KILLING ME SOFTLY
Dalla via crucis alla via pacis
Stromin' my pain with his fingers
Singin' my life with his words
Killing me softly with his song
Telling my whole life with his words
Killing me softly with his song
I felt all flushed with fever
Embarrased by the crowd
I felt he found my letters and read each one out loud
I pray that he would finish
But he just kept right on
I pray that he would finish. Canzoni, febbre, folla,
folli… Fever: il momento è caldo, ma di un caldo ‘finto’, farlocco,
fake…
“Siate
caldi oppure freddi: ma i tiepidi li vomiterò nella Geenna” c’è scritto nell’Apocalisse di Giovanni. È quello di questi
giorni un calore che stenta a scaldare il tiepidume delle nostre anime
raffreddate, diacce, anchilosate.
“Se la
psiche è l’anima, e l’anima è il mondo della nostra esperienza, come sostiene Aristotele,
essa ci fa paura. Non ne vogliamo troppa o troppe varietà. La vogliamo ridotta
a percezione e a immaginazione terrene, niente sogni a colori.” (Ronald Laing).
Sì, niente
sogni a colori. Se noi stentiamo a sognare – e se sogniamo tutto appare
cellofanato – i sogni dei terroristi odierni (non chiamateli kamikaze, per
carità: quelli, pur nella inaccettabilità di quel che facevano, avevano almeno
un ideale vero, non al captagon), quelli delle marionette captagonate sono sogni in nero, e pure di plastica.
Nondimeno,
stiamo attenti alle categorizzazioni (a stelle e strisce – anche di coca): se la “sindrome nipponica” aveva almeno l’haiku,
il wu wei, Mishima e l’iki, la “sindrome araba” ha anche le altezze e profondità di Rumi (a
dire il vero iranico, e uranico), di Rabia, dei Sufi e Mullah Nasruddin, e, volendo
avvicinarci, di Guénon e Corbin (e che
dire, senza esagerare, di Pietrangelo Buttafuoco?).
Si può
volare basso (nella palude e con qualsiasi paludamento) e volare alto, lì dove
volano le aquile, gli angeli e i veri uomini-e-donne.
Per decollare,
ecco, ancora una volta, l’incipit del mio inedito (ma per volare ancora più
alto vi dirotto sui miei saggi e sul mio romanzo).
D’altronde,
la Storia c’insegna (non solo il Mito) che dopo la via crucis (e l’insurrezione)
c’è la risurrezione: sursum corda e per aspera ad
astra!
Non solo asterix….
MORULE
Ci
incontriamo agli angoli delle strade. A coppie, a grappoli, a stringhe sempre
meno sottili. Cresciamo all’ombra dei portici, come batteri, morule,
embrioni di future miriadi, angeli sparsi in cerca di paradisi possibili.
Siamo le membrane
plasmatiche del centro e delle periferie urbane, giunzioni occludenti il vuoto
delle menti e delle anime, teurgi plastici in cerca di corpi da rigenerare. Col
forcipe dello spirito recidiamo le sbarre dell’anima e liberiamo dai ceppi
impazienti i dèmoni dormienti. I nostri e gli altrui.
Senza
addomesticarli li mandiamo allo sbaraglio tra i ‘petits bourgeois’ della ‘comédie humaine’ (dèmoni versus
demòni: slitta l’accentazione cambia l’eone). Randomizzati vagano impacciati ma
indomiti nelle piazze, nelle case, nelle menti, nelle paludi del
caravanserraglio globale – dove sbuffa behemot, gingillo degli dèi e trastullo
dei titani, e striscia il leviatano, un po’ biscione un po’ caimano.
Bariamo sui
numeri (ma nel frattempo cresciamo a dismisura), saltiamo sui corpi, puntiamo
sulle anime (e lo spirito? Sotto sale). Ci arrampichiamo sui muri, scivoliamo
nei sottotetti, glissiamo sui salotti buoni. Ma verrà anche il loro turno –
tour e retour.
E allora, che aspettate? Il turn-over? Tornite e
guarnite le tartine al caviale, la pallina sta per fermarsi! Là bas.
Rien va
plus. Il gioco si fa duro. E scivoloso. Ma dolce è l’attesa (meno le doglie).
Arde il rovo, la voce chiama… “Siate
caldi oppure freddi: ma i tiepidi li vomiterò nella Geenna.” Caos calmo,
ciechi spasmi, miasmi cosmici: l’universo attende con ansia l’epifania
teandrica – non sa cosa vuole, ma vuole qualcosa!
Alta marea:
la terracquea arena è lì che aspetta, vociante, torbida, ondeggiante. Bassa
marea: nella platitude vacua vaticina torpida la platea (e non è il Vaticano).
Ogni tribuna e tribuno è in tiepida attesa di un messia o di una miss (tutto fa
brodo – questa la voce del mondo). “Ah, se Erostrato il grande li ghermisse e
facesse assaggiare a tutti i tiepidi il caldo estremo che raggela!” (la cultrea
voce dal profondo).
E noi?
Infine nudi nello spirito, ancora paludati nell’azione, palestrati nell’animo continuiamo a nasconderci nelle segrete
latebre delle lubriche piazze affollate. Per poi sbucare alla Kubrik nelle
strade bucate e imbucarci, zampillanti e ludici come eroine zompanti, tra gli
zombi nei corridoi sussurranti – riservando ai gorgoglianti portici le nostre residue
ore aliene (è lì, nelle gallerie urbane, il nostro brodo di coltura).
Tuareg nel
deserto che cresce, effimeri panici al galoppo, ossimorici lunatici grondanti
gelide passioni; cammelli sgobbanti, leoni reboanti, fanciulli vocianti
investiti da folate di sottile silenzio: questi
noi siamo. L’ultimo uomo è appena nato e una donna sta per ucciderlo.
KILLING
ME SOFTLY
Uccidimi
dolcemente, ma uccidimi… Entra nel rovescio del mio mondo e affonda il tuo
cultro lì dove gli altri hanno fallito. Trascrivo febbrilmente
i loghia onirici, battendo sul tempo i famelici gargoyle del subconscio, spasmeggianti
nevrilmente dalla brama d’ingoiarli nei lenti gorghi amnesici. L’oceano
notturno si è ormai contratto in un’anoressica pozzanghera: solo i vortici di
alcuni citri d’acqua dolce – i sogni che hanno bucato le porte di corno (quelli
che verità li incorona se un mortale li vede) – sono
sopravvissuti. V’intingo la mia plume mentale,
strappata all’uccello nottaiolo attardatosi a oziare sullo spoglio ramo
dell’ultimo ramingo albero della fuggente selva dell’oblio e… fandango.
Because the night
belongs to lovers, because the night belongs to lust, because the night belongs
to us… È l’alba, la notte è scappata
coi suoi amanti, i dardi aurorali scippati alla febica faretra hanno colpito a
morte le mie effervescenti passioni ctonie (ma rivivranno allo scoccare della
mezzanotte) e i gendarmi del mattino hanno ammanettato le mie voglie corsare (adieu fuitina stellare con Jessica Alba…
ogni notte un trip diverso). It’s too
late to apologize. Non ho più scuse. Dalla radiosveglia la voce velvet del sempre cool Timbaland mi riporta sulla battigia. It’s too late… Lascio Garden of nights (il Village da dreamer radical-chic – niente
di particolarmente osé: solo Muse e
qualche strip) e mi butto giù dal letto.
Della notte mi è
rimasto solo il sorriso: lentamente passo per l’ultima volta il dito sulle sue
labbra di sogno, prima che si assottiglino e sublimino, impalpabili come labili
fili evanescenti, al balenare delle prime pallide luminescenze diurne. L’eco
narcisa degli ultimi sparsi frammenti onirici cerca invano di raggiungermi, ma
ammutolisce spaurita davanti all’alba sorgiva, sfiatando pudica nel lete delle
memorie fuggitive. No pain no drama:
ho già trascritto le stille essenziali, lascio senza magone le vaghe stelle
dell’orsa.
Il telefono squilla
(l’ultima, definitiva, rupture al
notturno soffitto di cristallo – di lì, rapito, posso mirare l’epifania degli
dèi). Squallida
cocotte, vattene per la tua strada… io
sono fedele al mio computer (e pensare che fino a qualche annetto fa manco me lo filavo…). Lascio a
letto i miei clandestini philosophes prêt-à-porter (nouveaux o anciens,
tutti mi fanno il filo, ma io mi fermo ai preliminari), snobbo la cornetta
– di giorno sono fedele – e vado a tirare. Slash-flash: qualche
strisciata di piccì, per tenermi su. Inizia la mia
giornata.