VAI, DAI, SAI, FAI…
L’impossibile era accaduto. Il Papa al pepe nero si era addolcito, senza perdere un granello della sua franchezza, della sua paolina parresia. «Scienza e coscienza. Via al processo di coscientizzazione… ‘Risvegliarsi’ e superare le alienazioni e le costrizioni per affermarsi come soggetti consapevoli e creatori del proprio futuro (un viaggio verso il futuro di Dio). Doxa, logos, praxis, utopia. Alla Paulo Freire. Una nuova consapevolezza verso la conversione, la riscoperta del rapporto originario (au pair, malgré tout) uomo/donna-Dio. Dal kérygma – l’annunzio – alla diakonia (servizio) sino alla koinonia (comunione). Il ruolo ‘politico’ delle Chiese consiste nella reintegrazione della felicità di Adamo ed Eva, nel rapporto reciproco, con Dio e col creato, in quanto ‘custodi’ del giardino. In attesa dell’apocatastasi (c’era qui il tocco di Origene – ma il Papa ci credeva? E Lorenzo? Ci aveva fatto un pensierino…). E poi, la vera Chiesa è individuale (qui c’erano il Medioevo e il Rinascimento borderline). Su questo dobbiamo lavorare insieme. Non dobbiamo perdere tempo, dobbiamo darci dentro: non più di una settimana!»
”Ripetere, pulire, andare a fondo, raggiungere il gesto vero”, come dice Susanna Tamaro (anche se non era sempre sulle sue corde, Lorenzo di tanto in tanto la citava, ruminando i suoi pensieri allineandoli, spontaneamente, a quelli del Papa – che non aveva mai parlato in quel modo, di questo era più che certo). Per poi ‘scaricarli’:
«Il ventesimo è stato il secolo della scolarizzazione e della secolarizzazione: non è un gioco di parole, ma è indubbio che i due siano andati a braccetto. Come dire, più cultura e meno religione… Insomma, la fame di conoscenza è inversamente proporzionale alla sete di Dio. Ma ora dobbiamo capovolgere la clessidra. L’autorità delle Chiese non deriva dal loro ruolo, ma dalla credibilità del ruolo. L’’eclissi del sacro’, di cui trent’anni fa parlava Sabino Acquaviva, non c’è stata, eppure le nostre giornate sono quanto di meno sacro – nel senso di ‘impulso alla trascendenza’ o suo coinvolgimento (foss’anche emotivo) – ci si possa immaginare. La banalità del quotidiano, e non solo per i comprensibili motivi di sopravvivenza, è imperante, nonostante il ‘sacro’ sia un aspetto ineliminabile della personalità umana (Mircea Eliade era sempre sulla punta della lingua di Lorenzo). E la constatazione di Paolo nella Lettera ai Romani, al capitolo otto, è ancora valida: allora l’invocazione alla salvezza, il bisogno di passare da una triste vita effimera all’immortalità beata; oggi, non sostanzialmente diverso, l’appello alla liberazione. Una ricerca di significato dell’esistenza e, soprattutto, di felicità e ben-essere. Free now! E non solo da parte di chi è oppresso, umiliato e offeso… pressante è la richiesta da parte di tanta gente apparentemente normale! Riusciranno le Chiese del Terzo Millennio a far sperimentare lo stesso potere salvifico del Cristo nel quotidiano e nel qui-e-ora, oltre che in un futuro celeste? È possibile, soprattutto oggi, collocare la Storia, e la nostra storia, in un orizzonte di senso? Sì, se consideriamo che il nostro è un tempo non solo del meno, ma anche del ‘più’. Si sta andando avanti, dobbiamo rendercene conto (lo pensiamo, ma non lo ‘realizziamo’…): se Cristo è il centro della Storia, noi siamo avanti, nel dopo. È lecito, quindi, sperare, lottare, avanzare, lavorare, riposare... C’è una finestra aperta sul futuro! Life is now… (quasi un intermezzo pubblicitario, da pubblicità occulta. Ma il messaggio era palese). Abbiamo passato l’alfa, c’è ancora l’omega! La visione delle Chiese nella Nuova Era è: Liberazione subito! Senza arrivare, necessariamente, ai vaffa… Questo vogliono i nostri ragazzi, Papa! (gli era sfuggito…).
Lorenzo si ricompose e continuò acquietato (era molto sensibile al futuro dei giovani. E non solo di Davide e Marzia. Lui, il papà, era per l’eterna gioventù).
«Il ruolo ‘antropologico’ delle Chiese è nello sviluppo di nuove forme di diakonia, una chiamata a solidarizzare nel gemere e nel lavorare su se stessi per liberarsi da ogni schiavitù e da ogni ‘identificazione’ con gli ‘idoli’, pur nella libertà di usare del ‘mondo’, al fine di modellare un futuro ‘servibile’. Tre – mi riallaccio a Letty Russel e alla sua Teologia femminista – le forme di diakonia: quella preventiva (frena gli sviluppi involutivi – gli inviluppi – alla libertà individuale: e vai con i centri di formazione professionale, di ascolto, con i programmi di prevenzione dalla droga…), quella curativa (la ‘guarigione delle ferite’: e dai con l’aiuto ai malati, ai sofferenti, ai senza tetto, agli emigrati…), quella prospettica (l’apertura a nuove prospettive di vita: e sai con i seminari di studio, i gruppi di lavoro interconfessionali, il counseling psico-spirituale, le cooperative di lavoro, quelle artistiche…). Vai, dai, sai e, soprattutto, fai… Fine ultimo, scopo, meta? La metànoia: la metamorfosi nel nostro vedere la realtà. Quindi, non solo l’occhio al ‘sociale’ (il ‘cannocchiale’), ma anche, o soprattutto, all’’individuale’ (la ‘lente d’ingrandimento’). Non solo politica urbana, ma di quartiere, domestica, sino al ripostiglio…»
Lorenzo uscì dalla porta di servizio e rientrò dal portone. Ma sempre con la ‘parolibera’ in bocca (alternava bassi e acuti, infilava perle e porci, pontificava – davanti al Papa! – in latino, greco, ebraico, pali e sanscrito, inglese, francese, globish. E poi, neologizzava. Ma sempre con juicio).
«Le chiese sono solo una preparazione, una pregustazione – un happy hour (lo fossero, almeno…) – perché il singolo individuo si realizzi, faccia il pasto completo; poi, come Gesù al convito di Emmaus, possono scomparire… Quando sei pronto… il Maestro arriva. Ma dopo, quando vedi il Maestro, uccidilo!»
Killing me softly… Lorenzo era ancora al sangue (nella sua mente in piena ‘febbre’, frattanto, fluivano rivoli sempre più blues: Singing my life with his words, killing me softly with his song, killing me softly with his song… Telling my whole life with his words, killing me softly with his song, I felt all flushed with fever…).
«È nel dialogo intra-religioso, nell’incontro delle culture, degl’individui, dell’Io col Sé, del Conscio con l’Inconscio, la salvezza dell’umanità: una nuova innocenza, una visione cosmoteandrica, un incontro tra l’aspetto metafisico, il fattore noetico e l’elemento empirico. Noè prepara l’arca! Ma per navigare su mari calmi… Pace, giustizia e salvaguardia del creato. E poi, visione non-dualista, non monista. Il pentecostalismo, in quest’ottica, anzi il pentecostalismo che vorrei, è una risorsa (ma dev’essere ‘rigenerato’, ‘ricaricato’), in quanto è contemplativo: non ha bisogno del cielo lassù in alto, perché la vita perfetta è già qui e ora. E non è proteso al poi, alla temporalità che ci affanna perennemente: il contemplativo vive ora l’eternità, sperimenta oggi la pienezza del tempo. Carpe diem. Il contemplativo privilegia la concentrazione, trova il suo centro. Ma dev’essere pure attivo. E come dice l’Ecclesiaste, deve pure gioire e danzare (non c’è solo il tempo per il lutto…). Shalom! Fare la pace con la terra, recuperare la dimensione divina. Insomma, ci siamo capiti…»
Tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara.