LIBERAZIONE
Are you ready for a miracle?
Bene, oggi parliamo di liberazione.
Ma non solo in attinenza con la data odierna. C’è di più, molto di
più…
Ma lavoro, come spesso mi capita,
per analogie. Ed ecco, quindi, visto che questo è un blog di Kultur (nato, più che altro, come blog di
Architettura, e dintorni), un “flos de floribus” dal mio romanzo di tras-formazione da “derviscio rotante” (la definizione che più mi è piaciuta e più si
attaglia) Gocce di pioggia a
Jericoacoara. Si
tratta dell’intero capitolo 35, tra i più corti tra i sessantasette capitoli
(un romanzo tolkieniano…).
Leggetelo tutto d’un fiato, poi
fermatevi, ascoltate il vostro Dio, rileggetelo lentamente, gustatelo, assaporatelo, sedimentatelo,
rileggetelo, meditatelo e, anche prima dei canonici ventuno giorni (il tempo
del digiuno di Daniele e quello della resistenza al cambiamento – la lotta dell’angelo
contro il “nemico”, v. nel cap. 10 del Libro di Daniele, nell’Antico
Testamento), passa all’azione…
«Fatto
è che io credo nei miracoli. Già il mio intervento è stato tale, non
puoi non riconoscerlo. Il miracolo non sovverte l’ordine naturale delle cose,
ma lo ricompone, lo restituisce alla perfezione iniziale. Rimette insieme i
frammenti, rimodella le situazioni, sviluppa certi ‘arti’ e ne ‘rimpicciolisce’
o annulla altri. E poi, fa il vecchio nuovo. Sempre con arte (e con giudizio). Io non ci credevo, ma ho scommesso, come
Pascal. Che ci avrei perso? Credibilità? Ero solo io a saperlo... Tempo? Nel
frattempo facevo tante altre cose… Fiducia in me stesso? Figuriamoci… Il caso
era apparentemente banale. Ma dovevo risolverlo. Come? Nonostante il cambio di
prospettiva, continuavo a pensare alla ‘vecchia maniera’: perché scomodare Dio
per cose così poco importanti, con tutti i problemi esistenziali e collettivi,
di ben altro peso – la fame del mondo, l’ingiustizia sociale, l’effetto serra…
Giustissimo. Tutti ragionamenti validi e sacrosanti. D’altronde, io sono noto
per essere un teologo della liberazione. Non famoso a livello internazionale,
ma in salita su quello nazionale. In ogni caso, ortodossia o ortoprassi che
sia, il mio problema, personale, anche se umanamente risolvibile, era
importante. Quale problema?. Una questione di …denti.»
Arianna pensò di non aver capito (per
quanto Julim parlasse l’italiano perfettamente) e ribadì (senza forza):
«Un problema di identità? Certo,
l’autostima è fondamentale se si vuol vivere bene e coerentemente con i propri
principi e aspettative.»
«No, non identità, ho detto proprio denti: una questione di denti… Ridicolo,
no? Per me era un problema che non ci voleva proprio, specie allora che ero
preso da tanti impegni. E con i primi accenni alla possibilità di una
‘missione’ importante (te la illustrerò dopo, non è questo il momento).
Improvvisa, la missione, ma improvviso, anche, il ‘problema’: una piorrea
galoppante. Un paio di mesi fa. Mistero
buffo. Forse un’infezione, o chissà. Eppure, io ci tengo al mio fisico. Non
solo allo spirito. E non sono un sepolcro
imbiancato (certo, non spetta a me stabilirlo…). E poi, per motivi che
avevano a che fare con la ‘missione’, dovevo lasciare Rio per fare l’animatore
a Jericoacoara (naturalmente nessuno sapeva di questa mia ‘doppia vita’:
ufficialmente, per il ‘sinedrio’ universitario, sarei dovuto essere lì solo per
una meritata vacanza, dopo tanto tran tran scolastico). E tu eri nelle mie
mire! Hai visto giusto. Il problema era quindi fastidioso, ma andare dal
dentista era problematico. Sì, certo, potevo farlo benissimo. Quasi niente è
tecnicamente impossibile, figuriamoci poi nella patria della chirurgia
estetica…»
Arianna al sentir parlare di tocchi e
ritocchi, sorrise. A lei non servivano, almeno per il momento (nonostante
avesse già preso il largo, insieme – virtualmente – alla sua coetanea Sharon
Stone, altro fisico illustre, anche quanto a mente). Ivo Pitanguy poteva
aspettare…
«Era per me una pietra d’inciampo, uno skandalon. Immaginavo, poi, che la
soluzione sarebbe stata lunga e costosa. – Julim riprese con ancor maggior lena
e brio –. E poi, perché non provare? Io che parlavo di regno di Dio, dei
miracoli di Gesù, di Gesù della storia e di Cristo della fede, di soteriologia
e pneumatologia, di kénosis ed exousia, di Weltanschauung e Sitz im
Leben, di Einfuhlung e Zeit-Geist,
di Gemeinschaft e Gesellschaft, di Kultur e Zivilisation, di circolo ermeneutico
e di ermeneutica del sospetto… Io che facevo l’analisi sincronica, diacronica,
strutturale, insomma facevo le pulci al vangelo di Marco, e che discettavo di
’analisi delle forme’, di ‘redazione’, ‘tradizione’ e ‘fonti’. Che smontavo la
Bibbia e la rimontavo (con o senza ‘chiave biblica’). Specie il Nuovo
Testamento, la mia materia d’insegnamento. Sferruzzavo e ricucivo: la storia kerygmatica
dei Vangeli, la questione sinottica, l’analisi psicologica degli evangelisti e
dei ‘redattori’, l’ermeneutica dei principi profetico e
sacramentale, il significato sociale del movimento di
Gesù, Bultmann e la demitologizzazione...
Insomma, tutta quella teologia che, per quanto affascinante, è
diventata la serva della sociologia, quando non della ‘socio-politica’. Da
padrona a serva! Da àncora di salvezza ad ancella sfaccendata. Che valeva tutto
questo (anche se l’analisi teologica mi affascina ancora, anzi più di prima),
se poi non mi accodavo alla sequela? E non mi ‘accordavo’ coi suoi
insegnamenti? E non passavo dall’analisi alla sintesi… Dov’era l’’escatologia
realizzata e inaugurata’? Insomma, il miracolo, la guarigione (non solo
spirituale e psichica), la potente manifestazione che sigillava il nostro
essere ‘figli di Dio’, persino superiori agli angeli?»
Julim era talmente
preso dal racconto che parve trasfigurarsi (il Pan di Zucchero era vicino). Lui, da shaolin, pugile della giovane foresta, a
filante seguace di Saulo da Tarso…
Begin
the beguine. «Sì, i miracoli: segni e simboli della crescita
interiore, del vento nuovo di giustizia e shalom, della risposta
all’appello di Gesù che c’interpella e vuole il nostro sì. Amen. Ma occorreva
unire la teoria alla pratica. Considerare tutte le tessere del mosaico, non
solo quelle che più si aggiustavano col modo (o la ‘moda’) di pensare del
momento (anche se ora è un po’ ‘out’, o ‘down’). Io avevo un problema urgente,
per banale che fosse, e Gesù, comunque, nei Vangeli rispondeva (ma se non ci fossero stati i vangeli, che ne
sarebbe stato di Gesù? Domanda da Fight Club…). Sì, lui rispondeva anche
alle cose ‘terra terra’. Con i miracoli. Non solo segni, ma pure opere
potenti. Sciamanesimo tribale, dirai tu. In ogni caso, gnosi o non gnosi,
Gesù era pronto alla risposta, più di quanto noi fossimo pronti alla domanda.
E perché non poteva rispondere a me, su di me? Perché solo dentro di me?
Ero o non ero un figlio di Dio? Non ero anche io come il cieco, il sordo,
lo zoppo, la vedova?»
Julim cambiò faccia (e personaggio).
«Ma erano altri tempi, mi dirai, i
miracoli (sempre che fossero realmente tali, e non fantasie o altro) servivano
a inaugurare il ‘regno’. Erano contingenti e, soprattutto, il mercato (delle
pulci) del popolo credulone. Il mercato, la piazza, gli alti luoghi…»
Il teologo ‘rampante’ (Arianna sperava in
cuor suo – anzi era certa – che non fosse un ‘baro’. Specie per lei che aveva
rischiato di trovarsi nella bara… Che ci fosse dietro il bahar di Dio? Era forse
un ‘eletto’? In ogni caso, sembrava proprio che Paolo, Agostino, Lutero,
Calvino e Karl Barth fossero i suoi assi nella manica) si allontanò un attimo,
riaprì il frigo-bazar e riempì nuovamente di succo di ananas il bicchiere di
Arianna (perennemente vuoto). Nel frattempo continuava a sorseggiare il suo
abituale pompelmo trapuntato da cubetti di ghiaccio. Uno, due, tre passate.
Voleva tenere l’atmosfera rasoterra. Chill-out.
Non troppo cool. Non era proprio il caso. C’era stato già un sovraccarico
di tensione… Quindi, niente long drink, cocktail e beveroni vari, collaudati o
frutto dell’ispirazione del momento. Meglio volare basso (non certo per gli
argomenti, stratosferici).
«”Quel che vale è la nostra adesione
intellettuale” – si sarebbero inalberati i soloni (e io stesso, se avessi
dovuto parlare ex cathedra). “Altro che miracoli e guarigioni
soprannaturali. Quel che importa è la nostra risposta all’appello di Gesù per
una vita ‘autentica’!” Allora Gesù dispensava, senza spesa da parte dei
fruitori, ora era un’altra ‘dispensazione’: occorreva spendere dal dentista!
Questa l’ovvia conclusione del cristiano ‘maturo’, ‘corretto’, ‘bipartisan’
(che è poi un cristiano ‘disperato’: senza speranza). Insomma, la voce del ‘coro’.»
Julim accennò un gorgheggio, poi, con voce
da gargarismo, tornò sui suoi passi.
«Arianna, mi raccomando: non lo andare a
dire in giro. Non lo spiattellare ai quattro venti! Sono un teologo rispettato.
Se qualcuno ci ha sentito (sai, qualche ‘cimice’, coi tempi che corrono…), di’
che stavo raccontando una storiella, una parabola. La mia tesi su Karl Barth è
un must qui a Rio. Sono un teologo serio, non vado mica dietro alle fanfaluche
delle donnette! Comunque, tornando alla mia storia fresca fresca, ho buttato
alle ortiche la mia rispettabilità di cattedratico e mi sono detto: sono un
figlio di Dio, il regno mi appartiene, gli angeli sono al mio servizio per le
cose materiali. Non li invoco, ma li chiamo lo stesso. Anzi, se c’è un mio
angelo custode, meglio ancora. Sarà il mio personal coach. In ogni caso, anche
senza il suo aiuto, mi allenerò per conto mio: cioè, alla New Age (meglio, alla
Pentecost-Age), visualizzerò la guarigione (nella Bibbia ritroviamo,
nella sostanza, ma con spirito diverso, lo stesso metodo), ossia tanti
angioletti che puntellano i miei denti, abbassano le tendine (le gengive),
riparano e ritoccano, danno una
sbiancatina qua e là… Non diceva forse Gesù: credete di aver già ottenuto la
cosa richiesta (cioè, visualizzate nello Spirito il risultato: il successo è
sicuro) e così sarà. Quando? Quando lo vuole Dio. Non: se Deus quiser… Sì,
Lui lo vuole e conosce anche i nostri tempi. In definitiva, riassumendo, per
non annoiarti troppo: di mio ho messo il desiderio e il disegno, per così dire
(la fede, in definitiva); l’angelo ha eseguito l’intervento e Dio, nella
Sua Trinità operativa, ha dato il via alle operazioni, supervisionando poi e
collaudando, infine, il tutto. In pratica: io sono stato il progettista, Gesù
l’imprenditore, l’angelo (o gli angeli) la manovalanza, lo Spirito Santo il
direttore dei lavori e Dio Padre (o Madre) il collaudatore… Ma non andarlo a
dire in giro – era la seconda volta che Julim, preso dalla foga della
confessione, girava il disco –, se no mi cacciano. Mi tolgono cattedra e
discepoli. Direbbero che i miei vaneggiamenti da guru de rua farebbero
rivoltare Karl Barth nella tomba (ma io –
Nein – credo che lui, invece, mi
strizzerebbe l’occhio. Ja!). In ogni caso, silenzio messianico a
parte, tutto ha funzionato. A meraviglia.»
E Julim sventagliò il sorriso più bello, e innocente, che Arianna avesse mai visto
(non che quelli di Evan, l’olandese volante, e Lorenzo, il falcone federiciano,
fossero da mettere sotto spirito).
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