giovedì 30 aprile 2020

PRENDILA CON SPIRITO!



                      PRENDILA  
            CON SPIRITO! 

In periodi come questi dobbiamo solo prenderla con Spirito… (evitiamo altre battute). Spirito: sia con la maiuscola sia con la minuscola. In ogni caso, una sobria ebbrezza…  
E per inebriarvi un po’, ossimori o mores, ecco uno stralcio dal mio “Prendi la PNL con Spirito!” Tra l’altro, cosa che forse solo io ho notato e descritto nelle mie pubblicazioni (a cominciare da circa 30 anni fa), riporto un’esperienza carismatica/pentecostale medievale, descritta in un suo libro da Ruysbroeck, mistico fiammingo del ‘300.

Pratiche che rinforzano la capacità di concentrazione o attenzione sono presenti nella maggior parte delle tradizioni religiose.
L’importanza dello sviluppo dell’attenzione è evidente soprattutto nella grandi tradizioni nate in India: l’induismo e il buddismo.
Fondamentale è, in particolare, nello yoga la pratica dell’attenzione ‘concentrata’, o concentrazione. Sia che si fissi l’attenzione su un mantra, sul respiro o su un oggetto, l’obiettivo è quello di acquietare le attività automatiche della mente e il “dialogo interiore” attraverso l’attenzione concentrata.
Altra possibilità di ‘toccare’ il transpersonale si ha – anch’esso sembra paradossale – durante uno stato di calma, di pace, di quiete, in cui all’improvviso (durante una lettura coinvolgente, oppure rapiti da una melodia, o ancora ‘dissolti’ nella bellezza della natura), si passa, all’improvviso, da un quasi passivo godimento a un improvviso stato di esultanza e di gioia ineffabile, subito seguito da un’illuminazione intellettuale e spirituale – uno stato brahmico, per così dire, un’esperienza delle vette o sentimento oceanico – per cui ti sembra di toccare, nel vero senso del termine, il cielo con un dito.
Il tutto collegato con un indescrivibile allargamento del senso del proprio Io (meglio, del ) e della coscienza, tale da far apparire, per confronto, la coscienza ordinaria come una manifestazione molto ristretta, limitata e ‘grigia’ della più ampia potenzialità della propria essenza o, il che è praticamente lo stesso, del proprio spirito.
Non mi dilungo, ma passo a tre brani che da soli esprimono più di tante spiegazioni:

“Percorsi i primi chilometri di corsa, trotterellando, essendo la strada in discesa: poi cominciò la pianura, ed io nel ritmo del cammino e nell’incanto della solitudine della Gallura, entrai in uno stato di particolare armonia dello spirito con il corpo. Grazie al ritmo del camminare e all’àmbito di primordialità pura delle forze in cui movevo, grazie al silenzio e alla pace, possenti sino alla solennità, ebbi d’un tratto, nella forma possibile alla struttura interiore propria alla mia età, la prima esperienza del pensiero vivente. Procedendo a passo veloce ma uguale e lieve, andavo facendo una sintesi della mia vita e del suo significato, quando sentii al centro di essa, resasi quasi visibile, la forza del pensiero come una luce che tendeva a penetrare nell’anima e che mi avrebbe rivelato nel tempo il senso di tutto ciò che per ora semplicemente mi appariva: percepii la connessione di questa luce con l’essenza delle cose, dell’uomo e dell’Universo. Guardandomi intorno, vedevo la realtà segreta della natura, magica nella sua purezza, che mi veniva incontro: mi appariva tutto connesso da un’unica animazione, come una sinfonia, essendo le forze molteplici e diverse. Ricordo nettamente che le impressioni interiori destantisi in me non erano soltanto immagini, ma simultaneamente percezioni di forze. Non ne ero però sorpreso: sapevo benissimo che quella era la realtà. Vi fu un momento in cui, guardandomi intorno, mi parve di essere circondato da entità e da archetipi: sentii la gioia di ravvisare in me il fluire della Luce, come una forza operante in tutto l’essere, e di un tratto constatai che il mio corpo perdeva peso. Non osai forzare l’esperienza, una prudenza mi tratteneva, ma sapevo bene che, se avessi insistito nella percezione della forza-luce, avrei potuto sollevarmi da terra.” 

Un passo indietro nel tempo (siamo nel ‘300) ed ecco un’altra esperienza ‘estatica’:
“Dalla gioia, che appena abbiamo terminato di descrivere, nasce un’ebbrezza spirituale che consiste, per l’uomo, nell’essere ricolmato di maggiore gustosa dolcezza e gioia di quanto il suo cuore ed il suo desiderio possano augurarsi o contenere. L’ebbrezza spirituale produce molti effetti strani. Mentre gli uni cantano e lodano Dio per eccesso di gioia, altri versano lacrime abbondanti per la grande gioia del loro cuore. In quelli si manifesta un’agitazione di tutte le membra che li costringe a correre, a saltare, a danzare; negli altri l’ebbrezza è così grande da far battere le mani ed applaudire. Uno grida ad alta voce e manifesta così la sovrabbondanza di quel che sente dentro; l’altro, al contrario, ammutolisce, sprofondando nelle delizie che prova in tutto il suo essere. Talvolta si è tentati di credere che tutti facciano la stessa esperienza; oppure ci si figura, al contrario, che nessuno abbia mai gustato quel che ciascuno sperimenta in se stesso. Sembra che sia impossibile veder sparire questa gioia e che di fatto non la si perderà giammai; e ci si meraviglia talvolta che tutti gli uomini non diventino spirituali e divini. Talvolta si pensa che Dio sia tutto per noi soli e che non appartenga a nessun altro che a noi stessi; talvolta ci si domanda con ammirazione cosa mai sia tale gioia, donde venga e cosa sia quel che ci accade. È la vita più deliziosa che un uomo possa conoscere sulla terra, in quanto gioia sperimentata. E talvolta le gioie son così grandi che il cuore crede che stia per spezzarsi…”

Questa è l’ebbrezza spirituale. E qual è la gioia che la produce e che persiste anche dopo l’inebriamento?
“La dolcezza, di cui abbiamo ora terminato di parlare, fa nascere nel cuore e nelle potenze sensibili una gioia tale che l’uomo pensa di essere tutto avviluppato interiormente dall’abbraccio divino dell’amore. Ora questa gioia e questa consolazione sorpassano in dolcezza, per l’anima e per il corpo, tutto quello che il mondo intero può dare di tal genere, quand’anche un solo uomo potesse esaurirne in se stesso tutta la pienezza. È così che Dio si diffonde nel cuore, per mezzo dei suoi doni, e vi spande una così grande e gustosa consolazione ed una tale gioia che il cuore interiormente straripa. Allora si comprende bene quanto sono miserabili coloro che restano al di fuori dell’amore. La gioia così provata fa quasi sciogliere il cuore, tanto che l’uomo non può più contenersi sotto l’abbondanza della gioia interiore.”

Tre brani un po’ lunghi, il primo di Massimo Scaligero (filosofo ‘esoterico’ del secolo scorso), gli altri due di Ruysbroeck (mistico fiammingo del ‘300), ma tu leggili, rileggili, gustali, sentili a pelle, sottopelle:
fatti titillare dal ‘tocco’ delle parole, fatti pervadere dall’ebbrezza delle emozioni…
”Quando il liuto intona la melodia, il cuore, impazzito, spezza le catene. (Gialal al-Din Rumi)


sabato 25 aprile 2020

LIBERAZIONE. Are you ready for a miracle?


LIBERAZIONE
Are you ready for a miracle?

Bene, oggi parliamo di liberazione. Ma non solo in attinenza con la data odierna. C’è di più, molto di più…
Ma lavoro, come spesso mi capita, per analogie. Ed ecco, quindi, visto che questo è un blog di Kultur (nato, più che altro, come blog di Architettura, e dintorni), un “flos de floribus” dal mio romanzo di tras-formazione da “derviscio rotante” (la definizione che più mi è piaciuta e più si attaglia) Gocce di pioggia a Jericoacoara. Si tratta dell’intero capitolo 35, tra i più corti tra i sessantasette capitoli (un romanzo tolkieniano…).
Leggetelo tutto d’un fiato, poi fermatevi, ascoltate il vostro Dio, rileggetelo lentamente, gustatelo, assaporatelo, sedimentatelo, rileggetelo, meditatelo e, anche prima dei canonici ventuno giorni (il tempo del digiuno di Daniele e quello della resistenza al cambiamento – la lotta dell’angelo contro il “nemico”, v. nel cap. 10 del Libro di Daniele, nell’Antico Testamento), passa all’azione…

«Fatto è che io credo nei miracoli. Già il mio intervento è stato tale, non puoi non riconoscerlo. Il miracolo non sovverte l’ordine naturale delle cose, ma lo ricompone, lo restituisce alla perfezione iniziale. Rimette insieme i frammenti, rimodella le situazioni, sviluppa certi ‘arti’ e ne ‘rimpicciolisce’ o annulla altri. E poi, fa il vecchio nuovo. Sempre con arte (e con giudizio). Io non ci credevo, ma ho scommesso, come Pascal. Che ci avrei perso? Credibilità? Ero solo io a saperlo... Tempo? Nel frattempo facevo tante altre cose… Fiducia in me stesso? Figuriamoci… Il caso era apparentemente banale. Ma dovevo risolverlo. Come? Nonostante il cambio di prospettiva, continuavo a pensare alla ‘vecchia maniera’: perché scomodare Dio per cose così poco importanti, con tutti i problemi esistenziali e collettivi, di ben altro peso – la fame del mondo, l’ingiustizia sociale, l’effetto serra… Giustissimo. Tutti ragionamenti validi e sacrosanti. D’altronde, io sono noto per essere un teologo della liberazione. Non famoso a livello internazionale, ma in salita su quello nazionale. In ogni caso, ortodossia o ortoprassi che sia, il mio problema, personale, anche se umanamente risolvibile, era importante. Quale problema?. Una questione di …denti.» 
     Arianna pensò di non aver capito (per quanto Julim parlasse l’italiano perfettamente) e ribadì (senza forza):
     «Un problema di identità? Certo, l’autostima è fondamentale se si vuol vivere bene e coerentemente con i propri principi e aspettative.» 
     «No, non identità, ho detto proprio denti: una questione di denti… Ridicolo, no? Per me era un problema che non ci voleva proprio, specie allora che ero preso da tanti impegni. E con i primi accenni alla possibilità di una ‘missione’ importante (te la illustrerò dopo, non è questo il momento). Improvvisa, la missione, ma improvviso, anche, il ‘problema’: una piorrea galoppante. Un paio di mesi fa. Mistero buffo. Forse un’infezione, o chissà. Eppure, io ci tengo al mio fisico. Non solo allo spirito. E non sono un sepolcro imbiancato (certo, non spetta a me stabilirlo…). E poi, per motivi che avevano a che fare con la ‘missione’, dovevo lasciare Rio per fare l’animatore a Jericoacoara (naturalmente nessuno sapeva di questa mia ‘doppia vita’: ufficialmente, per il ‘sinedrio’ universitario, sarei dovuto essere lì solo per una meritata vacanza, dopo tanto tran tran scolastico). E tu eri nelle mie mire! Hai visto giusto. Il problema era quindi fastidioso, ma andare dal dentista era problematico. Sì, certo, potevo farlo benissimo. Quasi niente è tecnicamente impossibile, figuriamoci poi nella patria della chirurgia estetica…» 
     Arianna al sentir parlare di tocchi e ritocchi, sorrise. A lei non servivano, almeno per il momento (nonostante avesse già preso il largo, insieme – virtualmente – alla sua coetanea Sharon Stone, altro fisico illustre, anche quanto a mente). Ivo Pitanguy poteva aspettare…
     «Era per me una pietra d’inciampo, uno skandalon. Immaginavo, poi, che la soluzione sarebbe stata lunga e costosa. – Julim riprese con ancor maggior lena e brio –. E poi, perché non provare? Io che parlavo di regno di Dio, dei miracoli di Gesù, di Gesù della storia e di Cristo della fede, di soteriologia e pneumatologia, di kénosis ed exousia, di Weltanschauung e Sitz im Leben, di Einfuhlung e Zeit-Geist, di Gemeinschaft e Gesellschaft, di Kultur e Zivilisation, di circolo ermeneutico e di ermeneutica del sospetto… Io che facevo l’analisi sincronica, diacronica, strutturale, insomma facevo le pulci al vangelo di Marco, e che discettavo di ’analisi delle forme’, di ‘redazione’, ‘tradizione’ e ‘fonti’. Che smontavo la Bibbia e la rimontavo (con o senza ‘chiave biblica’). Specie il Nuovo Testamento, la mia materia d’insegnamento. Sferruzzavo e ricucivo: la storia kerygmatica dei Vangeli, la questione sinottica, l’analisi psicologica degli evangelisti e dei ‘redattori’, l’ermeneutica dei principi profetico e sacramentale, il significato sociale del movimento di Gesù, Bultmann e la demitologizzazione... Insomma, tutta quella teologia che, per quanto affascinante, è diventata la serva della sociologia, quando non della ‘socio-politica’. Da padrona a serva! Da àncora di salvezza ad ancella sfaccendata. Che valeva tutto questo (anche se l’analisi teologica mi affascina ancora, anzi più di prima), se poi non mi accodavo alla sequela? E non mi ‘accordavo’ coi suoi insegnamenti? E non passavo dall’analisi alla sintesi… Dov’era l’’escatologia realizzata e inaugurata’? Insomma, il miracolo, la guarigione (non solo spirituale e psichica), la potente manifestazione che sigillava il nostro essere ‘figli di Dio’, persino superiori agli angeli?» 

     Julim era talmente preso dal racconto che parve trasfigurarsi (il Pan di Zucchero era vicino). Lui, da shaolin, pugile della giovane foresta, a filante seguace di Saulo da Tarso… 
     Begin the beguine. «Sì, i miracoli: segni e simboli della crescita interiore, del vento nuovo di giustizia e shalom, della risposta all’appello di Gesù che c’interpella e vuole il nostro sì. Amen. Ma occorreva unire la teoria alla pratica. Considerare tutte le tessere del mosaico, non solo quelle che più si aggiustavano col modo (o la ‘moda’) di pensare del momento (anche se ora è un po’ ‘out’, o ‘down’). Io avevo un problema urgente, per banale che fosse, e Gesù, comunque, nei Vangeli rispondeva (ma se non ci fossero stati i vangeli, che ne sarebbe stato di Gesù? Domanda da Fight Club…). Sì, lui rispondeva anche alle cose ‘terra terra’. Con i miracoli. Non solo segni, ma pure opere potenti. Sciamanesimo tribale, dirai tu. In ogni caso, gnosi o non gnosi, Gesù era pronto alla risposta, più di quanto noi fossimo pronti alla domanda. E perché non poteva rispondere a me, su di me? Perché solo dentro di me? Ero o non ero un figlio di Dio? Non ero anche io come il cieco, il sordo, lo zoppo, la vedova?» 
     Julim cambiò faccia (e personaggio).
     «Ma erano altri tempi, mi dirai, i miracoli (sempre che fossero realmente tali, e non fantasie o altro) servivano a inaugurare il ‘regno’. Erano contingenti e, soprattutto, il mercato (delle pulci) del popolo credulone. Il mercato, la piazza, gli alti luoghi…» 
     Il teologo ‘rampante’ (Arianna sperava in cuor suo – anzi era certa – che non fosse un ‘baro’. Specie per lei che aveva rischiato di trovarsi nella bara… Che ci fosse dietro il bahar di Dio? Era forse un ‘eletto’? In ogni caso, sembrava proprio che Paolo, Agostino, Lutero, Calvino e Karl Barth fossero i suoi assi nella manica) si allontanò un attimo, riaprì il frigo-bazar e riempì nuovamente di succo di ananas il bicchiere di Arianna (perennemente vuoto). Nel frattempo continuava a sorseggiare il suo abituale pompelmo trapuntato da cubetti di ghiaccio. Uno, due, tre passate. Voleva tenere l’atmosfera rasoterra. Chill-out. Non troppo cool. Non era proprio il caso. C’era stato già un sovraccarico di tensione… Quindi, niente long drink, cocktail e beveroni vari, collaudati o frutto dell’ispirazione del momento. Meglio volare basso (non certo per gli argomenti, stratosferici).
     «”Quel che vale è la nostra adesione intellettuale” – si sarebbero inalberati i soloni (e io stesso, se avessi dovuto parlare ex cathedra). “Altro che miracoli e guarigioni soprannaturali. Quel che importa è la nostra risposta all’appello di Gesù per una vita ‘autentica’!” Allora Gesù dispensava, senza spesa da parte dei fruitori, ora era un’altra ‘dispensazione’: occorreva spendere dal dentista! Questa l’ovvia conclusione del cristiano ‘maturo’, ‘corretto’, ‘bipartisan’ (che è poi un cristiano ‘disperato’: senza speranza). Insomma, la voce del ‘coro’.» 
     Julim accennò un gorgheggio, poi, con voce da gargarismo, tornò sui suoi passi.
     «Arianna, mi raccomando: non lo andare a dire in giro. Non lo spiattellare ai quattro venti! Sono un teologo rispettato. Se qualcuno ci ha sentito (sai, qualche ‘cimice’, coi tempi che corrono…), di’ che stavo raccontando una storiella, una parabola. La mia tesi su Karl Barth è un must qui a Rio. Sono un teologo serio, non vado mica dietro alle fanfaluche delle donnette! Comunque, tornando alla mia storia fresca fresca, ho buttato alle ortiche la mia rispettabilità di cattedratico e mi sono detto: sono un figlio di Dio, il regno mi appartiene, gli angeli sono al mio servizio per le cose materiali. Non li invoco, ma li chiamo lo stesso. Anzi, se c’è un mio angelo custode, meglio ancora. Sarà il mio personal coach. In ogni caso, anche senza il suo aiuto, mi allenerò per conto mio: cioè, alla New Age (meglio, alla Pentecost-Age), visualizzerò la guarigione (nella Bibbia ritroviamo, nella sostanza, ma con spirito diverso, lo stesso metodo), ossia tanti angioletti che puntellano i miei denti, abbassano le tendine (le gengive), riparano e  ritoccano, danno una sbiancatina qua e là… Non diceva forse Gesù: credete di aver già ottenuto la cosa richiesta (cioè, visualizzate nello Spirito il risultato: il successo è sicuro) e così sarà. Quando? Quando lo vuole Dio. Non: se Deus quiser… Sì, Lui lo vuole e conosce anche i nostri tempi. In definitiva, riassumendo, per non annoiarti troppo: di mio ho messo il desiderio e il disegno, per così dire (la fede, in definitiva); l’angelo ha eseguito l’intervento e Dio, nella Sua Trinità operativa, ha dato il via alle operazioni, supervisionando poi e collaudando, infine, il tutto. In pratica: io sono stato il progettista, Gesù l’imprenditore, l’angelo (o gli angeli) la manovalanza, lo Spirito Santo il direttore dei lavori e Dio Padre (o Madre) il collaudatore… Ma non andarlo a dire in giro – era la seconda volta che Julim, preso dalla foga della confessione, girava il disco –, se no mi cacciano. Mi tolgono cattedra e discepoli. Direbbero che i miei vaneggiamenti da guru de rua farebbero rivoltare Karl Barth nella tomba (ma io – Nein credo che lui, invece, mi strizzerebbe l’occhio. Ja!). In ogni caso, silenzio messianico a parte, tutto ha funzionato. A meraviglia.» 
    E Julim sventagliò il sorriso più bello, e innocente, che Arianna avesse mai visto (non che quelli di Evan, l’olandese volante, e Lorenzo, il falcone federiciano, fossero da mettere sotto spirito).