martedì 28 febbraio 2017

VERBA VOLANT (E VOLUNT). LA PAROLA COME AGENTE DEL CAMBIAMENTO



VERBA VOLANT (E VOLUNT).
LA PAROLA COME AGENTE DEL CAMBIAMENTO

Oggi posto, in anteprima, un mio articolo preparato per IRBUK e che dovrebbe uscire a breve (anzi, sarebbe già dovuto uscire). Ma, siccome voi siete lettori speciali, ve lo anticipo.
Naturalmente continuerò con i miei post di attualità (tra fake news e post-verità), ma li alternerò con post riguardanti il “miglioramento personale”. Anche perché se pensi meglio vivi meglio e incidi di più sulla realtà.
E siccome le parole sono importanti in questo contesto di empowerment personale (e questo vuole essere un blog di riferimento per ogni tipo di empowerment, e contro ogni potere), eccovi un articolo ad hoc.

«Le parole dei sapienti sono come delle frecce, come dei chiodi ben piantati…»
 (Qoèlet, nell’Antico Testamento).

Costruire ponti e non muri.

Suona la parola la malvestita realtà…
Pensaci bene: quante volte le tue parole, che pure avrebbero meritato un ascolto attento e partecipe, sono scivolate via come acqua sul vetro. Quante volte sei rimasto inascoltato, quante volte hai parlato al vento?
Per dirla in musica: parole parole parole… Fiumi di parole, fiumi di parole, prima o poi ci portano via…
Le parole: molte volte sono solo “fumus”; altre volte scorrono a fiume: ti travolgono ma non ti sconvolgono (nel bene e nel male). Può, talvolta, però accadere che una certa parola ti tocchi, penetri in te, si fissi nell’anima come un chiodo ben piantato, faccia breccia nel tuo cuore e ti cambi la vita.
Queste sono le parole dei “sapienti”.
E con questo arriviamo al punto: le parole vestono (o svestono) la realtà – la parola, quando è articolata in modo sapiente, è in grado di creare o trasformare la realtà.
Nel mio primo articolo (http://irbuk.com/chiamale-se-vuoi-emozioni/) ho parlato di emozioni, nel secondo di coaching (http://irbuk.com/dal-coaching-a-una-dimensione-al-coaching-olistico-e-transpersonale/).
Rimanendo sulla stessa lunghezza d’onda, si potrebbe dire che le parole, non solo agiscono sulle emozioni, ma possono anche “guidarle”: un leader può “manovrare”, nel bene e nel male, i suoi seguaci, e non solo, mediante l’uso strategico della parola (non solo cosa dice, ma, soprattutto, come lo dice).
Ma questo vale in generale: una parola efficace può suscitare interesse nell’interlocutore e far sorgere in lui una reazione immediata e sincera – può interessarlo ed emozionarlo.
Si stabilisce, così, un dialogo che mette in sintonia le due persone: la parola diventa un ponte (dia-logos) gettato tra due sponde, due realtà, due mondi, i quali tendono ad avvicinarsi, a collaborare, arricchendosi reciprocamente.
La parola abbatte i “muri”, oppure li “colora” (le parole possono abbellire come dei murales), li scavalca, li sottopassa… Qualche volta ci sbatte contro.

L’uomo come essere parlante

L’uomo è l’essere parlante.
“Parlessere”: così lo psichiatra e filosofo francese Jacques Lacan definiva l’intrinseca inscindibilità tra uomo e linguaggio – uomo e parola sono un tutt’uno.
Infatti, il linguaggio, più che acquisito e costruito con lo studio e l’esperienza, si configura come una “rete” che permea l’uomo sin già prima della nascita: secondo Lacan non è l’uomo che “parla un linguaggio”, ma è “il linguaggio che parla l’uomo”.
Il linguaggio non è, quindi, solo un semplice mezzo di comunicazione, ma è una struttura da cui l’uomo dipende e dalla quale è determinato.
Per dirla nei termini della “linguistica strutturale”, il linguaggio – la langue (la lingua “sociale”, astratta) – si fa parole (lingua “individuale”, concreta) e la parole si fa atto, tant’è che, in ambito socio-linguistico, si parla di “atto linguistico” (speech act).
In pratica, tutto è nella parola: «nessuna cosa è dove la parola manca» (Heidegger – citazione tratta dalla poesia Das Wort di Stefan George).

La parola: nomen omen

La parola “nomina” le cose, le contrassegna, le crea. Basta la parola…
La parola: “suono su una faccia, e pensiero sull’altra”. Parola coessenziale all’azione. Parola in movimento, in divenire, in estasi. Parola in cammino, parola attiva, dinamica, scoppiettante: più che “parola”, è “verbo”, azione che attende una re-azione.
Parola che grida quando più tace. Parola che canta, sussurra, piange. Nella parola balugina la spiritualità dell’anima. E questa si fa corpo. Per accoppiarsi e poi scoppiare. È la parola che dà sostanza, essere, alla “res”, alla cosa: la parola può diventare realtà.
Ho giocato con le parole… L’importante è che, oltre a sbloccare il “cervello destro” (l’emisfero cerebrale “creativo”, in genere sonnecchiante), le parole incidano nella realtà, siano delle frecce e delle spade taglienti, non solo spilli per inc… mosche (per dirla, crudamente, con Céline, scrittore senza peli sulla lingua).
Jung, il contraltare di Freud, parlando dell’opera di trasformazione delle cose operata dalle parole e dalla narrazione dei fatti, aggiunge:
«…le parole agiscono solo perché trasmettono un senso o un significato; in ciò consiste la loro efficacia. Ma il “senso” è qualcosa di spirituale. La si chiami pure “finzione”… Ma con una finzione noi agiamo in modo infinitamente più efficace che con preparati chimici (…) anzi agiamo perfino sul processo biochimico del corpo. Ora, sia che la finzione si produca in me sia che mi venga dall’esterno per mezzo della parola, essa può farmi sano o malato; le finzioni, le illusioni, le opinioni sono le cose più intangibili, più irreali che si possano immaginare, eppure da un punto di vista psicologico e perfino psicofisico sono le più efficaci.»
Rileggi ora con calma il brano precedente e rifletti sul senso complessivo. In ogni caso te lo riassumo, anche perché sintetizza lo spirito di questi miei articoli: le parole, se usate “strategicamente” (fosse pure con l’utilizzo di stratagemmi e finzioni verbali), sono il più potente agente di cambiamento psicofisico che si conosca…”

Le parole: men at work

Vediamo ancora come le parole possono diventare un fattore di condizionamento e cambiamento. Ti do ora alcuni esempi di uso mirato e creativo del linguaggio.
Primo esempio: «Ogni giorno noi ci troviamo a combattere tra due poli: la voce della fede e quella della sconfitta.».
Sì, la frase ha un senso, anche profondo, ma può far fatica a radicarsi nella mente e, soprattutto, nell’anima. Leggi ora in inglese (ossia nell’originale) la seconda parte della frase: … the voice of faith and the voice of defeat.
Il gioco di parole, non solo è più simpatico, ma è più efficace, più pregnante – e non è solo un gioco, ma è un fuoco… (focus, ossia attenzione, concentrazione, messa a fuoco): riesce, infatti, a imprimere più a fondo il concetto.
Secondo esempio: è senz’altro più incisiva (e probabilmente rimarrà più impressa nella memoria profonda ed entrerà nella mappa mentale), per un inglese, la frase: the sin is a “defeat”, not a “defect”, piuttosto che la sua versione italiana: il peccato è una “sconfitta”, non un “difetto”.
Abbiamo visto due esempi molto elementari di uso del linguaggio a fini, non solo ludici, ma funzionali. Comunque, non c’è niente di nuovo: in molti testi della Tradizione (nella Bibbia, per fare un solo esempio – ma ce n’è in ogni cultura) non si riesce a star dietro alle centinaia di assonanze, giochi di parole e simbolismi atti a imprimere a fondo i concetti o a svelare il “mondo che c’è dietro al mondo…”
Niente di nuovo: fatto (o misfatto) è che la lingua si va sempre più appiattendo, con riflessi e ricadute negative sulle nostre potenzialità: sembra proprio che, con il passare del tempo, l’uso dell’emisfero cerebrale destro (quello “immaginifico”) sia andato man mano scemando.
Ma non è solo questione di caduta d’immaginazione (e di uscita dall’Eden): se dimentichiamo di stupirci di fronte al mondo visibile e invisibile che ci circonda, rimarremo istupiditi…  

Parole e PNL

Abbiamo parlato di parole. Abbiamo parlato anche di immagini: e ricorda che “immaginazione” significa: in me il mago è in azione (“magh” in origine significava potente, sapiente, sacerdote: ti ricordi i “re magi”?).
Programmazione, mappe mentali e immaginazione, rappresentazioni verbali… tutto questo ci rimanda alla Programmazione Neuro-Linguistica (PNL). Questa disciplina, o metodo educativo strategico, che approfondirò in un prossimo ebook, dà infatti grande importanza alle parole.
E non solo a quelle “dette” (le rappresentazioni verbali – e la comunicazione verbale, o CV),  ma anche alla comunicazione paraverbale (le pause, i silenzi, i vari intercalare ecc.) e alla comunicazione non verbale (CNV), ossia quella trasmessa – o “comunicata” – dai canali motorio-tattile, chimico-olfattivo, visivo-cinestesico (il “linguaggio del corpo” o body language).
Non per niente John Grinder – il co-fondatore della PNL insieme a Richard Bandler – dopo essersi laureato in filosofia si appassionò alla linguistica. Così anche due tra i maggiori filosofi del ‘900: Heidegger e Wittgenstein.
Per non parlare poi di Milton Erickson e del suo famoso Milton Model, costruito strategicamente in opposizione al Metamodello (anch’esso fondato sulla parola) e basato sull’uso creativo, suggestivo (dolcemente ipnotico) e strategico delle frasi, delle congiunzioni e delle interruzioni nelle sequenze verbali.
Ed è così che, grazie anche all’uso “charmant”, fascinoso, della parola – del suo suono, del suo “canto” (carmen, charme) – e al fatto che la parola, non solo è comunicazione, informazione e relazione, ma impone un comportamento (la parola informa, forma, conforma, trasforma, deforma…), la PNL si è affermata come una delle metodologie più valide, non solo nell’ambito delle tecniche di “accrescimento del potenziale umano”, ma anche in campo psicoterapeutico (e infatti, la si può fare rientrare, a pieno titolo, tra le “terapie brevi strategiche”).
Liberandoti dai lacci di un linguaggio limitato, puoi, in questo modo, aprirti a una comunicazione più aperta ed efficace con gli altri e, soprattutto, con te stesso.
Continuando a parlare dell’uso strategico e creativo della parola, ti devo a questo punto dare una perla (sperando che non sia calpestata…): l’intreccio e l’associazione libera di suoni, giochi linguistici, ossimori, paradossi, motti di spirito, simbolismi e voli pindarici, metafore, fiabe e racconti, sono un primo passo per accedere al mondo “immaginale”, transpersonale e spirituale.
In ogni caso, senza andare così in alto, sono tutti mezzi e stratagemmi che ti aiutano ad ampliare la prospettiva e la “visione del mondo”, in quanto fanno entrare in gioco il “cervello destro”.
Grazie a questo “reset”, verrai in possesso di una griglia interpretativa diversa della realtà che ti renderà più facile raggiungere i tuoi traguardi.
E siccome l’appetito vien mangiando, ecco qui due “applicazioni”: il primo è uno scioglilingua, il secondo è più gingillante, ti farà gongolare… (anche questo è un gioco di parole: ogni esercizio del genere elimina un tuo eventuale “blocco”).  
Fuor di celia, questi giochi di parole – ti invito a crearne altri – contribuiscono all’incremento delle sinapsi: sono un ottimo “integratore” per il cervello…
Primo scioglilingua (e lubrifica-cervello):
Oggi sono un fuoco di fila: ho appena infilato (rifilato direbbero i maligni) un medi-file al miele in un blog di scrittura sopraffine; e poi, per finire, un mini-file al fiele in un forum di filosofia, a dar fiato alla Sophia Perennis (un po’ sfiatata, per non dire sviata, in questo tempo smagato: non ci sono più le fate di una fiata!).
Ancora:
Lascio il gregge e il grigio salvagente della ragion pura e m’immergo nelle bianche acque dolci della fantasia peregrina: guizzante come pesce liocorno in cerca di un’oasi di sale, gingillo il mio corpo azzurro e sfarfalleggio le pinne rosa tra i suoni ondeggianti, galleggiando, adagiato sull’onda vaga, tra le setose parole fluttuanti.

L’ultima parola

Bene, ti ho introdotto al magico mondo della parola “creatrice”: fiat lux.
Vorrei chiudere e sintetizzare questo post con una citazione “favolistica”: nel romanzo di Lewis Carrol “Alice nel paese delle meraviglie” c’è una conversazione illuminante tra Alice, che si è persa nel bosco, e lo Stregatto:
«Vuoi dirmi, per favore, che strada devo prendere per andare via da qui?»
Il gatto sorride ad Alice e le risponde:
«Dipende da dove vuoi andare: dove vuoi arrivare?»
«Non saprei… purché riesca ad andarmene via da qui!»
«Beh, allora poco importa che strada prendi…»
Andare via, andare verso… (quo vadis? o per essere più “di pancia”: quo vado?): si tratta dei cosiddetti Metaprogrammi, di cui parlerò, insieme al Metamodello e al Milton Model, nel prossimo articolo.
E tu, quo vadis?





venerdì 24 febbraio 2017

Pop -up. Fermate il mondo, voglio salire


POP-UP
Fermate il mondo, voglio salire

Oggi un pit-stop. E in attesa di un controllo alle gomme (un po’ sgonfie, per cui corro ai ripari), qualche pensiero tratto dai miei post su Facebook (“libro delle facce” o “alla faccia dei libri”: ma io ci metto la faccia e “libreggio” – mi libro con i libri; più che altro citazioni, eccitate o sognanti, anche autoreferenziali).
Tu dirai: che fai, pontifichi?
Più che altro, salgo sui ponteggi (l’ho fatto). E creo ponti, talvolta li distruggo…
Basta struggerci, o fare come lo struzzo: basta con le ciance, ecco alcuni chicchi (chicche mi sembra troppo sdolcinato; cicche, no: mi sentieri troppo schiacciato).
1)  Non disperdere la tua energia, focalizzati solo sulle cose importanti... E non pensare di essere tu il centro dell’universo. C’è ben altro!
«Buona parte della nostra energia viene usata per alimentare la nostra sensazione di essere importanti … Se riuscissimo a rinunciare in parte a quest’ultima, ci accadrebbero due eventi straordinari. Primo non utilizzeremmo più la nostra energia per cercare di mantenere viva l’illusione della nostra grandezza; secondo, avremmo risparmiato energia sufficiente per intravedere la vera grandezza dell’universo.» (da “L’arte di sognare”, di Carlos Castaneda).
2)  Tieni un occhio aperto, l’altro chiuso, ma aperto sul mondo dei sogni: un occhio serve per guardarci intorno, l’altro per guardare oltre... (per sognare, fantasticare, entrare nel mondo interiore e nel “divino”).
3)  Ogni immagine nasconde tanti significati, evidenti e da scoprire: non ti fermare davanti alla prima “lettura” delle cose. Per vivere bene bisogna avere tanta, ma davvero tanta, immaginazione...
E poi, non sviluppare solo la conoscenza, sviluppa soprattutto l’intuito! «Se la preghiera è noi che parliamo a Dio, l’intuito è quando Dio parla a noi.» (Wayne Dyer)
4)  Creatività, disponibilità, flessibilità: in queste tre parole c’è il segreto del vivere bene.
C’è anche la sofferenza di chi si sente creativo, avrebbe tante cose da dire, ma non riesce a farsi sentire... Molte persone sono così, ma si sentono soffocate (come l'aragosta di uno dei miei recenti post). Sentire tante banalità e notizie "aggiustate ad arte" sui vari TG (ma c'è anche la TV seria, e anche divertente) fa sentire "spaesate" tante persone.
È davvero il momento di rompere il guscio...
Concludo con un contributo esterno (da me citato nel post):
LA SOFFERENZA DI CHI SI SENTE CREATIVO E NON SA OMOLOGARSI AL “NORMALE”.
Come psicoterapeuta, incontro spesso persone dotate di un’ottima salute mentale ma sofferenti, a causa della patologia sociale in cui vivono immerse. Nel corso degli anni ho individuato, dietro a tante richieste di aiuto, una struttura di personalità dotata di sensibilità, creatività, empatia e intuizione, che ho chiamato: Personalità Creativa.
In questi casi non si può parlare di cura (anche se, chi chiede una terapia, si sente patologico e domanda di essere curato) perché: essere emotivamente sani in un mondo malato genera, inevitabilmente, un grande dolore e porta a sentirsi diversi ed emarginati.
Le persone che possiedono una Personalità Creativa sono capaci di amare, di sognare, di sperimentare, di giocare, di cambiare, di raggiungere i propri obiettivi e di formularne di nuovi. Sono uomini e donne emotivamente sani, inscindibilmente connessi alla propria anima e in contatto con la sua verità. Queste persone coltivano la certezza che la vita abbia un significato diverso per ciascuno e rispettano ogni essere vivente, sperimentando così una grande ricchezza di possibilità.
É gente che non ama la competizione, la sopraffazione e lo sfruttamento, perché scorge un pezzetto di sé in ogni cosa che esiste. Gente che non riesce a sentirsi bene in mezzo alla sofferenza e incapace di costruire la propria fortuna sulla disgrazia di altri. Gente che nella nostra società non va di moda, disposta a rinunciare per condividere. Gente impopolare. Derisa dalla legge del più forte. Beffata dalla competizione.
Portatori di un sapere che non piace, non perdono di vista l’importanza di ciò che non ha forma e non si può toccare. Sono queste le persone che possiedono una Personalità Creativa. Persone ingiustamente ridicolizzate e incomprese in un mondo malato di arroganza, e che, spesso, si rivolgono agli psicologi chiedendo aiuto.
Ognuno di loro è orientato verso scelte diverse da quelle di sempre. E in genere hanno valori e priorità incomprensibili per la maggioranza. Non seguono una religione, ma ascoltano con religiosa attenzione i dettami del proprio mondo interiore. Sanno scherzare, senza prendere in giro. Pagano di persona il prezzo delle proprie scelte e preferiscono perdere, pur di non barattare la dignità.
Sono fatti così. Poco ipnotizzabili. Poco omologabili. Poco assoggettabili. Persone che non fanno tendenza. Forse. Gente poco normale, di questi tempi.
(Gente con l’anima. Fonte: carlasalemusio.blog.tiscali.it Tratto da: DolceVita online)

martedì 21 febbraio 2017

ALÈ NAMASTÈ OLÈ – ALOHA


ALÈ NAMASTÈ OLÈ
ALOHA

Inizio del post: un remake di un brano tratto dall’incipit del mio inedito Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo? (N.B. Solo per coraggiosi, per quelli che amano giochi di parole, calembour e roba cantando: se volete, saltatelo e andate direttamente a: Bene, è partito, puntuale, questo martedì. ecc. ecc.).

Uccidimi dolcemente, ma uccidimi… Entra nel rovescio del mio mondo e affonda il tuo cultro lì dove gli altri hanno fallito. Trascrivo febbrilmente i loghia onirici, battendo sul tempo i famelici gargoyle del subconscio, spasmeggianti nevrilmente dalla brama d’ingoiarli nei lenti gorghi amnesici. L’oceano notturno si è ormai contratto in un’anoressica pozzanghera: solo i vortici di alcuni citri d’acqua dolce – i sogni che hanno bucato le porte di corno (quelli che verità li incorona se un mortale li vede) – sono sopravvissuti. V’intingo la mia plume mentale, strappata all’uccello nottaiolo attardatosi a oziare sullo spoglio ramo dell’ultimo ramingo albero della fuggente selva dell’oblio e… fandango.
Because the night belongs to lovers, because the night belongs to lust, because the night belongs to us… È l’alba, la notte è scappata coi suoi amanti, i dardi aurorali scippati alla febica faretra hanno colpito a morte le mie effervescenti passioni ctonie (ma rivivranno allo scoccare della mezzanotte) e i gendarmi del mattino hanno ammanettato le mie voglie corsare (adieu fuitina stellare con Jessica Alba… ogni notte un trip diverso).  
It’s too late to apologize. Non ho più scuse. Dalla radiosveglia la voce velvet del sempre cool Timbaland mi riporta sulla battigia. It’s too late… Lascio Garden of nights (il Village da dreamer radical-chic – niente di particolarmente osé: solo Muse e qualche strip) e mi butto giù dal letto.
Della notte mi è rimasto solo il sorriso: lentamente passo per l’ultima volta il dito sulle sue labbra di sogno, prima che si assottiglino e sublimino, impalpabili come labili fili evanescenti, al balenare delle prime pallide luminescenze diurne. L’eco narcisa degli ultimi sparsi frammenti onirici cerca invano di raggiungermi, ma ammutolisce spaurita davanti all’alba sorgiva, sfiatando pudica nel lete delle memorie fuggitive. No pain no drama: ho già trascritto le stille essenziali, lascio senza magone le vaghe stelle dell’orsa.
Il telefono squilla (l’ultima, definitiva, rupture al notturno soffitto di cristallo – di lì, rapito, posso mirare l’epifania degli dèi). Squallida cocotte, vattene per la tua strada… io sono fedele al mio computer (e pensare che fino a qualche annetto fa manco me lo filavo…). 
Lascio a letto i miei clandestini philosophes prêt-à-porter (nouveaux o anciens, tutti mi fanno il filo, ma io mi fermo ai preliminari), snobbo la cornetta – di giorno sono fedele – e vado a tirare.  
Slash-flash: qualche strisciata di piccì, per tenermi su. Inizia la mia giornata.

Bene, è partito, puntuale, questo martedì. Sottofondo, prima di iniziare a scrivere, VH1 (la rete TV musicale). Prima la Top Ten, poi, di colpo, l’ultima dei Depeche Mode, Where’s The Revolution: sorpresa…

You’ve been lied to, you’ve been fed truths. Who’s making your decisions? Where’s the revolution? …
Your rights abused, your views refused… They manipulate and threaten with terror as a weapon, scare you till you’re stupefied, wear you down until you’re on their side.
The train is coming, so get on board. The engine’s humming, so get on board!
Ti hanno mentito, ti hanno rifilato verità. Chi sta prendendo le tue decisioni? Dov’è la rivoluzione? …  
I tuoi diritti violentati, le tue opinioni rifiutate… Ti manipolano e ti minacciano con le armi del terrore, ti spaventano fino ad annientarti, ti sfiniscono fino a portarti dalla loro parte.
Il treno è in arrivo: sali a bordo! Il motore romba: sali a bordo!

Salgo anch’io a bordo, ma prima di salire, un po’ di meditazione mattutina (insieme a qualche esercizio fisico di risveglio) e, nell’aprire a caso la Bibbia (ma il caso è lo stratagemma che Dio usa quando non vuol farsi riconoscere…), ecco le parole di Proverbi 5,15-18a
Bevi l’acqua della tua cisterna
e quella che zampilla dal tuo pozzo,
Le tue fonti devono forse spargersi al di fuori?
I tuoi ruscelli devono forse scorrere per le strade?
Siano per te solo, e non per gli estranei insieme a te.
Sia benedetta la tua fonte…  
Che parole politicamente scorrette, fuori dal coro, lontane mille miglia dal melensume pseudo-altruistico di tante ciance (vanità delle vanità) che si sentono oggi!
Acqua viva al posto di tanta acqua stagnante (e la papera neanche galleggia…). E riguardo agli stranieri, non intendo tanto gli stranieri veri e propri, quanto i tanti estranei che vogliono inquinare, contaminare, contagiare la nostra vita. Pensando di fare la rivoluzione…
Ed ecco che le parole di Where’s the revolution? cascano a fagiolo. È forse il Karma? O è il Dharma? È la devolution? Ho quindi pensato di fare un cocktail (alcolico) di alcune delle parole delle prime quattro classificate a Sanremo: ed ecco il risultato. Alè, Namastè!

A chi trova se stesso nel proprio coraggio, a chi nasce ogni giorno e comincia il suo viaggio, a chi lotta da sempre e sopporta il dolore: qui nessuno è diverso, nessuno è migliore.
A chi ha perso tutto e riparte da zero, perché niente finisce quando vivi davvero.
Ho lasciato troppi segni sulla pelle già strappata, ho cercato nel conflitto la parvenza di un sentiero. Ho sempre fatto tutto in un modo solo mio, poche volte ho dato ascolto a chi dovevo dare retta, ma non ne ho tenuto conto, ho sempre avuto troppa fretta…
Almeno tu rimani fuori dal diario degli errori, da tutte le contraddizioni, da tutti i torti e le ragioni, dalle paure che convivono con te, dalle parole di un discorso inutile.
Ho guardato nell’abisso di una mattina senza alba. Essere o dover essere: il dubbio amletico contemporaneo…
Ricordo la notte con poche luci, ma almeno là fuori non c’erano i lupi… E la paura frantumava i pensieri, che alle ossa ci pensavano gli altri.
Cambia le tue stelle… se ci provi riuscirai: prendi a morsi la vita!
Non è tardi per ricominciare, ma scegli una strada diversa… E ricorda bene: la vita che avrai non sarà mai distante dall’amore che dai.
E soprattutto, ricorda di disobbedire, perché è vietato morire!
È una corsa che decide la sua meta: questo tempo non è sabbia, siamo passi, siamo storie…
La folla grida un mantra, l’evoluzione inciampa, la scimmia nuda balla… Corpi asettici, tutti tuttologi col web, coca dei popoli, oppio dei poveri.
Intellettuali nei caffè, internettologi, soci onorari del gruppo dei selfisti anonimi: l’intelligenza è démodé. Risposte facili, dilemmi inutili, storie dal gran finale: per tutti un’ora d’aria, di gloria.
Namastè Olè.