PRENDILA
CON SPIRITO!
CON SPIRITO!
In
periodi come questi dobbiamo solo prenderla con Spirito… (evitiamo altre battute). Spirito: sia con la maiuscola sia con la
minuscola. In
ogni caso, una sobria ebbrezza…
E per inebriarvi un po’, ossimori o mores, ecco uno stralcio dal mio “Prendi la PNL con Spirito!” Tra l’altro, cosa che forse solo io ho notato e descritto nelle mie pubblicazioni (a cominciare da circa 30 anni fa), riporto un’esperienza carismatica/pentecostale medievale, descritta in un suo libro da Ruysbroeck, mistico fiammingo del ‘300.
E per inebriarvi un po’, ossimori o mores, ecco uno stralcio dal mio “Prendi la PNL con Spirito!” Tra l’altro, cosa che forse solo io ho notato e descritto nelle mie pubblicazioni (a cominciare da circa 30 anni fa), riporto un’esperienza carismatica/pentecostale medievale, descritta in un suo libro da Ruysbroeck, mistico fiammingo del ‘300.
Pratiche
che rinforzano la capacità di concentrazione
o attenzione sono presenti nella
maggior parte delle tradizioni religiose.
L’importanza
dello sviluppo dell’attenzione è evidente soprattutto nella grandi tradizioni
nate in India: l’induismo e il buddismo.
Fondamentale
è, in particolare, nello yoga la pratica dell’attenzione ‘concentrata’, o concentrazione. Sia che si fissi
l’attenzione su un mantra, sul respiro o su un oggetto, l’obiettivo è quello di
acquietare le attività automatiche della mente e il “dialogo interiore” attraverso
l’attenzione concentrata.
Altra
possibilità di ‘toccare’ il transpersonale
si ha – anch’esso sembra paradossale – durante uno stato di calma, di pace,
di quiete, in cui all’improvviso (durante una lettura coinvolgente, oppure
rapiti da una melodia, o ancora ‘dissolti’ nella bellezza della natura), si
passa, all’improvviso, da un quasi passivo godimento a un improvviso stato di
esultanza e di gioia ineffabile, subito seguito da un’illuminazione
intellettuale e spirituale – uno stato brahmico,
per così dire, un’esperienza delle vette
o sentimento oceanico – per cui
ti sembra di toccare, nel vero senso del termine, il cielo con un dito.
Il tutto
collegato con un indescrivibile allargamento del senso del proprio Io (meglio,
del Sé) e della coscienza, tale da far apparire, per confronto, la coscienza
ordinaria come una manifestazione molto ristretta, limitata e ‘grigia’ della
più ampia potenzialità della propria essenza
o, il che è praticamente lo stesso, del proprio spirito.
Non mi dilungo,
ma passo a tre brani che da soli esprimono più di tante spiegazioni:
“Percorsi i primi chilometri di corsa,
trotterellando, essendo la strada in discesa: poi cominciò la pianura, ed io
nel ritmo del cammino e nell’incanto della solitudine della Gallura, entrai in
uno stato di particolare armonia dello spirito con il corpo. Grazie al ritmo
del camminare e all’àmbito di primordialità pura delle forze in cui movevo,
grazie al silenzio e alla pace, possenti sino alla solennità, ebbi d’un tratto,
nella forma possibile alla struttura interiore propria alla mia età, la prima
esperienza del pensiero vivente. Procedendo a passo veloce ma uguale e lieve,
andavo facendo una sintesi della mia vita e del suo significato, quando sentii
al centro di essa, resasi quasi visibile, la forza del pensiero come una luce
che tendeva a penetrare nell’anima e che mi avrebbe rivelato nel tempo il senso
di tutto ciò che per ora semplicemente mi appariva: percepii la connessione di
questa luce con l’essenza delle cose, dell’uomo e dell’Universo. Guardandomi
intorno, vedevo la realtà segreta della natura, magica nella sua purezza, che
mi veniva incontro: mi appariva tutto connesso da un’unica animazione, come una
sinfonia, essendo le forze molteplici e diverse. Ricordo nettamente che le
impressioni interiori destantisi in me non erano soltanto immagini, ma
simultaneamente percezioni di forze. Non ne ero però sorpreso: sapevo benissimo
che quella era la realtà. Vi fu un momento in cui, guardandomi intorno, mi
parve di essere circondato da entità e da archetipi: sentii la gioia di
ravvisare in me il fluire della Luce, come una forza operante in tutto
l’essere, e di un tratto constatai che il mio corpo perdeva peso. Non osai
forzare l’esperienza, una prudenza mi tratteneva, ma sapevo bene che, se avessi
insistito nella percezione della forza-luce, avrei potuto sollevarmi da terra.”
Un passo indietro nel tempo (siamo nel ‘300)
ed ecco un’altra esperienza ‘estatica’:
“Dalla gioia, che appena abbiamo terminato di
descrivere, nasce un’ebbrezza spirituale che consiste, per l’uomo, nell’essere
ricolmato di maggiore gustosa dolcezza e gioia di quanto il suo cuore ed il suo
desiderio possano augurarsi o contenere. L’ebbrezza spirituale produce molti
effetti strani. Mentre gli uni cantano e lodano Dio per eccesso di gioia, altri
versano lacrime abbondanti per la grande gioia del loro cuore. In quelli si
manifesta un’agitazione di tutte le membra che li costringe a correre, a
saltare, a danzare; negli altri l’ebbrezza è così grande da far battere le mani
ed applaudire. Uno grida ad alta voce e manifesta così la sovrabbondanza di
quel che sente dentro; l’altro, al contrario, ammutolisce, sprofondando nelle delizie che prova in tutto il suo essere. Talvolta si
è tentati di credere che tutti facciano la stessa esperienza; oppure ci si
figura, al contrario, che nessuno abbia mai gustato quel che ciascuno
sperimenta in se stesso. Sembra che sia impossibile veder sparire questa gioia
e che di fatto non la si perderà giammai; e ci si meraviglia talvolta che tutti
gli uomini non diventino spirituali e divini. Talvolta si pensa che Dio sia
tutto per noi soli e che non appartenga a nessun altro che a noi stessi;
talvolta ci si domanda con ammirazione cosa mai sia tale gioia, donde venga e
cosa sia quel che ci accade. È la vita più deliziosa che un uomo possa
conoscere sulla terra, in quanto gioia sperimentata. E talvolta le gioie son
così grandi che il cuore crede che stia per spezzarsi…”
Questa è l’ebbrezza spirituale. E qual è la gioia che la produce e che persiste
anche dopo l’inebriamento?
“La dolcezza, di cui abbiamo ora terminato di
parlare, fa nascere nel cuore e nelle potenze sensibili una gioia tale che
l’uomo pensa di essere tutto avviluppato interiormente dall’abbraccio divino
dell’amore. Ora questa gioia e questa consolazione sorpassano in dolcezza, per
l’anima e per il corpo, tutto quello che il mondo intero può dare di tal
genere, quand’anche un solo uomo potesse esaurirne in se stesso tutta la
pienezza. È così che Dio si diffonde nel cuore, per mezzo dei suoi doni, e vi
spande una così grande e gustosa consolazione ed una tale gioia che il cuore
interiormente straripa. Allora si comprende bene quanto sono miserabili coloro
che restano al di fuori dell’amore. La gioia così provata fa quasi sciogliere
il cuore, tanto che l’uomo non può più contenersi sotto l’abbondanza della
gioia interiore.”
Tre brani un po’
lunghi, il primo di Massimo Scaligero (filosofo ‘esoterico’ del secolo scorso),
gli altri due di Ruysbroeck (mistico fiammingo del ‘300), ma tu leggili,
rileggili, gustali, sentili a pelle, sottopelle:
fatti titillare
dal ‘tocco’ delle parole, fatti pervadere dall’ebbrezza delle emozioni…
”Quando il liuto intona la melodia, il cuore,
impazzito, spezza le catene.” (Gialal al-Din Rumi)