sabato 31 marzo 2018

PASQUA CON LE STELLE


PASQUA CON LE STELLE

“E un giorno esce sul giornale di una squadra di uomini vestiti di nero che hanno fatto irruzione nel salone di un concessionario di macchine di lusso in un quartiere elegante sfondando a colpi di mazza da baseball i paraurti anteriori delle macchine per far esplodere gli airbag in imbrattanti nuvole di polvere nel fracasso spaventoso degli antifurto. E una notte nel giardino di una piazza cittadina un altro gruppo di uomini ha versato benzina sotto tutti gli alberi e da albero ad albero ha appiccato un perfetto piccolo incendio boschivo
Ci vengono addosso i fari, sempre più grandi e più grandi, clacson che strillano, e il meccanico allunga il collo nel riverbero e nel fragore e grida: «Tu non sei le tue speranze». Nessuno gli fa eco. Questa volta la macchina che ci sta venendo addosso sterza in tempo e ci salva. Ce ne viene addosso un’altra, lampeggia, abbaglianti anabbaglianti, clacson a tutta, e il meccanico grida: «Tu non sarai salvato». Il meccanico non sterza, ma sterza l’altra macchina. Ne arriva un’altra e il meccanico grida: «Tutti noi moriremo, un giorno o l’altro.»
(Chuck Palahniuk, Fight Club)
                                
Sì, tutto sembra cospirare affinché la tomba sia la nostra destinazione, ma, come la Pasqua insegna, il sepolcro è solo temporaneo: ognuno di noi è un potenziale Lazzaro “risvegliato” (alla faccia del lazzaroni e dei caciaroni cianciaroni fancazzisti del can-can mediatico).
Bene, svestito l’uovo di Pasqua (il re è nudo), vediamo di romperlo: scartiamo il regalo.
Sì, perché un regalo c’è: dietro ogni piagnisteo, sia pure legittimo, ci dev’essere una risata (un fou rire, una risata folle alla Nietzsche): 
“Coloro che leggono Nietzsche senza ridere, e senza ridere molto, senza ridere spesso, colti talvolta da un fou rire, è come se non leggessero Nietzsche.” (Gilles Deleuze).
La Pasqua è anche questo: un Dio che, dopo un pianto a folle, si fa una risata folle della Sua morte… perché sa che, morendo, dà la vita.

L’angelo della morte sta passando davanti alle porte di tanti uomini, famiglie, aziende, città, nazioni, ma va oltre la porta di chi è “uscito dalla narrazione” imposta, dallo story-telling renziano, ed è passato a una nuova narrazione, anche se questa all’inizio può essere solo una finzione, un agire “come se” (fosse davvero così).
Se rompi l’uovo del “come è” imposto dai media (che puntano al “minimo”) e agisci “come se” – ossia agisci al massimo, sia pure solo nelle intenzioni – la tua Pasqua non sarà quella banalizzata delle masse e della stessa chiesa (quella della “moralina”, del mercato e del supermercato), ossia un rito senza profondità, né alterità, né altezza e profondità, ma si dimostrerà una Pasqua di Risurrezione (anche di insurrezione, nel senso di “rivolta ideale”).

J'implore ta pitié, Toi, l’unique que j’aime, Du fond du gouffre obscur où mon coeur est tombé  (A te imploro pietà, a te, che sola io amo, dall’oscuro fondo d’abisso dove è affondato il mio cuore). (Baudelaire, Les fleurs du Mal)
Sì, c’è un chiarore oltre l’orizzonte (quello “orizzontale” della quotidianità). Che questa Pasqua sia, dunque, dopo il “de profundis”, un salto nella Luce: dagl’inferi al terzo cielo, e poi di nuovo giù, ma a metà strada, sulla terra, nell’acqua, nelle case, dentro e fuori di te.
Acqua e Spirito: il vento della Ruah (femminile), dello Pneuma (neutro), dello Spirito (maschile), comincerà a soffiare sull’Abisso. Sentirai sempre più il flusso della vera vita, le sue onde… perché la vita è “liturgia”, non quella esangue (talvolta da sanguisughe) propinata in questi giorni.

“La liturgia è come una grande onda del mare. Due sono i nuotatori. Uno, vedendo arrivare l’onda, raddoppia i suoi sforzi per restare a galla. E ci riesce anche; però si stanca e alla fine è contento di ritornare a terra. L’altro si abbandona all’acqua e si lascia portare dalle onde. Per lui non c’è nulla di più bello che un’onda grande che porta lontano. Egli ama la sensazione di essere portato, di essere tutt’uno con l’onda, la sensazione dei ruscelli di acqua fresca che massaggiano la pelle, la luce del sole che brilla e che si rispecchia in un mare di cristallo mescolato con fuoco... La liturgia è come una grande onda del mare.” 
(Dieter Kampen).
Lasciati andare, onda su onda… E mangiati l’uovo!



lunedì 19 marzo 2018

UOMINI E DONNE SULL’ORLO DELLA CRISI


UOMINI E DONNE SULL’ORLO DELLA CRISI

Krisis, kriss, kiss… Crisi come scelta, discernimento, discrimine, crimine, pugnale, pugno, bacio.
Ed ecco servito, come pugno o bacio (fate voi) un breve estratto dal mio (inedito) Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo?

La musica è cambiata: siamo noi a essere cambiati. Cambiati dentro, rettificati ma ondeggianti nel camminare dritto verso il traguardo (il Superuomo in noi come estrinsecazione del nostro più-che-vivere; lo Spirito, sempre in noi, come espressione del nostro più-che-essere).
Più siamo più faremo. Una groove armada. Divini e in-divini insieme, nozze più-che-umane e meno-che-divine tra Platone e Nietzsche: Diana il trait-d’union, il ‘ministro di culto’ (e che cult…).
Cultori di spiriti (anche quelli ‘sotto spirito’), scultori di corpi, scrutatori di anime. Saremo musici con il piffero: basteremo noi a influenzare la rotta della ‘folla’. Andremo a folle nelle discese, in prima nelle salite. Dossi, pianori, alture a scialare, fino al calare del sole (ma verrà l’eterno meriggio). Saremo il celebrante e l’altare, l’offerta e l’officiante. Saremo (o già siamo) lo zolfanello, il grano di sale, il granello di senape. Che foglie faremo… 
Questa è stata la prima missione di Tyler come terrorista dell’industria dei servizi. Cameriere guerrigliero. Guastatore a paga minima. Tyler lo va facendo da anni, ma sostiene che è tutto più divertente quando lo si fa in compagnia. Una sera Tyler viene su e mi trova nascosto in camera mia. «Non ci badare» mi dice. «Sanno tutti che cosa fare. Fa parte del Progetto Caos. Nessuno conosce il piano completo, ma ciascuno è addestrato per svolgere alla perfezione un compito preciso.» La regola al Progetto Caos è che bisogna avere fiducia in Tyler. Poi Tyler scompare. E ricompare in me, ma è Lothar. Lui ha assorbito Tyler.
I’m that type of guy. Scandalizzerò i puri, ma la vera fiera arya ogni tanto deve cambiare aria. E io ormai sono come lei, ‘dianeggio’ (suono la diana, mettiamola così). L’ho capito solo ora. E basta col qui e ora… Sarà occhei (mi abbasso) ma c’è pure il domani (mi innalzo – lo ‘ieri’ lo tengo in mano, anche se ogni tanto tende a sfuggirmi). Aspetto che la notte sbianchi, ma non posso tralasciarne il tuorlo: ormai Diana è al succo – il terribile non è ancora avvenuto.
«Non ne faccio una questione erotica, ma squisitamente estetica… Eroica (anche eretica – e un tocco di esotico e, ovviamente, esoterico): epica, ma capace di dialogare con la vita di ogni giorno. Il nostro è un ‘sodalizio’, una comunità, una ‘comune incomune’, un’agorà filò e un po’ ‘teò’, uno iero-kreis esistenziale, il filo d’Arianna (o di Diana: è lei a farci il filo – come cuce, e come ci fa filare…)»
Ah, la filosofia! Il filosofo… vera talpa dello spirito (Emile Cioran, sempre lui, mai contento…) – il filosofo-aborto senza nervi. Ma il Lothar che era in me scivolava con allegria sulla futilità delle domande e delle risposte. Volava da un’idea all’altra, non per profittarne come l’ape coi fiori, ma per la necessità del divertimento, senza desiderio di prospezione e per il solo piacere delle ali.

La notte è all’epilogo e non è tutta elegia. Gli spaventi notturni svolazzano bruschi e ruvidi su rive altrimenti laide, qui solo il corrusco (ma sempre brusco – e lusco) tremendum di Diana. Elogio della pazzia, nessuna liala dell’eros: solo stille di vita al fulmicotone. Tutto il parterre è un solo uomo, una sola donna: lei, la nostra Lorelei (chioma sciolta: non è cotonata). Ma nessun utero protettivo: ciascuno è nella sua ‘(dis)comfort zone’.
Tranquillità scattante, asana yoga sul piede di guerra, niente di sciatto (e nessuno, vivaddio, chatta… È tutto dal vivo). Le ore di ieri (il passato ‘inutile’) sono agli sgoccioli, sento odor di grandi piogge (Après moi le déluge).
Mi accoccolo a fianco di Chloe, lei dà l’occhei (la notte occhieggia sempre più a giorno). Maxwell e D’Angelo (due crooner cool & lounge da deriva dei sensi) ci cullano onda su onda, per poi sbatterci sulla battigia: di lì ci rotoliamo duna su duna (i divani sembrano moltiplicarsi e svuotarsi: ma sono tutti lì sdraiati o accovacciati che pendono dalle labbra l’uno dell’altra: aristocratica democrazia).
Un brivido percorre le mie regioni (e ragioni) più profonde. Spiaggiato ma felice. Estradato dal mondo, mi rotolo sulla sabbia dei miei ricordi (quelli futuri: Diana ha invertito le lancette del tempo), pronto a non tradire la mission della serata e a spiccare il volo (e poi, tra non molto picchieremo duro, se virtualmente o viziosamente non lo so ancora).
Cambiamo posto. Ci accoglie Yin Yang: due poltrone fuse insieme – materiali che si incontrano, concavità e convessità che si alternano e si compenetrano: elementi di un ossimoro in progress (ma ‘regressivo’), copula per coppie di in-dividui di-versi ma in-separabili. Tutto secondo programma (e pentagramma).
«E non confondiamo scienza con coscienza (Diana continua a sorseggiare, da fata, l’assenzio). Se per Darwin è migliore chi sopravvive – quindi, per lui non è questione di mera ‘qualità’ o di ‘analisi del valore’ –, per Nietzsche, e per me, il migliore è il più ‘riuscito’. Solo lui ha diritto alla vita. Perché in lui c’è potenza di vita, dinamica – non statica – esistenziale. Detto così, sembra crudo, crudele, inumano, meccanicistico, ma non lo è affatto. Tutt’altro, è umano e anche spirituale: il ben-riuscito è la summa e il prodotto di qualità e virtù (nel senso di valori) di provenienza la più variegata (soprattutto, divina – dall’Alto): dalla bellezza di facciata (non è un’offesa, è un vanto) alla linea di sangue (non è un vanto, è un vento – soffia come e dove vuole: ma ha un’Origine…). I ‘ben-riusciti’ non sono i raccomandati, i più ‘dritti’, i più furbi, i più ricchi, gli sgamati… Sono i ‘migliori’, i ‘segnalati’ – e ‘segnati’ (quali? Lo intuisce il vostro cuore ‘profondo’. Lui bussa alla porta – vi ‘sceglie’ – voi siete liberi o no di aprire: la vostra libera ‘risposta’ al Suo libero ‘appello’). Sono loro – gli eletti dall’Origine – i ponti (sospesi) verso il Superuomo. E la mia non è solo kalokagathìa, mito della bellezza e della bontà, ma è qualcosa di più profondo, di meno epidermico. È signum aeternitatis (immancabile, la ‘siringata ipodermica’ di Diana). I ‘malriusciti’, gli uomini-frammento (una ‘legione’…), sono sia il ‘gregge’ sia i ‘porci di Gadara’. Come direbbe Laing, sono in formazione ma viaggiano fuori rotta. Noi, invece, uomini e donne sull’orlo della crisi (la Krisis: la scelta-Kairòs), siamo rotti, siamo ‘a rota’, faremo i rutti, ma almeno siamo sulla rotta…»

sabato 17 marzo 2018

LA FORMA E L’ESSENZA


LA FORMA E L’ESSENZA

“… volli, non solo conoscere, ma sapere. Penetrare nelle cose. Scandagliarle, coglierne l’essenza.”
La forma e l’essenza. Una dualità che informa e conforma (talvolta deforma) la nostra vita, che può, però, essere usata per migliorarla e trasformarla: quando da dualità (due: dubbio, incertezza, impaccio) si trasforma in unità differenziata.
La frase è colta dal mio romanzo “Gocce di pioggia a Jericoacoara”. Ma vi do, come pretesto per un “colto” fine settimana, tutto il contesto (testo e “sottotesto”).

“E come dicono piacesse a una fanciulla svelta il pomo dorato che le tolse l’impaccio della sua ritrosia, mi piace.” Di morso in morso, sempre più vicino al torsolo… Lorenzo, dimentico della Genesi (e memore di Catullo), clonò il suo sorriso: solo allora si rese conto – forzando un po’ i tempi – che due incontri casuali in così breve tempo facevano bingo (più che ambo) nel campo delle leggi statistiche (che lui ben conosceva, da un esame marginale del suo excursus universitario) e che, per l’ennesima volta, si accingeva a rientrare nell’accidentato territorio di Jung e delle sue sincronicità. La situazione non era però impilabile in quella della piscina: l’intreccio di libro e gambe configurava uno scenario ben diverso.
«Conosci Laing? Mi riferisco a erredì Laing (Lorenzo calcò intenzionalmente sulle iniziali R. D. per giocarci un po’), il guru della pazzia...» Lorenzo non riuscì a trattenersi dall’arrotare la erre: una radical-sciccheria un po’ démodé, se si vuole, ma la ragazza valeva ben una messa (...in moto, di ogni sua risorsa). 
«Sì, certo: Ronnie, il guru “strizza e mordi”: beh, sai, la posizione del loto stimola!» schioccò la bionda coinquilina (del fazzoletto erboso).
«Touché!» lui di rimando.
Scagliata la prima pietra, il tempo di un respiro, fatta una breccia nella muraglia, il nostro cominciò ad avvolgere (come non era solito fare) l’inerme fanciulla nelle sue spire. E lei, fanciulla svelta, sospirando (nel suo intimo), tolse l’impaccio della sua ritrosia,
Ormai il contatto era on – l’anglicismo è qui d’obbligo in onore di Ronald – e la luce si accese su (e in) entrambi. Non particolarmente vivida, ma più che sufficiente a illuminare per una decina di minuti il percorso tra lo psicanalitico e lo spirituale che si era inaspettatamente avviato, complice Ronald David Laing, il guru scozzese dell’antipsichiatria, il mentore di Lorenzo. 
«Di Laing, e parlo del ’68 – che qui da noi era poi il ’69, l’anno ‘sottosopra’ del mio debutto in una bollente Firenze (e dintorni, Pisa soprattutto) –, mi aveva colpito soprattutto il suo approccio esistenzialista. Mi sembrava quasi un Sartre più nauseato del solito, ma ciò che più mi attraeva era il suo côté metafisico, spirituale, al di là del velo.»
Il fiotto delle parole fu quasi orgasmico. Lorenzo poteva, finalmente, permettersi di parlare alto.
Era da un bel po’ di tempo che non usava il sermo compositus per titillare e avvincere, se non convincere, gli interlocutori (le ultime frequentazioni di casa-chiesa-lavoro – gente spesso alla buona o ground zero – e quel che rimaneva dei suoi cerchi di amicizie avevano abbassato il suo ‘tono’). Lorenzo amava la varietas e la mutatio. E riusciva a passare, in un battito d’ali, dal sublime al terra terra (con un effetto ‘farfalla’ che poteva scatenare uragani polemici anche al di là del suo ‘cerchio’ – li aveva sperimentati soprattutto nel decennio ‘politico’ ’68-78). Così in alto così in basso (e viceversa). Ma quel che più detestava era l’analfabetismo culturale, il balbettio o la logorrea senza ratio pneuma. E i palloni gonfiati. Ma soprattutto, i talenti sotterrati. Non riusciva proprio a comprendere come si potesse vivere senza cultural literacy. Lui valutava le case, e le persone, dalle loro librerie…
«Certo, Laing. Se non fosse stato per lui, anch’io sarei rimasta al muto cicaleccio quotidiano. Oppure, all’happy hour, al brunch, al grunge... Niente di male, per carità. C’è il tempo per i voli pindarici e quello per le scivolate e le bischerate (qui Gaia toccò le corde del Lorenzo alla fiorentina, già a mezza cottura…). C’è il tempo per il rock e per il lounge, per il trash e per il fashion, per il dolce(vita) e per la gabbana… Poi, un paio di anni fa, il turning point: volli, non solo conoscere, ma sapere. Penetrare nelle cose. Scandagliarle, coglierne l’essenza. Pistis e Sophia, fede e sapienza. Ed ecco che, in un incidente di percorso, andai a sbattere contro Ronald. Se sei pronto, il maestro non si farà attendere… E lui mi venne incontro. Come ti ho detto, più che un incontro, fu uno scontro. Uno sgambetto, un colpo a tradimento. Un deragliamento dal binario delle mie robotiche certezze. Prima robuste, poi indebolite. Se non fossi inciampata in Ronnie, avrei continuato a bighellonare tra vetrine e display, tra summercard e scatto alla risposta. Oppure sarei rimasta in sosta, al palo o da velina (il massimo immaginabile, ma c’è pure il minimo…), in quel grande parco-macchine che è il mondo. Magari girando e girando in cerca di un posto… Una gogo girl tra tanti gogo boys. Ma lui era dietro l’angolo e mi colpì alla testa.»
Gaia finse di massaggiarsi la tempia destra (il ‘cervello destro’?) e continuò la corsa, premendo l’acceleratore.
«Un libro. Sì, è stato proprio un libretto a cambiarmi la vita. A introdurmi in nuovi territori, inesplorati. Con strani abitanti. A farmi navigare su mari lontani, e pericolosi. Una cosa tra le cose, un volume affondato nell’oceanica biblioteca di Babele di questo caotico cosmo quotidiano (un caos calmo, una platitude…). L’ossimoro che si fa emozione, lo squalo tigre della ‘persuasione’ contro la ‘platessa’ della ‘rettorica’ – mi riferisco ovviamente alle ‘categorie’ di Michelstaedter, che tu certo conosci – la bellezza che dà ossigeno all’anoressica realtà… Insomma, quel libretto – un po’ ‘rosso’ un po’ ‘nero’, a suo modo ‘stendhaliano’ – è stato per me una flebo di vita ‘autentica’ per disintossicarsi dalla tisica quotidianità. Un libro trans contro l’anossia dell’esistenza. Un libro trans-formante: mi portò in trance. Diciamo pure in sindrome di Stendhal. Spruzzi e sprazzi di vernice spray sul muro bianco della mia vita (anche se ho letto da qualche parte che “L’uomo è un foglio bianco, su cui l’ambiente e la società incidono delle linee precise). Insomma, La politica dell’esperienza, il libro che tu ben conosci, trovato per caso (ma il ‘caso’ è il ‘cacio sui maccheroni’ della quotidianità) su una bancarella di libri usati, fu proprio una mazzata. Una scossa, in particolare la sua chiusa: “Se solo potessi convertirvi, condurvi fuori dalle vostre meschine menti, se potessi comunicare con voi, allora sapreste.”  E io seppi, ma non mi fermai lì, andai oltre…»
Solo un attimo di sospensione, e poi la stoccata finale.
«A proposito, se incontri il maestro, abbraccialo, bacialo e poi… uccidilo


giovedì 8 marzo 2018

OTTO MARZO – FLY… FEMME FATALE

FLY… FEMME FATALE

Vola donna vola… via il velo: Dio è con te!
Otto marzo: otto volante. Donna: l’infinito svelato. E che l’otto e il tre (marzo) siano, rispettivamente, segni (e tracce) d’infinito è senz’altro emblematico. La donna è l’infinito “definito”.
Fire! Fire! Fire! Bessie la russa, Peppina e Concetta le italiane, Fannie l’ucraina. Sono solo alcune delle centoventinove ragazze morte nel rogo della camiceria Triangle Shirtwaist a New York. Era il 25 marzo 1911 (certo che il 9 e l’11 si ripetono un po’ troppo spesso nella Grande Mela – sarà il verme?). Sì, centoventinove donne fatali: queste sì femmes fatales.
E pensare che, se maschio significherebbe ‘maiuscolo’, ‘foemina’ varrebbe ‘minuscola’; più precisamente: fede minima (fides minus). Semmai, fidei munus (dono della fede). E poi le donne non hanno fede, hanno certezze
E a proposito di donne, non posso che passare il flabello (quello di Margherita Porete, la mistica. Ma il suo, come in ogni donna, è un flagello – nel senso di frusta, per flagellare, non tanto il pensiero debole, quanto i deboli di pensiero. “Siate caldi oppure freddi: ma i tiepidi li vomiterò nella Geenna.”) a un brano tratto dal mio “Gocce di pioggia a Jericoacoara”.

UBI FOEMINA-MAIOR MINUS-MACHO CESSAT

Pesanti gocce d’ardore e afrore sfiorarono le ardue tempie, rotolando, doce doce, sulle guance. Le dita, guadando sui rivi affioranti su ogni lembo di pelle, guadagnavano posizioni sulla terraferma (e sui corpi in movimento), tracciando segnature e marcando territori. Mischiati, uniti, complici: la spada di lui affilata, di nuovo nella guaina dopo volteggi solo aerei; lei, la foemina: lancia in resta.
La terra bruciava. Il vomere ricominciava a tracciare solchi, il terreno franava sotto i loro piedi. Sorgeva il sole invitto e la luna, sconfitta, impallidiva. Di nuovo albeggiava, dopo il tramonto, l’effimero, l’ossimoro con la esse blesa e la ‘o’ blasé. Nessun freno, nessuna remora, nessuna esitazione: il treno del desiderio si lanciò a fari spenti nella prima galleria.
L’universo fisico si fermò. Ma non il flusso erotico, anche eretico, in piena risorgiva, né lo slancio – élan vital – del furor fanico (fanatico e sexy: anche qui l’ossimoro sacro-profano non fa una piega).
Il monte (di Venere) franò, preso dal panico. Prima brividi a briciole, poi tremiti a valanga: la passione prese a correre nuda sopra (e sotto) i corpi, scavalcando ogni ostacolo, scivolandoci sotto (e sopra). Come sopra così sotto. Anche dietro (l’angolo). Ma sempre in avanscoperta (e sottocoperta).
“L’albero m’è penetrato nelle mani, la sua linfa m’è ascesa nelle braccia. L’albero m’è cresciuto nel seno profondo, i rami spuntano da me come braccia.” Sorrisi, gocce, origami. I rivi si fecero torrenti, poi fiumi, infine laghi, ma sempre tempestosi. Alla Ezra Pound. Cime tempestose, valli fiorite. Eros gentile. Fior da fiore, le sinapsi del circuito dell’Eros (esisteranno pure?) si moltiplicavano indefinitamente, creando nuovi circuiti primari e secondari, by-pass e collegamenti volanti. Senza rispettare regole e norme: a rischio di black-out.
Pensiero stupendo. Nasce un poco strisciando. Si potrebbe trattare di bisogno d’amore. Meglio non dire… La stanza s’illuminò di botto: tante lucciole (vere o virtuali) avevano invaso l’ambiente, sia pur chiuso, moltiplicando i lux. In un fiat. Una voce sottile, quasi di silenzio, lambiva le pareti. Come paracadutata dal cielo. Le carezzava, vellicava, titillava, permeandole e spremendo bolle e bollicine, togliendo i punti neri e disincagliando pori occlusi da troppo tempo, per poi affacciarsi timidamente nella camera e fondersi, ossimoricamente, coi fiati di lui e di lei.
“Questi amanti incorporei s’incontrarono, un cielo nello sguardo, cielo dei cieli a ognuno il privilegio di contemplare gli occhi dell’altro.” Prima Ivan Segreto, poi Kazu Matsui, ora Mark Almond a farli veleggiare sulla spuma del suo Cruising. E i versi della Dickinson, onde sempre più spumose, ma vieppiù dolci, nu babà…
“Vi furono mai Nozze come queste? Un Paradiso li ospitava. E Cherubini e Serafini furono i rispettosi invitati.” La costa era vicina. Il suono delle sirene del porto (delle nebbie) li invitava ad approdare. Le vele ammainate, i remi in barca, i sensi nella stiva. Ma il canto di altre sirene, flautato, dolce, invitante, ludico, innocentemente lubrico, iniziò a pervadere la stanza.
E tu ancora. E noi ancora. E le donne: sempre.