sabato 29 febbraio 2020

L’EBBREZZA SPIRITUALE. LA PENTECOST-AGE TRA FOCUS E VIRUS.


L’EBBREZZA SPIRITUALE

La PENTECOST-AGE tra
FOCUS e VIRUS

Mentre oggi molti, morbosamente, s’inebriano nel divulgare notizie sul coronavirus, io, riprendendo l’incipit di una mia tesina del corso teologico da me frequentato qualche anno fa, mi diletto di spiritualità – argomento più che mai attuale ai tempi del coronavirus (e di ogni altro “veleno”, atmosferico, mentale, emozionale…).

LA FENOMENOLOGIA PNEUMO-CARISMATICA COME
RAISON D'ÊTRE DEL CRISTIANESIMO ESPERIENZIALE

PARTE SECONDA
DAL RINASCIMENTO ALL’ETÀ MODERNA

                                    Come l’acqua che scaturisce dalla sorgente riempie la fontana,
così quella che scaturisce dal cuore, e che lo Spirito agita incessantemente,
riempie tutto l’uomo interiore con la rugiada divina e dello Spirito,
rendendo di fuoco l’uomo esteriore
(Callisto Patriarca, Capitoli sulla preghiera, n. 6)

«L’ebbrezza spirituale produce molti effetti strani. Mentre gli uni cantano e lodano Dio per eccesso di gioia, altri versano lacrime abbondanti per la grande gioia del loro cuore. In quelli si manifesta un’agitazione di tutte le membra che li costringe a correre, a saltare, a danzare; negli altri l’ebbrezza è così grande da far battere le mani ed applaudire. Uno grida ad alta voce e manifesta così la sovrabbondanza di quel che sente dentro; l’altro, al contrario, ammutolisce, sprofondando nelle delizie che prova in tutto il suo essere.»[1]
Gioia interiore ed ebbrezza spirituale (siamo nel ‘300, ma potremmo essere in età apostolica): niente di diverso da una riunione pentecostale di oggi o di cento anni fa in Azusa Street, a Los Angeles (si era nel 1906), o nella Toronto Blessing anni ’90, tra ultimo Risveglio e ultima pioggia. Proprio quando la religione e la spiritualità, al contatto dissolutore della Modernità e dell’Homo Novus, sarebbero dovute morire!
Che il fenomeno sia “fenomenale” se ne era accorto persino Harvey Cox, il teologo d’assalto della ‘nuova frontiera’ kennediana. Sì, proprio lui, il maggior rappresentante della Teologia della Secolarizzazione, che pure aveva affermato, nella Città Secolare[2]: «Come dice Bonhoeffer, Dio, in Gesù, vuol insegnare all’uomo a fare a meno di Lui, a diventare adulto, libero da dipendenze infantili, pienamente umano»; per poi assestare il colpo di grazia: «La parola ‘Dio’ dovrà morire, confermando così il giudizio apocalittico di Nietzsche, secondo cui ‘Dio è morto’.»
Ma ecco l’ultimo Cox che, in Fire from Heaven2bis, dopo aver premesso: «Che stiamo entrando in una nuova ‘età dello Spirito’, come alcuni osservatori più entusiasti sperano, può essere vero oppure no. Ma ci troviamo certamente in un periodo di rinnovata vitalità religiosa: un altro ‘grande risveglio’ se vogliamo chiamarlo così, con tutte le promesse e i pericoli che i risvegli religiosi portano sempre con sé, questa volta tuttavia su scala mondiale», parla poi del pentecostalismo come di un fuoco spirituale che ha infiammato tutto il mondo, toccando centinaia di milioni di persone col suo calore e la sua potenza … un uragano spirituale che ha già toccato quasi mezzo miliardo di persone, una visione alternativa del futuro dell’umanità il cui impatto è, ancora e solo, ai primi stadi.

Quello del 1994 – anno della svolta di Cox (dopo la fase postmoderna degli anni ‘80) – è il riconoscimento ufficiale del pentecostalismo da parte dell’entourage teologico, in genere ostico e pieno di sussiego nei suoi confronti. Interessanti, in questo senso, le osservazioni di Cox quando parla del pentecostalismo come della spiritualità ‘primaria’, o allorché riconosce nel ‘parlare in lingue’ «la trasformazione, per l’amore di Dio, del linguaggio umano, inadeguato e corrotto, in una lingua di angeli.» Ma non si ferma qui, il nostro: parla apertamente dell’esperienza pentecostale come di un incontro speciale con lo Spirito Santo.
D’altronde, un altro teologo di “frontiera”, l’ancor più noto Paul Tillich (che non era pentecostale – Cox è battista), non diceva forse che fuori della fede non ci può essere speranza né salvezza vera? E che la Presenza spirituale vivifica perennemente la vita? Quel Tillich che, con profonda cognizione di causa, nella sua Teologia Sistematica, osservava: «Dio risponde all’uomo in base alla sua domanda e la domanda dell’uomo è condizionata dall’aspettativa della risposta da parte di Dio.»[3] Come dire: l’uomo, se è fiducioso della risposta di Dio, pone il Signore nelle condizioni (in un certo senso) di rispondere affermativamente: quasi quasi lo costringe…
Si tratta di un principio-guida, forte (e discusso), del pentecostalismo più radicale, in cui la fede è certezza assoluta (v. il Movimento di Fede), ma assai vicino a tanti esiti della mistica medievale (Eckhart, uno per tutti) e post-rinascimentale (Angelo Silesio): del resto, nel concepire la polarità lontano-vicino tra ‘essere’ e Dio, Tillich si rifà alla tradizione della mistica tedesca e al pensiero dell’ultimo Schelling. Infatti, come nel pentecostalismo (e non solo), Dio non può dirsi “totalmente altro” dall’essere, quanto piuttosto il suo fondamento, cioè colui che pone le basi dell’essere e ne è il Signore. È questo il leitmotiv della cristologia di Tillich: la realizzazione, concreta, in Cristo dell’unità tra divino e umano.
Pertanto, la risposta ultima, ma accessibile a ogni uomo (perché data nella dimensione dell’umano), si trova in una persona: Gesù. È lui la risposta definitiva alle domande dell’uomo, alla sua angoscia e alla sua crisi: una risposta che infonde il coraggio di esistere. Tillich, a tal proposito, rivendica la dimensione “ontologica” della fede, che non deve restare circoscritta a un’affermazione teorica o a mera esperienza psicologica: essa è piuttosto – come accade nel pentecostalismo – incondizionata accettazione esistenziale del trascendente e unica possibilità autentica in un’epoca segnata dal dis-ordine, dall’angoscia e dalla mancanza di senso.
Per questo, a parere di Tillich, si era ormai giunti alla ”fine dell'era Protestante”, in quanto Il tipo di Protestantesimo che si andava sviluppando in America non era più espressione della Riforma, ma aveva a che fare piuttosto con i cosiddetti “Radicali Evangelicali” (pentecostali in primis).

Tornando a Harvey Cox, questi ribadisce (cosa che molti pentecostali hanno dimenticato...) che il Pentecostalismo rappresenta una montagna che guarda dall’alto i confini delle singole denominazioni.
E non solo la spiritualità pentecostale trascende questi limiti umani (troppo umani...), ma supera le grette separazioni (sottomissioni, in definitiva) di genere, razza e classe sociale, vanamente giustificate da parziali, miopi o strabiche letture bibliche. E infatti, come adempimento della profezia di Gioele 2,28 e di Atti 2,17-18 (“spanderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno...”), nella chiesa “primitiva” di Azusa Street si raccoglieva, sintetizzato, il fior fiore dell’oecumene cristiana. E non solo fedeli provenienti da varie confessioni e denominazioni, ma tra i dodici della ‘dirigenza’ spirituale c’erano sette donne e tre neri (un’assurdità per quei tempi; e oggi?): una chiesa ecumenica e democratica ante litteram! 
Ma come si ricollega questo big bang spirituale alla discesa dello Spirito santo nell’alto solaio? Abbiamo visto nella prima parte dello studio che, seppur spesso in maniera sotterranea, il flusso dello Spirito ha continuato a fluire in tutto il Medioevo. Non c’è stato, quindi, un “salto in lungo” dalla prima alla nuova Pentecoste del secolo appena trascorso: tra l’alfa e l’omega pentecostale (la prima e l’ultima pioggia) non c’è stato il vuoto assoluto... Forse in parte, ma, se si riflette, Gesù aveva detto: non vi lascerò orfani4, perché aveva promesso: io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente5.
Continuità, quindi, nel modus vivendi pneumo-carismetico dai tempi di Gesù a oggi, ma a vari livelli, benché nelle chiese pentecostali ci si limiti a qualche “assaggino” del Risveglio dell’Ottocento, preferendo soffocare la memoria storica, quasi che il revival pentecostale sia sorto dal nulla (generazione spontanea!). Ma c’è pure qualche studioso che della continuità comincia ad accorgersi: Stanley Burgess (suo il Dictionary of Pentecostal and Charismatic Movement) trova tracce di pentecostalismo persino in Tommaso d’Aquino!
Fatto è che l’esperienza della Pentecoste e dei doni dello Spirito Santo, ben lungi dall’essersi fermata alla chiesa apostolica, ha percorso come un fiume sotterraneo tutta la Storia, ora affievolendosi, ora celandosi, altre volte zampillando o sgorgando impetuoso da polle superficiali, serbando così sempre viva la fiamma dello Spirito. Questo perché, come diceva Lacan, «la religione è inaffondabile. La religione, soprattutto quella vera, ha risorse tali che non possiamo nemmeno immaginare.» E noi stiamo parlando del pentecostalismo, una religione “ribollente” di Spirito 
Nondimeno, che il pentecostalismo sia il movimento religioso più significativo del ventesimo secolo è ai più sconosciuto, almeno in Italia, nonostante i pentecostali – inclusi i carismatici cattolici o delle altre confessioni protestanti e di quella ortodossa – siano oggi circa settecento milioni! Il dato può sorprendere, anche perché i mass-media non ne hanno mai trattato diffusamente, ignorando le reali dimensioni del fenomeno (come sempre accade per quell’oscuro oggetto – del desiderio? – che è la religione).

Ma cos’è l’Era Pentecostale? Nelle intenzioni più o meno palesi dei pionieri di inizio ‘900 è l’età dello Spirito Santo, l’auspicio profetico di Gioacchino da Fiore: l’Era Pentecostale. Ma non si è trattato, sin dall’inizio, di un fenomeno omogeneo, o di sola ascendenza apostolica senza infiltrazioni varie (il “salto in lungo di cui ho parlato prima): infatti, se insieme a quelli apostolici possiamo ritrovare, qui e là, tratti gnostici e della mistica medievale, frammisti soprattutto a temi tratti dai Risvegli del ‘700 e dell’’800 – e, benché poco citato, del New Thought (il Nuovo Pensiero, da cui ha tratto linfa il pensiero New Age, che pure colora, malgré tout, certo pentecostalismo) –, non mancano motivi di tipo sciamanico (soprattutto in correnti del pentecostalismo brasiliano, africano e orientale): in alcuni dei loro aspetti, le manifestazioni pentecostali e carismatiche potrebbero essere definite «rivalutazioni di antichi motivi sciamanici, integrati in un sistema di teologia ascetica dove il loro contenuto ha subito una radicale modificazione» (ho ripreso la definizione di Mircea Eliade, che però si riferisce a riti di tipo sciamanico rinvenibili in molte culture e religioni).
Il pentecostalismo? Una multiforme espressione – cristiano-biblica – di misticismo pratico-estatico-ascetico-democratico-aristocratico…

[1] Giovanni Ruysbroek, L’ornamento delle nozze spirituali Libro Secondo, Cap XIX, trad. it., UTET, Torino 1988 (ristampa), p. 366. (v. la prima parte di questo studio: Dall’Età Apostolica al Tardo Medioevo).
2 The Secular City. Secularization and Urbanization in Theological Perspective, pubblicato nel 1965, è uno dei testi più originali e brillanti della teologia (con ricadute sulla filosofia e sociologia) del ‘900. In quest’opera Cox sviluppa la tesi secondo cui la Chiesa, ancor prima che un’istituzione, è una comunità di fede e di azione: conseguentemente, piuttosto che tenersi a debita distanza dalla società, la Chiesa dovrebbe permeare la vita della società stessa, promuovendo il mutamento sociale ed esprimendosi secondo il “linguaggio” del mondo (il che è proprio, per molti versi, dell’approccio pentecostale). È questo il nucleo della cosiddetta teologia della secolarizzazione, le cui radici affondano nella “demitizzazione” portata avanti, a suo tempo, da Dietrich Bonhoeffer e Rudolf Bultmann e che si caratterizzava per la piena accettazione del percorso della filosofia contemporanea e dello sviluppo scientifico-tecnologico e, di converso, per la svalutazione della metafisica e di qualsiasi segno di sacralità.
2bis Fire from Heaven: the Rise of Pentecostal Spirituality and the Reshaping of Religion in the Twenty-first Century (Fuoco dal Cielo: il Sorgere della Spiritualità Pentecostale e il Riconfigurarsi della Religione nel XXI Secolo). In questo volume il teologo di Harvard ritorna su La città secolare, un libro, afferma, in cui «cercavo di elaborare una teologia per l’epoca “post-religiosa” che molti sociologi ci avevano prospettato con fiducia come prossima.» Al contrario, scrive Cox, «oggi è la secolarità, non la spiritualità, che può essere vicina all’estinzione.» È diventato «ovvio che, al posto della “morte di Dio” che alcuni teologi avevano dichiarato non molti anni fa, o del declino della religione che i sociologi avevano previsto, è avvenuto qualcosa di veramente diverso.»
A proposito de La città secolare, il teologo americano aggiunge: «Forse ero troppo giovane e impressionabile quando gli accademici facevano queste previsioni tristi. In ogni caso me le ero bevute davvero troppo facilmente, e avevo cercato di pensare quali avrebbero potuto essere le loro conseguenze teologiche. Ma ora è diventato chiaro che le predizioni stesse erano sbagliate.»
[1] Si tratta del ben noto ‘principio di correlazione’ di Tillich, fatto più o meno inconsapevolmente proprio dal pentecostalismo, che pone una fede incondizionata nella risposta da parte di Dio.


















giovedì 27 febbraio 2020

MORULE. Riflessioni letterarie ai tempi del coronavirus


MORULE

Spasmi letterari ai tempi del coronavirus

Cincontriamo agli angoli delle strade. A coppie, a grappoli, a stringhe sempre meno sottili. Cresciamo all’ombra dei portici, come batteri, morule, embrioni di future miriadi: angeli sparsi in cerca di paradisi possibili.
Siamo le membrane plasmatiche del centro e delle periferie urbane, giunzioni occludenti il vuoto delle menti e delle anime, teurgi plastici in cerca di corpi da rigenerare. Col forcipe dello spirito recidiamo le sbarre dell’anima e liberiamo dai ceppi impazienti i dèmoni dormienti. I nostri e gli altrui.
Senza addomesticarli li mandiamo allo sbaraglio tra i ‘petits bourgeois’ della ‘comédie humaine’ (dèmoni versus demòni: slitta l’accentazione, cambia l’eone). Randomizzati vagano impacciati ma indomiti nelle piazze, nelle case, nelle menti, nelle paludi del caravanserraglio globale – dove sbuffa Behemot, gingillo degli dèi e trastullo dei titani, e striscia il Leviatano, un po’ biscione un po’ caimano.
Bariamo sui numeri (ma nel frattempo cresciamo a dismisura), saltiamo sui corpi, puntiamo sulle anime (e lo spirito? Sotto sale). Ci arrampichiamo sui muri, scivoliamo nei sottotetti, glissiamo sui salotti buoni. Ma verrà anche il loro turno – tour e retour.
E allora, che aspettate? Il turn-over? Tornite e guarnite le tartine al caviale, la pallina sta per fermarsi! Là bas.
Rien va plus. Il gioco si fa duro. E scivoloso. Ma dolce è l’attesa (meno le doglie). Arde il rovo, la voce chiama… “Siate caldi oppure freddi: ma i tiepidi li vomiterò nella Geenna.” Caos calmo, ciechi spasmi, miasmi cosmici: l’universo attende con ansia l’epifania teandrica – non sa cosa vuole, ma vuole qualcosa!

Alta marea: la terracquea arena è lì che aspetta, vociante, torbida, ondeggiante. Bassa marea: nella platitude vacua vaticina torpida la platea (e non è il Vaticano). Ogni tribuna e tribuno è in tiepida attesa di un messia o di una miss (tutto fa brodo – questa la voce del mondo). “Ah, se Erostrato il grande li ghermisse e facesse assaggiare a tutti i tiepidi il caldo estremo che raggela!” (la cultrea voce dal profondo).
E noi? Infine nudi nello spirito, ancora paludati nell’azione, palestrati nell’animo continuiamo a nasconderci nelle segrete latebre delle lubriche piazze affollate. Per poi sbucare alla Kubrik nelle strade bucate e imbucarci, zampillanti e ludici come eroine zompanti, tra gli zombi nei corridoi sussurranti – riservando ai gorgoglianti portici le nostre residue ore aliene (è lì, nelle gallerie urbane, il nostro brodo di coltura).
Tuareg nel deserto che cresce, effimeri panici al galoppo, ossimorici lunatici grondanti gelide passioni; cammelli sgobbanti, leoni reboanti, fanciulli vocianti investiti da folate di sottile silenzio: questi noi siamo. L’ultimo uomo è appena nato e una donna sta per ucciderlo.
(tratto dall’inizio del mio romanzo inedito Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo?)