L’EBBREZZA
SPIRITUALE
La PENTECOST-AGE
tra
FOCUS e VIRUS
Mentre oggi
molti, morbosamente, s’inebriano nel divulgare notizie sul coronavirus, io,
riprendendo l’incipit di una mia tesina del corso teologico da me frequentato
qualche anno fa, mi diletto di spiritualità – argomento più che mai attuale ai
tempi del coronavirus (e di ogni altro “veleno”, atmosferico, mentale,
emozionale…).
LA FENOMENOLOGIA PNEUMO-CARISMATICA COME
RAISON
D'ÊTRE DEL CRISTIANESIMO ESPERIENZIALE
PARTE SECONDA
DAL RINASCIMENTO ALL’ETÀ MODERNA
Come
l’acqua che scaturisce dalla sorgente riempie la fontana,
così
quella che scaturisce dal cuore, e che lo Spirito agita incessantemente,
riempie
tutto l’uomo interiore con la rugiada divina e dello Spirito,
rendendo
di fuoco l’uomo esteriore
(Callisto Patriarca, Capitoli sulla preghiera, n.
6)
«L’ebbrezza spirituale produce molti effetti strani. Mentre gli uni
cantano e lodano Dio per eccesso di gioia, altri versano lacrime abbondanti per
la grande gioia del loro cuore. In quelli si manifesta un’agitazione di tutte
le membra che li costringe a correre, a saltare, a danzare; negli altri
l’ebbrezza è così grande da far battere le mani ed applaudire. Uno grida ad
alta voce e manifesta così la sovrabbondanza di quel che sente dentro; l’altro,
al contrario, ammutolisce, sprofondando nelle delizie che prova in tutto il suo
essere.»[1]
Gioia interiore ed ebbrezza spirituale
(siamo nel ‘300, ma potremmo essere in età apostolica): niente di diverso da una
riunione pentecostale di oggi o di cento anni fa in Azusa Street, a Los Angeles
(si era nel 1906), o nella Toronto Blessing anni ’90, tra ultimo Risveglio e ultima pioggia. Proprio quando la religione e la
spiritualità, al contatto dissolutore della Modernità e dell’Homo Novus,
sarebbero dovute morire!
Che il fenomeno sia
“fenomenale” se ne era accorto persino Harvey Cox, il teologo d’assalto della
‘nuova frontiera’ kennediana. Sì, proprio lui, il maggior rappresentante della Teologia
della Secolarizzazione, che pure
aveva affermato, nella Città Secolare[2]: «Come dice Bonhoeffer, Dio, in Gesù, vuol insegnare all’uomo a fare a
meno di Lui, a diventare adulto, libero da dipendenze infantili, pienamente
umano»;
per poi assestare il colpo di grazia: «La parola ‘Dio’ dovrà morire, confermando così il giudizio apocalittico
di Nietzsche, secondo cui ‘Dio è morto’.»
Ma ecco l’ultimo Cox che, in Fire from Heaven2bis, dopo aver
premesso: «Che stiamo
entrando in una nuova ‘età dello Spirito’, come alcuni osservatori più
entusiasti sperano, può essere vero oppure no. Ma ci troviamo certamente in un
periodo di rinnovata vitalità religiosa: un altro ‘grande risveglio’ se
vogliamo chiamarlo così, con tutte le promesse e i pericoli che i risvegli
religiosi portano sempre con sé, questa volta tuttavia su scala mondiale», parla poi del pentecostalismo come di un fuoco
spirituale che ha infiammato tutto il mondo, toccando centinaia di milioni di
persone col suo calore e la sua potenza … un uragano spirituale che ha
già toccato quasi mezzo miliardo di persone, una visione alternativa del futuro
dell’umanità il cui impatto è, ancora e solo, ai primi stadi.
Quello
del 1994 – anno della svolta di Cox (dopo la fase postmoderna degli anni ‘80) –
è il riconoscimento ufficiale del pentecostalismo da parte dell’entourage
teologico, in genere ostico e pieno di sussiego nei suoi confronti. Interessanti,
in questo senso, le osservazioni di Cox quando parla del pentecostalismo come
della spiritualità ‘primaria’, o
allorché riconosce nel ‘parlare in lingue’ «la trasformazione, per l’amore di Dio, del linguaggio umano, inadeguato e
corrotto, in una lingua di angeli.» Ma non si ferma qui, il
nostro: parla apertamente dell’esperienza pentecostale come di un incontro speciale
con lo Spirito Santo.
D’altronde,
un altro teologo di “frontiera”, l’ancor più noto Paul Tillich (che non era pentecostale
– Cox è battista), non diceva forse che fuori della fede non ci può essere
speranza né salvezza vera? E che la
Presenza spirituale vivifica perennemente la vita? Quel Tillich che, con profonda cognizione di causa, nella sua Teologia Sistematica, osservava: «Dio risponde all’uomo in base alla sua domanda e la domanda dell’uomo è
condizionata dall’aspettativa della risposta da parte di Dio.»[3] Come dire: l’uomo, se
è fiducioso della risposta di Dio, pone il Signore nelle condizioni (in un
certo senso) di rispondere affermativamente: quasi quasi lo costringe…
Si
tratta di un principio-guida, forte (e discusso), del pentecostalismo più
radicale, in cui la fede è certezza assoluta (v. il Movimento di Fede), ma assai vicino a tanti esiti della mistica
medievale (Eckhart, uno per tutti) e post-rinascimentale (Angelo Silesio): del
resto, nel concepire la polarità lontano-vicino
tra ‘essere’ e Dio, Tillich si rifà alla tradizione della mistica tedesca e al
pensiero dell’ultimo Schelling. Infatti, come nel pentecostalismo (e non solo),
Dio non può dirsi “totalmente altro” dall’essere, quanto piuttosto il suo
fondamento, cioè colui che pone le basi dell’essere e ne è il Signore. È questo
il leitmotiv della cristologia di Tillich: la realizzazione, concreta, in
Cristo dell’unità tra divino e umano.
Pertanto, la
risposta ultima, ma accessibile a ogni uomo (perché data nella dimensione dell’umano),
si trova in una persona: Gesù. È lui la risposta definitiva alle domande
dell’uomo, alla sua angoscia e alla sua crisi: una risposta che infonde il coraggio di esistere. Tillich, a tal
proposito, rivendica la dimensione “ontologica” della fede, che non deve
restare circoscritta a un’affermazione teorica o a mera esperienza psicologica:
essa è piuttosto – come accade nel pentecostalismo – incondizionata
accettazione esistenziale del trascendente e unica possibilità autentica in un’epoca segnata dal
dis-ordine, dall’angoscia e dalla mancanza di senso.
Per questo, a
parere di Tillich, si era ormai
giunti alla ”fine dell'era Protestante”, in quanto Il tipo di Protestantesimo
che si andava sviluppando in America non era più espressione della Riforma, ma aveva
a che fare piuttosto con i cosiddetti “Radicali Evangelicali” (pentecostali in
primis).
Tornando
a Harvey Cox, questi ribadisce (cosa che molti pentecostali hanno
dimenticato...) che il Pentecostalismo rappresenta una montagna che guarda
dall’alto i confini delle singole denominazioni.
E
non solo la spiritualità pentecostale trascende questi limiti umani (troppo
umani...), ma supera le grette separazioni (sottomissioni, in definitiva)
di genere, razza e classe sociale, vanamente giustificate da parziali, miopi o
strabiche letture bibliche. E infatti, come adempimento della profezia di Gioele
2,28 e di Atti 2,17-18 (“spanderò il mio Spirito sopra ogni persona;
i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno...”), nella chiesa “primitiva”
di Azusa Street si raccoglieva, sintetizzato, il fior fiore dell’oecumene cristiana. E non solo fedeli
provenienti da varie confessioni e denominazioni, ma tra i dodici della
‘dirigenza’ spirituale c’erano sette donne e tre neri (un’assurdità per quei
tempi; e oggi?): una chiesa ecumenica e democratica ante litteram!
Ma
come si ricollega questo big bang spirituale alla discesa dello Spirito
santo nell’alto solaio? Abbiamo visto nella prima parte dello studio che,
seppur spesso in maniera sotterranea, il
flusso dello Spirito ha continuato a fluire in tutto il Medioevo. Non c’è
stato, quindi, un “salto in lungo” dalla prima alla nuova Pentecoste del secolo
appena trascorso: tra l’alfa e l’omega pentecostale (la prima e l’ultima
pioggia) non c’è stato il vuoto assoluto... Forse in parte, ma, se si
riflette, Gesù aveva detto: non vi lascerò orfani4, perché aveva promesso: io sono con voi
tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente5.
Continuità,
quindi, nel modus vivendi pneumo-carismetico dai tempi di Gesù a oggi, ma a
vari livelli, benché nelle chiese pentecostali ci si limiti a qualche “assaggino”
del Risveglio dell’Ottocento, preferendo
soffocare la memoria storica, quasi che il revival pentecostale sia sorto dal
nulla (generazione spontanea!). Ma c’è pure qualche studioso che della continuità
comincia ad accorgersi: Stanley Burgess (suo il Dictionary of Pentecostal
and Charismatic Movement) trova tracce di pentecostalismo persino in
Tommaso d’Aquino!
Fatto
è che l’esperienza della Pentecoste e
dei doni dello Spirito Santo, ben lungi dall’essersi fermata alla chiesa apostolica,
ha percorso come un fiume sotterraneo tutta la Storia, ora affievolendosi, ora
celandosi, altre volte zampillando o sgorgando impetuoso da polle superficiali,
serbando così sempre viva la fiamma dello Spirito. Questo perché, come diceva
Lacan, «la religione è inaffondabile. La religione,
soprattutto quella vera, ha risorse tali che non possiamo nemmeno immaginare.» E noi stiamo parlando del pentecostalismo, una
religione “ribollente” di Spirito…
Nondimeno,
che il pentecostalismo sia il movimento religioso più significativo del
ventesimo secolo è ai più sconosciuto, almeno in Italia, nonostante i
pentecostali – inclusi i carismatici cattolici o delle altre confessioni
protestanti e di quella ortodossa – siano oggi circa settecento milioni! Il
dato può sorprendere, anche perché i mass-media non ne hanno mai trattato
diffusamente, ignorando le reali dimensioni del fenomeno (come sempre accade
per quell’oscuro oggetto – del desiderio? – che è la religione).
Ma
cos’è l’Era Pentecostale? Nelle
intenzioni più o meno palesi dei pionieri di inizio ‘900 è l’età dello Spirito
Santo, l’auspicio profetico di Gioacchino da Fiore: l’Era Pentecostale.
Ma non si è trattato, sin
dall’inizio, di un fenomeno omogeneo, o di sola ascendenza apostolica senza
infiltrazioni varie (il “salto in lungo di cui ho parlato prima): infatti, se
insieme a quelli apostolici possiamo ritrovare, qui e là, tratti gnostici e
della mistica medievale, frammisti soprattutto a temi tratti dai Risvegli del
‘700 e dell’’800 – e, benché poco citato, del New Thought (il Nuovo Pensiero, da cui ha tratto linfa il pensiero New Age, che pure colora, malgré tout, certo pentecostalismo) –, non
mancano motivi di tipo sciamanico (soprattutto in correnti del pentecostalismo
brasiliano, africano e orientale): in alcuni dei loro aspetti, le manifestazioni
pentecostali e carismatiche potrebbero essere definite «rivalutazioni di antichi motivi sciamanici, integrati in un sistema di
teologia ascetica dove il loro contenuto ha subito una radicale modificazione» (ho
ripreso la definizione di Mircea Eliade, che però si riferisce a riti di tipo
sciamanico rinvenibili in molte culture e religioni).
Il pentecostalismo?
Una multiforme espressione – cristiano-biblica – di misticismo pratico-estatico-ascetico-democratico-aristocratico…
[1] Giovanni Ruysbroek, L’ornamento delle
nozze spirituali – Libro Secondo, Cap XIX, trad. it., UTET, Torino 1988 (ristampa), p. 366.
(v. la prima parte di questo studio: Dall’Età Apostolica al
Tardo Medioevo).
2 The Secular City. Secularization and Urbanization in Theological
Perspective, pubblicato nel 1965, è uno dei testi più originali e brillanti
della teologia (con ricadute sulla filosofia e sociologia) del ‘900. In quest’opera Cox sviluppa la tesi secondo
cui la Chiesa, ancor prima che un’istituzione, è una comunità di fede e di azione:
conseguentemente, piuttosto che tenersi a debita distanza dalla società, la
Chiesa dovrebbe permeare la vita della società stessa, promuovendo il mutamento
sociale ed esprimendosi secondo il “linguaggio” del mondo (il che è proprio,
per molti versi, dell’approccio pentecostale). È questo il nucleo della
cosiddetta teologia della
secolarizzazione, le cui radici affondano nella “demitizzazione” portata
avanti, a suo tempo, da Dietrich Bonhoeffer e Rudolf Bultmann e che si
caratterizzava per la piena accettazione del percorso della filosofia
contemporanea e dello sviluppo scientifico-tecnologico e, di converso, per la
svalutazione della metafisica e di qualsiasi segno di sacralità.
2bis Fire
from Heaven: the Rise of Pentecostal Spirituality and the Reshaping of Religion
in the Twenty-first Century (Fuoco dal Cielo: il Sorgere della Spiritualità Pentecostale e il
Riconfigurarsi della Religione nel XXI Secolo). In
questo volume il teologo di
Harvard ritorna su La città secolare, un libro, afferma, in cui «cercavo
di elaborare una teologia per l’epoca “post-religiosa” che molti sociologi ci
avevano prospettato con fiducia come prossima.» Al contrario, scrive Cox, «oggi è la
secolarità, non la spiritualità, che può essere vicina
all’estinzione.» È diventato «ovvio
che, al posto della “morte di Dio” che alcuni teologi avevano dichiarato non
molti anni fa, o del declino della religione che i sociologi avevano previsto,
è avvenuto qualcosa di veramente diverso.»
A proposito de La
città secolare, il teologo
americano aggiunge: «Forse ero troppo giovane e impressionabile quando gli accademici
facevano queste previsioni tristi. In ogni caso me le ero bevute davvero troppo
facilmente, e avevo cercato di pensare quali avrebbero potuto essere le loro
conseguenze teologiche. Ma ora è diventato chiaro che le predizioni stesse
erano sbagliate.»
[1] Si tratta del ben noto ‘principio
di correlazione’ di Tillich, fatto più o meno inconsapevolmente proprio dal
pentecostalismo, che pone una fede incondizionata nella risposta da parte di
Dio.