sabato 10 dicembre 2022

                

                  CHRISTMAS SONG

Maschere, incenso e mirra

Ventuno dicembre: solstizio d’inverno. Ventuno grammi: il peso dell’anima.

“... se la psiche è l'anima, e l'anima è il mondo della nostra esperienza, come sostiene Aristotele, essa ci fa paura. Non ne vogliamo troppa o troppe varietà. La vogliamo ridotta a percezione e a immaginazione terrene, niente sogni a colori.” (R. D. Laing).

Anima disanimata, parole senz’anima. Questo spesso è lo ‘spirito’ del Natale, il Sole che nasce nella notte (dellanima). Gesù, il solstizio (spirituale) d'inverno...

Ma il Natale può essere altro, e ‘oltre’: anche ultra (o ultrà). L’importante è che dietro lo specchio delle parole ci sia un’anima. Meglio, anima e sangue.

Venticinque dicembre: Natale. Sì, bloody Christmas (anche un po’ blue & green).

Natale rosso vitale: anche Babbo Natale si è tinto di rosso (molti anni fa era verde): che sotto sotto non sia anche lui un ultrà? Carne e sangue: non solo “sangue dei vinti” (sconfitti nella lotta dell’esistenza), ma sangue dei vincitori.

Natale al sangue (non ‘esangue’). Sang real. Nell’attesa dell’instaurazione (o restaurazione), dopo tanta retorica, del modello di uomo e donna ‘persuasi’, come direbbe Michelstaedter, il filosofo forever young (morto, da sé, troppo giovane). 

La ‘persuasione’ dell’individuo autentico, cioè realizzato, vs la ‘retorica’ dell’individuo diviso (inautentico).

Il vero Natale: la nascita di Cristo dentro di sé. Dall’”uomo a una dimensione”, per dirla con Marcuse, a quello a tre dimensioni. Dall’Io diviso all’Io unificato (Ronald D. Laing). Pensiero diversificato vs bispensiero ‘unico’. E last but not least, un Natale eclar, cristico e solare, vs il Natale d’accatto e d’achat.

In sintesi (senza psicanalisi, con un po’ di psicosintesi), una modalità di vita ‘vera’, pregna di senso e di valore, vs la falsità, la banalità, la massificazione. Kultur vs Zivilisation.

Un Natale moderno e antico vs il vivere pseudo-moderno basato sulla platitude e sulla piattezza pseudo-esuberante del consumismo mordi e fuggi dei tanti bipedi intubati su SUV gasati, impupazzati e imbolsiti, con l’immancabile protesi-cellulare incollata a orecchie sempre più insordite.

«Il deserto cresce... guai a chi cela deserti dentro di sé!» (Nietzsche)

Io, nel frattempo, continuo a mirare (al)le stelle... Fatto è che, tra white merry Christmas e Barry White (e non solo: Alicia Keys e Sade scalpitano), sto in souplesse da paresse natalizia.

La neve m’imbianca (virtualmente), ma non mi sbianca, né mi sbanca (un po’ mi svampa). Sono però più sbilanciato verso la saudade; se non Café del mar o Malibu, almeno la mia Jericoacora: di lì pesco la solita perla (i pascoli oceanici sono ancora fruttuosi…).

Blue in green. Kind of blue. L’atmosfera si fece rosé. Fuori, buio assoluto (la luna dormiva, le stelle erano in libera uscita). A frotte sciamarono dalla discoteca, danzando, cantando, urlando (eppure sembrava s’udisse solo un sottile suono di silenzio). Si sparsero nelle strade, corsero sui muri, scivolarono sui tetti… A piedi, in bici, in moto (le macchine, appiedate). Cristo e l’arte della manutenzione dell’anima.

Tutti furono toccati. Soprattutto, i cuori. L’aria fu tutta impregnata, saturata, ossigenata. Cominciò a piovere. Diluvio universale (per il momento solo un inizio di piovasco estivo. Ma quante nuvole all’orizzonte!). Nessuna sirena nella notte, solo musica e danze. Preparate il vitello grasso (anche solo un’insalatona).

Il cielo s’illuminò. Solo un lampo. Eclar. I lampioni, più luminosi del solito. La luna si affacciò al verone (ma Firenze continuava a dormire). Le stelle si precipitarono sotto di lei (non tutte: Florence sogna e c’era chi sognava con lei. Anche chi flirtava all’ombra dei portici – del cielo).

Pioggia a catinelle. Diana inciampò in un barbone (e le stelle a guardare. Anche la luna, ritrosa). Poco mancò che cadesse (il marciapiede, per di più, era scivoloso). Non si allontanò. Si avvicinò ancor più. Nessuno la trattenne. Volle dargli un po’ d’amore. Ma si limitò a carezzarlo con affetto, carità. S’inginocchiò, lo guardò negli occhi. Pianse. Lui sorrise. I suoi denti erano più bianchi delle perle.

(dal finale di Gocce di pioggia a Jericoacoara).

 E che le gocce di pioggia possano divenire un acquazzone di benedizioni, spirituali e materiali (a matrioska), per tutti voi!

lunedì 14 novembre 2022

FIRE FROM HEAVEN

               FIRE FROM HEAVEN

 

Ormai nella stanza pioveva a dirotto. Julim schivò la sciabolata di Arianna e continuò a cavalcare l’onda (pentecostale).

     «Ma non basta quello che ti ho detto (per inciso, condivido le tue affermazioni). Che il fenomeno sia ‘fenomenale’ se ne è accorto pure Cox, il teologo d’assalto della ‘nuova frontiera’ kennediana. Sì, Harvey Cox, il maggior rappresentante della Teologia della Secolarizzazione. Forse tu non lo conosci, ma è ben noto anche in ambito filosofico, specie con il suo “The Secular City. Secularization and Urbanization in Theological Perspective”, del ’65, uno dei testi più originali e brillanti della teologia (con riflessi nella filosofia e sociologia) del ‘900.» 

      «Ma qual è la sorpresa? – Julim anticipò, di un soffio, Arianna – Enorme: il Cox, nel ’95, ha pubblicato “Fire from Heaven: the Rise of Pentecostal Spirituality and the Reshaping of Religion in the Twenty-first Century”. Ossia: Fuoco dal Cielo: il Sorgere della Spiritualità Pentecostale e il Riconfigurarsi della Religione nel XXI Secolo. (Julim non sapeva – o se n’era dimenticato, preso dal fuoco consumante – che Arianna, thanks to mama Courtney, era bilingue, anzi, per motivi tangenti e contingenti, bazzicava un po’ di francese, spagnolo e, manco a dirlo, portoghese in versione carioca). Sì. un vero e proprio tributo al pentecostalismo, quanto quello degli anni ’60 era stato l’esatto opposto. Basta dare la scorsa a un paio di citazioni dalla Città Secolare: “Come dice Bonhoeffer, Dio, in Gesù, vuol insegnare all’uomo a fare a meno di Lui, a diventare adulto, libero da dipendenze infantili, pienamente umano”; o ancora: “... la parola ‘Dio’ dovrà morire, confermando così il giudizio apocalittico di Nietzsche, secondo cui ‘Dio è morto’.’’ Ma ecco l’ultimo Cox parlare del pentecostalismo come di: “fuoco spirituale che ha infiammato tutto il mondo, toccando centinaia di milioni di persone col suo calore e la sua potenza.” Di più: “un uragano spirituale che ha già toccato quasi mezzo miliardo di persone, una visione alternativa del futuro dell’umanità il cui impatto è, ancora e solo, ai primi stadi.Wow… i pentecostali possono esultare: hanno ricevuto il riconoscimento ufficiale, non solo di Dio, ma anche dell’’alta teologia’ (il che non è male...).» 

     Alta marea. Julim parlava come se Arianna fosse una cristiana ‘rinata’ (ma lei era ancora al sesto mese…).

     Sempre più in alto mare, il gringo: «Interessanti poi le osservazioni di Cox (che, peraltro, non si definisce pentecostale: è, infatti, battista), quando parla del pentecostalismo come della spiritualità ‘primaria’, originaria, o allorché riconosce nel ‘parlare in lingue’ la “trasformazione, per l’amore di Dio, del linguaggio umano, inadeguato e corrotto, in una lingua di angeli.” Ma non si ferma qui il nostro, parla apertamente dell’esperienza pentecostale come di un “incontro ‘speciale’ con lo Spirito Santo”. Sì, anche nei cuori ‘duri’ degli uomini di cultura cominciano a manifestarsi crepe sotto i ‘fendenti’ dello Spirito. D’altronde, anche un altro teologo di ‘frontiera’, l’ancor più noto Paul Tillich (nient’affatto pentecostale), non diceva forse che “fuori della fede non ci può essere speranza né salvezza vera”? E che “la Presenza spirituale – lo Spirito Santo – vivifica perennemente la vita”? Quel Tillich che, dulcis in fundo, con profonda cognizione di causa, osservava: “Dio risponde all’uomo in base alla sua domanda e la domanda dell’uomo è condizionata dall’aspettativa della risposta da parte di Dio.” Questo è il noto ‘principio di correlazione’ di Tillich. Come dire: l’uomo, se è fiducioso della risposta di Dio, pone il Signore nelle condizioni (in un certo senso) di rispondere affermativamente. Quasi quasi lo costringe… È un principio-guida, forte (e discusso), del pentecostalismo più radicale (in cui la fede è certezza assoluta), ma vicinissimo (ci risiamo) a tanti esiti della mistica medievale (Eckhart, uno per tutti) e post-rinascimentale (Angelo Silesio).» 

     (Silesio. Angelo sì, ma Tomás le aveva porto il volto luciferino…)

     «Un’ultima ‘provocazione’: Cox ribadisce (cosa che molti pentecostali hanno dimenticato...) che: “il Pentecostalismo rappresenta una montagna che guarda dall’alto i confini delle singole denominazioni.” E, aggiungo io, non solo la spiritualità pentecostale trascende questi limiti umani (troppo umani...), ma supera le grette separazioni (sottomissioni, in definitiva) di genere, di razza, di classe sociale, vanamente giustificate da parziali, miopi e strabiche letture bibliche. E infatti, come adempimento della profezia di Gioele e di Atti 2,17-18 (“...spanderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno...”), nella chiesa ‘primitiva’ di Azusa Street, a Los Angeles (in questo caso, città degli ‘angeli guida’, non più dei lost angels), c’era, sintetizzato, il fior fiore dell’oecumene cristiana. E non solo fedeli provenienti da varie confessioni e denominazioni, ma tra i dodici della ‘dirigenza’ spirituale (e materiale) c’erano sette donne e tre neri (un’assurdità per quei tempi; e oggi?). Una chiesa ecumenica (e democratica) ante litteram!» 

 

     Il risvolto black e woman sbloccò definitivamente Arianna. Ruppe le barriere, transgender. E Julim diede l’ultima pennellata alla tela. Alla Basquiat.

     «Ma dobbiamo andare oltre, trasgredire le frontiere… E riempire di graffiti i muri bianchi, o grigi, del cristianesimo. La mission? Fare dell’Era Pentecostale l’età dell’oro tanto agognata da ogni dove, e in ogni ora. L’Età dello Spirito Santo, l’auspicio profetico di Gioacchino da Fiore. L’Era Pentecostale, la Pentecostage. Meno Kali Yuga più Orso Yoghi…»

     La testa pelosa di Julim (dalla folta chioma riccioluta) rispuntò a fior d’acqua dopo il mal riuscito tuffo a pesce. Dopo il piranha, il pesce-pilota.

     «Diamo tutto lo spazio alla libertà dello spirito, ma non trascuriamo la ‘carne’. Carne e sangue non erediteranno il regno dei Cieli, perché è qui, sulla terra, e della terra, che debbono ‘acquisire’ la proprietà! Se Dio ha dato a un uomo ricchezze e tesori, e gli ha dato potere di goderne, di prenderne la sua parte e gioire della sua fatica, è questo un dono di Dio! Se possiamo forse ritrovare motivi di tipo sciamanico nel pentecostalismo, tanto che in alcuni suoi aspetti le ‘manifestazioni’ pentecostali e carismatiche – una sorta di ‘misticismo pratico-estatico- democratico’ – potrebbero essere definite “rivalutazioni di antichi motivi sciamanici, integrati in un sistema di teologia ascetica dove il loro contenuto ha subito una radicale modificazione” (Mircea Eliade sostiene questo riguardo a riti di tipo sciamanico rinvenibili in molte culture e religioni), dobbiamo, in ogni caso, rivalutare e rivendicare l’appartenenza alla terra. Occorre rifondare il cristianesimo: a te, Arianna, tocca un ruolo di primo piano, da primadonna. Non da velina, eppure toglierai i veli… Profana, fuori dal tempio, ma nel tempo. Nel mondo, fuori dalla religione, ma col fuoco rubato al cielo. I violenti s’impadroniscono del regno dei cieli… Sì, gli audaci! Morte di Dio come morte dell’immagine tradizionale di Dio e della religione. Eppure, se non siamo fatti da Dio, siamo fatti di Dio… (o siamo solo ‘fatti’, avrebbe pensato Arianna in altri tempi). Ma tu andrai oltre Nietzsche, porterai una speranza nuova, veramente nuova. Terra e Cielo si ameranno senza più nascondersi, alla luce del sole. Dio è morto come Dio statico, ma è vivo come Dio dialettico, dinamico, dionisiaco (ma pur sempre apollineo). Le virtù pagane trasfuse e trasfigurate dalle virtù cristiane… (parlava proprio come Lorenzo quando il suo vecchio Odino s’incontrava col pischello Gesù – ‘pesce pilota’). Ed è stato proprio Gesù Cristo, sceso dal trono per prendere il treno della vita, ad annunziare, con la sua morte (e la sua vita – uso qui la minuscola per rafforzare il concetto), la morte di Dio – riprendo concetti di Altizer e degli altri teologi della ‘morte di Dio’. Ma ci ha lasciato, in cambio, lo Spirito, la dinamica della nuova vita. Il futuro prossimo, alla Gioacchino da Fiore (fior da fiore), vedrà il profano confluire nel sacro e il sacro nel profano. Cielo e terra si abbracceranno, non saranno più ostili.»  

     Julim la guardò intensamente, con uno sguardo lievemente corrucciato, poi scoppiò a ridere.

     «Stammi ad ascoltare, buttati sui libri, scegliti i maestri che vuoi, ma stattene a debita distanza…» 

     Arianna allora comprese. Tomás e Julim si erano congiunti, baciati, abbracciati. Ai due, l’imperfezione (malgré Julim), si era aggiunto Lorenzo, il primo. Il triangolo si era formato, aperto allo spazio. Il messaggio era confermato: lei era predestinata.

 

(tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara)

 


 

martedì 27 settembre 2022

TIME PASSES BY

TIME PASSES BY

U gotta let me know. La musica soul aleggia nel bar cool e nei miei pensieri, un po’ da squinzia-allegra, ballano le prugne secche: «Non si dice fico?», balbettò, «Com’è che si dice? Tosto? Ganzo? Giusto?» Tosto. Il suo problema era pensare che si dicesse tosto. Aspetto prima di rispondere (sono lento quando il rock tira – non seguo il vento) e in quei pochi nano-secondi, per ricaricarmi, rivivo con accidiosa eulogica lentezza le fasi del prima e dopo (l’incontro) – quelle di mezzo le ho già ingoiate, compreso il nocciolo.

    Scorrono impalpabili i nano-secondi e veloci sull’ellecidì veleggiante si rincorrono implacabili i video-clip, sempre più glamour e amour: sono di nuovo un gigante (ma lo sono sempre – faccio passi da gigante, alla Tony Robbins – quando calco la tastiera del computer, sfilando sui tacchi a stilo come la mannequin del mio book):

     ”Lei continua a camminare. Arriva in fondo alla passerella e fa una giravolta per far ruotare la gonna e mostrare il plissé. Va giù per il ramo della T, gira sui tacchi e si incammina lungo l’altro. Quando è quasi davanti a te, si gira e ti guarda. Uno sguardo che potrebbe esprimere sia odio che indifferenza. Vorresti chiederle la spiegazione. Lei si gira di nuovo e torna sui suoi passi, giù per la passerella, come se niente fosse successo. Chiunque sia, è una vera professionista, Chiunque sia, tu non la conosci.” Ma lui la conosceva bene. La memoria prolungata di ’Le mille luci di New York’, di Jay McInerney, il minimal (quello della cometa di polvere bianca), adattata alle circostanze e al luogo, lo accompagnò fin dall’inizio del pontile…

 

    Scendo dal pontile della mia imagery sempre on. Appartengo alla Non Generation” – No Logo? No, the beat goes on. Sto al massimo (qualche cotta?). La sabbia scotta, scelgo la terra battuta, anche se più coatta.

Scotta anche questa. You gotta? Mi butto sul pavimento. Mi rialzo. Up and down. Tutto il locale mi gira intorno… Dormi bambina addormentata per il tuo bel sogno sognar. Nel tuo letto addormentata comincerai a navigar.

    Approdo, poi ricomincio a navigare, cado in acqua, affogo… Ritorno a galla. Sono tutto confuso. Dazed and confused. Devo fare qualcosa. Devo trovare un punto di appoggio, un centro di gravità (anche provvisorio). Trovo solo curve… e per distrarmi la guardo negli occhi.

    Odio chi non sa guardarmi. Odio chi mi guarda in faccia ma non ha occhi per vedere. Odio la planitude… Salgo sulle vette (non ne ho esperienza, tranne che da Maslow e gli altri miei compagni di rêverie, anche camerati). Pianto la mia bandiera sulla cima, in the wild (oltre che in the cut). Qualcosa si stacca: tutta la passione congelata nel freezer del mio passato (l’era glaciale – time passes by), disciolta nella chill-out room del passato anteriore (gli ultimi tre mesi d’improvvisa bulimia creativa – senza rigetti), si riversa su di lei. Mai il lontano è stato così vicino. In & out.

     Chi era quella ragazza così out? Una neo-esistenzialista post-histoire in vacanza single? Cascami di New Age tra barlumi di Next Age? Scampoli del Grande Fratello? Una velina in uscita libera? Una sciampista, una stagista, una staffista? Una veltroniana free-lance? Il cervello di Lorenzo fumava nell’acqua diaccia.

 

    Chi è? La guardo, il suo sguardo mi cattura, sprofondo… Angelo biondo, angelo tentatore di algida bellezza. Thule… che belva! Donna di inaudita audacia. Non parlo. Ho bisogno di ascoltare. Lei pure. Solo silenzi. L’eco di suoni assenti. E assetati. Cerco la fonte. Trovo un passaggio. Prima rettilineo, poi curvo, poi ellittico (cerco l’élite, ma dello Spirito). Sbando. Lei mi riporta in carreggiata.

    Long way 2 go (sempre lei, Cassie: la cat-girl mi tira – e la mia kulturkampf? In stand-by). La stimmung è troppo carica (a quando le stimmate?). Freno, accosto, scendo, scivolo sul marciapiede. Lascio la realtà al suo destino. Weltanschauung. Un crescendo di sensazioni, orgasmiche, orgoniche: “Vento d’origine, collirio per occhi nuovi, giardino di delizie, delirium tremens. Tuareg in un deserto di valori…” E discendendo: Il talamo li accolse a lenzuola aperte. Tra deliri ascendenti e dolori discendenti, solstizi ed equinozi. Amanti lontani, ora vicini. Mai distanti.” Meglio sognare…

    Improvviso i primi accordi. Il sogno è uscito allo scoperto, un flusso di luce meridiana gli si frange contro, lo sfrangia, lo scinde in mille brani, lo sbrana e io m’imbrano. Ne esco a brandelli, ma almeno ricordo. Metto a fuoco, accordo le note stonate (ma sono quelle che mi hanno dato l’intonazione giusta): il piccì, la mia dreaming machine, ha partorito una bella bambina. Cresciuta (fin troppo, come la Diana del mio long-size book). Deleuze, ci manchi solo tu!

 

Tratto dall’inedito Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo?

 


 

giovedì 22 settembre 2022

BED AND BREAKFAST

                                     

          BED AND BREAKFAST

 

Il computer è il mio specchio (ma solo da quando scrivo: cento colpi di penna…). Riflette le mie parole (quelle bianche), assorbe quelle nere. E le conserva sotto vetro. Custodisce i miei segreti, anche l’assenzio delle parole assenti e dei silenzi presenti (che decodifica, reinterpreta, glossa – qualche volta glissa. Ma attenti al veleno…). Miele e glassa, il piccì sfama il mio ingordo spirito appetitivo, gonfia il mio fiume diluviale, sollecita solletica la mia gradiente cerca di fama. Alimenta la fiamma, enfia il rio in piena, dà fiato alle amazzoni, ne scapezzola il ridondante turgore. E pensare che il computer non m’infiamma…

M’infuoca, però, la parola. La parola creatrice, non quella creata, il fiat non il flatus vocis. Sono un avec-papier (specie ora che il mio avatar mi ha preso in capite et membris). A rischio di espulsione (ed esplosione). Estradato dalla massa, immesso nella scia delle future miriadi – ma da monade (al massimo, una diade, un’ambra driade.– la triade teniamola in stand-by; quanto al monaco, un po’ monco, ultimamente, lo ero. Ma preferisco la quarta via). Non sono più solo… Qualcuno si è affacciato! Estraggo dal computer la busta, la disuggello, trovo il sigillo…

Spacchetto e sbuca la perla. Unica. La metto in bocca, la umetto, non la mastico. Rimastico nella mente: ogni libro è un fatto – drammatico, conflittuale, polemico. Ogni sua parola insensibile è un flocculo sedimentato di quotidiana routinaria sopravvivenza. E le sue parole sensibili? Morule, embrioni di future miriadi, angeli sparsi in cerca di paradisi possibili. Nel loro mesto affanno, nella loro cronica temporalità, le parole insensibili sono una giustificazione del dato modesto, l’unico risultato della propria esistenza; lì dove le parole sensibili, le perle, nella loro acronica intemporalità, luccicano, brillano, mirano (al)l’ignoto, (al)l’inconoscibile, al segreto da svelare e al tesoro della vita eroica da conquistare o a cui tendere (fosse pure solo un miraggio).    

“Chi non mira le stelle si perde nella storia.” È vicino il meriggio. Sì, il viaggio con e nel libro ha ridato fiato e speranza alla mia vita: man mano che lo scrivevo mi trasformavo, quando lo rileggevo mi rigeneravo (e la nietzscheana-daviliana a farmi da angelo vigilante – e poi è lei che mi guida fin dietro l’angolo…). Ero in viaggio con l’angelo (e il diavolo? Roso dalla gelosia. Anche un po’ rosso).         

“Audacia mai veduta, scempio mai veduto. Sangue giovane e sangue nobile, rosee guance e bei corpi. Vigore mai veduto, sincerità mai veduta. Disinganni mai detti in passato.” Il magical mystery tour mi rendeva sempre più audace, mi ringiovaniva, body and soul. E lo spirito? Imponderabile (alato, alla Pound). Bed and breakfast.

“Per farcela a mettere le zampe su questo e su altri libri di uguale interesse che il padre custodiva in uno scaffale del suo studio – continuò – lui doveva appunto aspettare la notte, in genere, quando in casa tutti dormivano, avendo cura, dopo, di rimettere ogni cosa a posto. (…) In ogni caso – soggiunse, alzando una mano a prevenire eventuali proteste da parte mia –, in ogni caso Afrodite del Louys i libri sopraelencati li batteva tutti quanti.”  Avevo letto qualcosa pure di Bassani – sono trasversale ma punto verso l’alto. Io minimalista? Sì, talvolta, ma non ridotto ai minimi termini. Mi allargo, contengo moltitudini”. Quanto alle ‘legioni’, le affogo…

mercoledì 10 agosto 2022

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZO AGOSTO (remix)

 

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZO AGOSTO

(remix)

 

Una nave da crociera buca il silenzio della notte. La ‘baia del gabbiano’ l’approdo. Qualcuno scende. Poi la nave scompare. Nessun rumore, prima e dopo. Nel mezzo uno strappo: dalla trama esce l’anima, finemente intessuta, di nero striata. Si stira, tira fuori le unghie, inizia a graffiare.

Sfioro l’urlo ma mi rinserro. È lei a graffiarmi, la notte mi fa solo il solletico. È il suo orlo che mi tocca. Diana il nome (le sue labbra mi abbordano, mi vellicano – e non ho il vello). Pelle nuda, schietta, schiva, velvet underground. Sotto, audace, palpita il cuore (il suo – i miei muscoli di contorno). Amore che squassa l’anima.

“Se qualche poco di luce da lontano mi viene, è da te Jonio gentile, che le muse riconduci ai lidi degli Dei: fra l’uva e l’uliva Eros ancora versa vino agile e resina…” La sabbia infreddolita aggredisce le calde membra roride di sale e d’ambra (forse, d’ambrosia). Mi aggrappo al carro (del perdente). Catullo, Saffo? Di loro il soffio. 

E il carme? Scarmigliante sospiro di Raffaele Carrieri, bollente fiumano dei due mari, smagliante parigino-meneghino d’antan, sciabordato via in sciaraballe dalla molle Tarentum, bella ma tuttora imballata. E non sono balle. Bollicine…

 

Eros che scioglie le membra. S’allunga il cono d’ombra. Il mare: un lago di champagne (e le bollicine? Imperlano la sabbia nostra compagna). 

Sciaborda l’acqua, sfugge al laccio della luna. “Eccola, eccola là, eccola là, la Luna… C’era la Luna! La Luna!” (e le stelle? Una, nessuna, centomila…). Selene, cameratesca, sfoggia allegra il suo abito da sera, lungo. La coda del suo candore raggiunge i nostri corpi, ne sbianca le bronzee finiture, aggiunge loro bianche vampate di energia, vitalità, salus. Immacolata tra le stelle riposa discosta la sua casta veste da camera. Tutto gronda, tutto pulsa. In tutto un impulso. Bollicine, lucori, turgori, luccicanze lunari. Love goes on.

 

    Il getto d’acqua tiepida cominciò a distribuirsi generosamente ed equamente su dossi e curve. Scivolò, quindi, fin nelle cunette, non disdegnando le superfici piane (poche) e le valli fiorite. Toccò poi il fondo rugoso, deviando all’improvviso verso l’omphalos, per scomparire infine negli abissi. Acqua a fiotti, frettolosa, per masse fluttuanti. Acqua nei fiordi. Per Fiordaliso.

Flos de floribus, le pareti translucide, sia pur riottose, non poterono evitare il contatto bagnato che ne imperlava la superficie interna. E lo scontato scontro con le masse oscillanti. Anzi, queste parevano godere della situazione. E per ricambiare la cortesia, furono ben liete di fornire un esile ma volenteroso sostegno ai volumi dinamizzati. Diritti, flessi, combacianti, intricati. 

Il segreto e l’ignoto. Spazzolati. Cento colpi. Uno più, uno meno. Corpi scolpiti. Ben torniti. Vincolati, slegati, vincenti. Persi, costretti nel piccolo ambito, ma incuranti del contorno. Vibranti oltre i limiti di sicurezza (e della decenza). Bastevoli a se stessi, ma in procinto di tracimare.

Silenzio prima di uscire, silenzio prima di entrare. In mezzo, una cascata di suoni. Il contatto delle masse e delle superfici, il fluire e il rifluire dell’acqua corrente, il perlage, l’aria vintage, il parlottio sincopato, quasi dopato. Forse metalinguistico. Tutto parlava. Tutto taceva nell’infittirsi dei suoni. E dei movimenti. Iniziali, al climax, finali. E al calare del sipario, ecco subentrare l’uscita trionfante dalla cabina della doccia e l’ingresso sottotono negli accappatoi impazienti…

 

Ti svegli in spiaggia. C’eravamo solo noi in spiaggia. Con un legno Tyler ha segnato una linea dritta nella sabbia lunga qualche metro. M’illumino d’immenso, m’immergo nel venereo grembo, galleggio. Emergo, sfioro i margini, solco il pelago ondoso, beccheggio.

S’acquieta… Le stringo i polsi, lei mi s’incatena al petto. Unchain my heart. Rullano i tamburi. Il mare risponde. Tutto nell’universo risplende...

L’orizzonte si espande. Segnali di fumo. Smoke gets in your eyes sfuma nell’aria sempre più velvetizzata. Echeggia lontano, beccheggia vicino (si raggomitola nell’anima, fa le fusa). Musica ancestrale per giovanili ardori (gli anni ottanta sono alla brina, ma vibrano ancora, trepidanti, mai tiepidi). Lucore di coltelli.  

Light mi fire. Una musica metallica risale in superficie, si sgomitola e fila via dal pelago dormiente. Sfibra in jazz fusion, nevrilmente vibratile, febbrilmente volatile. Sfiora l’ossimoro, poi ci marcia, immarcescibile: Miles Davis, John Coltrane, Marcus Miller (e nel frattempo nel salon avanza a passi felpati My first love di Avant, un altro cantore cool. Che ci posso fare… sarò eretico, anche un po’ criptico, ma Diana mi è compagna al duol, cameratescamente).

Inertia creeps. La musica si sgomitola dalla navetta (ha preso il posto della nave da crociera) e solca agile i navigli dei ricordi, ormai fumosi, mai famosi (se non nelle segrete dell’eternità). Massive attack. Fumigante, ribelle, marziale.

Poi la marcia trip-hop rallenta, s’illanguidisce… Kind of blue: l’onda sonora abbraccia la fredda sabbia, scivola sulle calde dune, rotola come stuoia sotto i nostri corpi strepitanti. Come tapis roulant scorre sotto le anime sfrigolanti: tarpa le ali all’attimo fuggente…

 

(dal mio inedito Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo?)