmina virilmente in bilico (ma mai sboccata). Altalenante tra il casual sneakers e lo stilizzato tacchi a spillo. Come le ragazze di Miranda, la direttrice glam Prada-vestita. Mai virago, però.

    “Viviamo in un mondo terra terra: per adattarsi ad esso il fanciullo abdica alla sua estasi” – Lorenzo l’aveva introdotta a R. D. Laing e a Mallarmé: “L’enfant abdique son extase.” Ma lei si sentiva ancora regina, non voleva certo abdicare ai suoi desideri. Regina con figli, ma senza eredi al trono; col marito-re spodestato, e lei, per di più, malata. Sì, ancora morbosamente infettata dal virus degli anni ’70: droghe (leggere) à gogo (il primo quarto), sexual healing (tra un quartino e l’altro), un po’ di politica (nel mezzo). Il “Sex is too good to share with anyone else” di Philip Larkin – poeta inglese pescato per caso nelle profondità del Web – le andava stretto. A lei piaceva condividerlo, il sesso (in genere con uno – numero fisso; talvolta introduceva la variabile: in questo caso, il numero ‘irrazionale’. Mai però il chorus line o la gang bang – una contro il branco. Preferiva il big bang, il grande amore, folle, passionale, esclusivo).

    Mai ‘cefalea coitale’, e neanche coiti solo cerebrali. Ma di tanto partecipava, mentalmente e con brividi subliminali, a situazioni trasgressive e violente, che pur non avrebbe voluto veramente sperimentare. Sì, le accadeva di fantasticare hard, ma poi, nella realtà, esigeva coccole e tenerezza (di cui, però, faceva a meno nei suoi viaggi mentali. Lì andava giù pesante. E qualche volta pure nella realtà). Lei era istintiva, passionale, tutta cervello destro. E per questa sua erotica ‘lunaticità’, che pur mirava al traguardo di un eroico erotismo solare, si trovava spesso costretta a raccontar bugie. Perché, come le ricordava il suo diletto Oscar Wilde: quando si racconta una bugia si trova appoggio su ogni fronte. Quando si dice la verità, ci si ritrova in una posizione molto penosa e solitaria, e nessuno crede a una parola.

    Bugie come verità nascoste (d’altronde, la verità comincia dalle bugie”). Ma, scavalcata la grata, le sue emozioni, i suoi desideri, i suoi obiettivi, una volta evasi dalle ‘segrete’ della sua anima si ripresentavano all’evidenza del mondo travestiti da bugie. E poi si sa: “Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero.”

 

Tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara.

 

lunedì 24 maggio 2021

LA CURA. REACH OUT AND TOUCH FAITH

LA CURA

REACH OUT AND TOUCH FAITH

   In & out. Ma il tutto si sintetizza in: Cristo salva e guarisce. Lo leggerai tante volte sugli autoadesivi che spopolano specie qui, in America Latina. Simboleggiato dal ‘pesciolino’ che vedi sul retro di macchine e moto. Cristo come forza potente, come dinamica di una vita nuova, come dynamis che risana dalle malattie, dalla depressione e da quei vizi o cattive abitudini che possono distruggere, alla lunga (ma anche dopo pochi ‘scatti’), corpo e anima. Insomma, l’affermazione basilare della fede pentecostale è una persona: Gesù Cristo. Lui, come diceva Wittgenstein, è un evento reale della tua vita. Pronto a risolvere i problemi sociali, collettivi, planetari… ma anche quelli individuali, in un confronto vis a vis – personalizzato – con ciascuno. Your own personal Jesus… Someone to hear your prayers, Someone who cares… Someone who’s there… Problemi che Lui ha già, virtualmente, ‘crocifisso’ a ‘suo tempo’: si tratta solo di ‘attivare’ quanto già realizzato ‘in potenza’… Reach out and touch faith…

   Julim era al calor bianco (il colore? Qualche tonalità più alta). «”Mille fiori di plastica non fanno fiorire un deserto. Mille facce vuote non riempiono una stanza vuota.” Ci vuole qualcos’altro. Una gestalt dello spirito. Nuove prospettive, nuove visioni. Ma non solo le ‘scuole bibliche’, gli stessi teologi dell’America Latina – delle varie confessioni cristiane – propongono, sia pure a diversi livelli, la rottura delle categorie epistemologiche tradizionali, introducendo una visione cri(s)tico-profetica e salvifico-liberatrice. Soteriologia escatologica. Le ‘cose ultime’ diventano le ‘prime’. Quanto poi al declino delle chiese protestanti storiche, due, essenzialmente, le cause principali. Innanzitutto, la ‘psicologizzazione’: la religione che diventa una sorta di terapia, e questo sin dagli anni ‘50. Cosa che in sé non è un male, anzi. Solo che, così facendo, la religione, pur ‘slegando’, è diventata un semplice doppione della psicanalisi, ma con minor appeal. Di converso, lo spiritual life coach targato pentecostale, dalle premesse e dagli esiti più junghiani o da New Thought – ovviamente reinterpretati –, non trascura d’indagare sul mondo spirituale e interagire con esso, conseguendo spesso dei risultati eccezionali. Ma solo quando riesce a superare l’empasse del fanatismo, dell’ossessione, di deriva anglo-yankee, per il denaro e la cosiddetta ‘prosperità’ (vergini sì, ma ricchi sfondati…) – fosse almeno felicità, piacere e libertà! – e il bieco, ignorante e ‘cieco’ conservatorismo repressivo e autocastrante (c’è chi pensa che il fiat lux sia stato l’altro ieri…), ahimè sempre in agguato.

Altro intoppo: a partire dalla fine degli anni ‘60 (questo Sessantotto…) il protestantesimo ‘storico’ si è ‘politicizzato’, identificandosi con questo o quel programma politico. Anche questo, in sé, non sarebbe un male. Anzi! Fatto è che, quanto più la religione s’interessa ai fini politici e sociali, tanto più, stranamente (ma non poi tanto), indebolisce il suo influsso sulla società e sull’individuo. Sembra un paradosso, Arianna, ma è così. Evidentemente, c’è una ‘legge’ cosmica, un dharma, in base al quale non bisogna confondere i mezzi necessari – le opere – coi fini trascendenti. L’anima, figlia del dharma, anche nelle altre religioni va alla disperata caccia della sua ‘preda’, che non è la psiche, la polis, la praxis, ma… Gesù (magari sotto altro nome, o anonimo… Come anonimo era uno dei discepoli sulla via di Emmaus). Psicologizzazione, politicizzazione, sociologizzazione, sono tutti fatti positivi, ‘liberatori’, ma la chiesa, se non è sostenuta dalla propria diversità (che non deve, però, essere alienazione), va, in breve tempo, incontro all’auto-castrazione, a un vero e proprio suicidio: psicoterapia e politica, fatte a-religiosamente, da psicologi e politici, possono ben sostituire (anche meglio) la chiesa che propone queste stesse cose. E poi, ‘sto retaggio del protestantesimo liberale, col suo voler essere accettati, a ogni costo, dal mondo… (ma questo vale anche per la Chiesa cattolica). In definitiva, lo sdoganamento a tutti i costi ha portato alla chiusura delle frontiere dello Spirito. E sui confini ci sono sempre conflitti… Nondimeno, anche tra i pentecostali c’è un cambio generazionale, con relativo spostamento d’asse dal conservatorismo sociale alla responsabilità sociale. Non più autismo spirituale. Piccoli pentecostali crescono…» 

   Julim parlava così perché, almeno fino a poco tempo prima, era allineato al protestantesimo tradizionale, quello che, specie dagli anni ’60 in poi (ma il fenomeno risaliva a parecchi decenni addietro), aveva imboccato la strada progressista, liberal, anti-spiritualista, antiletteralista. E adesso si trovava sulla dirittura d’arrivo, pronto a prendere la corona di cattedratico doc (e correct). Ultimamente, però, gli si erano, improvvisamente e inaspettatamente, aperti nuovi orizzonti. E aveva oltrepassato il recinto del giardino per andare nella boscaglia, a cogliere fiori per lui sconosciuti. Julim, un don Juan sulla via di Damasco.

   Un’iniziazione in piena regola (lui che pensava di essere sulla carreggiata giusta, in piena ‘autostrada’…). Nel fitto della selva oscura, un sentiero luminoso e poi il flash. Non solo. Aveva avuto una missione: impossibile dire di no alla chiamata. Specie poi se veniva dall’Alto. La fede è una farfalla notturna, lunatica… Ma quando sorge l’alba, che sole! (e non c’è bisogno di aspettare mezzogiorno…)

Tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara


 

venerdì 21 maggio 2021

L’OMBRA C’È QUANDO C’È IL SOLE

L’OMBRA C’È 

QUANDO C’È IL SOLE

     «Comunque hai ragione, Galy (un improvviso diminutivo: ubi maior minor cessat?), spesso il cristianesimo ha dimenticato lo spirito dionisiaco, lo ha trascurato, negato. E Dioniso era ed è una specie di alter ego del Cristo (ma senza il suo sangue…) e, giustamente, reclama i diritti della vita contro una società che esalta la morte sociale, culturale ed estetica. Sono, piuttosto, Ahrimane e Lucifero a impersonare la corruzione delle principali forze e pulsioni materiali e spirituali: Ahrimane adombra e insieme corrompe l’attitudine naturale ad amare la vita terrena; Lucifero abbacina e devia lo slancio dell’uomo teso a svincolarsi dalla materia e a proiettarsi nel mondo dello Spirito. Nel senso che conduce verso uno ‘spirito’ malato. Nondimeno, le dinamiche che essi rappresentano non debbono essere represse, bensì redente e poste sotto una nuova luce. Devono diventare dinamiche di gioia e speranza. Gaudium et Spes. “Fra i cristiani vi sono sempre più facce imbronciare e acide. Ma tu non hai motivo di essere fra queste e non è bene per te esserlo. Tu sei un’opera di Dio.” Parole di Karl Barth, teologo acido (e basico). Gioia: ecco ciò che ci vuole. E Gesù, al di là della sofferenza (solo un ‘rito di passaggio’), l’ha portata. La gioia. Insieme alla speranza. Gaudium, Spes ed Eros… Cristo è risuscitato affinché anche noi, morti con lui, nascessimo di nuovo. Che ne dici.? La morte è vita… Permettimi un po’ di trasgressione tra le frontiere (linguistiche). D’altronde, e lo dice Nietzsche, che un po’ trasgressivo lo era, nessuno ha fatto di più per l’eros del catto-cristianesimo (ma non dimentichiamo le derive evangeliche, sempre più montanti).»

     Lorenzo all’improvviso parve intristirsi (come après l’amour). L’altra faccia della luna. La petite mort.

     «L’erotismo è solare, ma anche nell’eros la tristezza sembra prevalere sulla gioia. E non lo pensa solo Leopardi, ce lo ricorda pure un saggista contemporaneo di grido come George Steiner: “La famosa tristezza post-coitum, la sigaretta tanto attesa dopo l’orgasmo, misurano con precisione il vuoto tra l’anticipazione e la sostanza, tra l’immagine fantasticata e l’evento empirico. L’eros umano è parente stretto di una tristezza mortale.” La pruderie moralistica, che spesso ha solo valenze di potere – più si dominano gli istinti delle masse, o dei piccoli gruppi, più le si soggiogano –, non ha fatto altro che aumentare il piacere (ma spesso il dolore) della trasgressione. Infatti, siccome è pressoché impossibile rispettare, totalmente, tale norma vincolante, castrante, frigidaire, ecco che il senso di ‘peccato’ ha dato la stura alle forze ctonie, nondimeno solari (l’ossimoro!), dell’eros. È quasi un effetto pavloviano: per molti è impossibile provare piacere se non è associato al senso del peccato. È, comunque, un amplificatore della voluttà. E poi, il bigottismo alimenta lo scandalo e viceversa. Ma, biblicamente parlando, sempre riguardo al sesso, e al piacere in generale, non è esattamente così: non c’è sempre ‘castrazione’, c’è pure ‘liberazione’. Gerusalemme liberata. Galatea, nelle Scritture non c’è solo repressione, ma anche esaltazione… Exultet. La Bibbia canta (decanta, incanta) – nella Lettera di Paolo a Tito – “Omnia munda mundis. Tutto è puro per quelli che sono puri.” Dio ha creato il corpo, ed era ‘buono’, ‘bello’. Tutto della creazione divina è buono, anzi, nell’uomo e nella donna, ‘molto buono’, ottimo. Anche la donna, alla faccia di Tertulliano. Molto buona. Il corpo è stato creato per il piacere, non solo per il dovere. San Paolo aggiunge: “Tutto è lecito (ma non tutto fa bene…).” Se poi Origene si è fatto eunuco, pazienza, abbiamo avuto un filosofo in più (con gran pace di Lorenzo, il filosofomane). Ma Abelardo ne ha sofferto. Eloisa valeva bene una messa… E non era Messalina (ma quella è un’altra storia. Da ‘cronaca vera’…). La legge è intervenuta perché il peccato abbondasse. Dio ci ha dato la legge perché la trasgredissimo. L’ombra c’è quando c’è il sole. Ma diminuisce man mano che ci si avvicina al grande Meriggio… Sì, è proprio il momento di passare a qualcosa di più forte, di hard

     Galatea, già presa, al sentire il termine ‘hard’ si avvinghiò ancor più a Lorenzo, il quale, avviluppato da un mix di sensazioni ossimoriche, incluso l’abbraccio della mora, dolce-amara, dolce-nera, femme noire, si sciolse in uno scivoloso ma quanto mai fruttuoso ditirambo.

     «Nel Cantico dei Cantici c’è scritto: “Qual è un melo tra gli alberi del bosco, tal è l’amico mio fra i giovani. Io desidero sedermi alla sua ombra, il suo frutto è dolce al mio palato…” Esplicito, no? XXX…»

     Galatea finse una ritrosia verginale e stette a bocca chiusa (ma le labbra vibravano sottilmente – per quanto turgide). Lorenzo ne approfittò per dare, impudica lingua tagliente, blow… la stoccata finale.

     «Ripeto, la Bibbia non è ‘bacchettona’.  È un libro polisemico, per tutti e per nessuno, come lo Zarathustra di Nietzsche. Ed esprime filosofia joyness, una visione ottimistica dell’esistenza: leggi tra le pieghe. Il piacere, in tutte le sue variazioni, è per Dio ‘cosa buona’, non una piaga. D’altronde, per dirla con Heine, cos’è il piacere, se non un dolore straordinariamente dolce… Altro è l’eccesso, l’intemperanza, l’assoluta mancanza di ‘salvaguardie’. Ma lo stesso è per il mangiare, il fare sport, guidare la macchina. La distrazione può essere fatale. Così per il troppo alcol e la relativa perdita di controllo. Non sempre l’ebbrezza fa bene (ma un po’ ci vuole: rallegra il cuore). Sursum corda. Certo, nel sesso sono coinvolte più dinamiche… E senti quest’altra, sempre nel Cantico di Salomone – prima era il capitolo due, ora saltiamo al quattro (si tratta di un vero e proprio ‘can can’): “Sorgi, vento del nord, e vieni, vento del sud! Soffiate sul mio giardino, perché se ne spandano gli aromi! Venga l’amico mio nel giardino e ne mangi i frutti deliziosi!” Eros allo stato puro. E non convenzionale (non solo la posizione ‘missionaria’…). E nota bene, è la donna, la sulamita, a prendere l’iniziativa. Prima ‘attiva’ poi ‘passiva’, ma sempre passionale. Passion flower. Altro che antifemminismo della Bibbia! “Sub umbra eius quem desideraveram sedi.” L’ombra, alla Giordano Bruno, come limite ma anche come luogo di un’esperienza ‘eccezionale’. Ma anche come ‘frutto della passione’… L’uomo, come sempre indolente, esce allo scoperto più tardi – viene fuori dall’’ombra’ –, al capitolo successivo del Cantico, lì dove si parla di mirra, di aromi, vino, latte, di ebbrezza d’amore. E lei insiste (queste donne…). Non smette di sedurlo. Tutti frutti. E non solo all’aperto, nel giardino, col suo hortus conclusus che si apre al giardiniere, ma al chiuso, in casa. Eccola togliersi la gonna, ‘vestirsi’ della voce dell’amato e... “L’amico mio ha passato la mano per la finestra, il mio amore si è agitato per lui. Mi sono alzata per aprire al mio amico, e le mie mani hanno stillato mirra, le mie dita mirra liquida, sulle maniglie della serratura.” È la Bibbia, non è Emmanuelle o Alina Reyes.»

Tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara.