MORULE
Spasmi
letterari ai
tempi del coronavirus
C’incontriamo agli angoli delle strade. A coppie, a grappoli, a stringhe sempre
meno sottili. Cresciamo all’ombra dei portici, come batteri, morule, embrioni
di future miriadi: angeli sparsi in cerca di paradisi possibili.
Siamo le membrane
plasmatiche del centro e delle periferie urbane, giunzioni occludenti il vuoto
delle menti e delle anime, teurgi plastici in cerca di corpi da rigenerare. Col
forcipe dello spirito recidiamo le sbarre dell’anima e liberiamo dai ceppi
impazienti i dèmoni dormienti. I nostri e gli altrui.
Senza
addomesticarli li mandiamo allo sbaraglio tra i ‘petits bourgeois’ della ‘comédie humaine’ (dèmoni versus
demòni: slitta l’accentazione, cambia l’eone). Randomizzati vagano impacciati ma
indomiti nelle piazze, nelle case, nelle menti, nelle paludi del
caravanserraglio globale – dove sbuffa Behemot, gingillo degli dèi e trastullo
dei titani, e striscia il Leviatano, un po’ biscione un po’ caimano.
Bariamo sui
numeri (ma nel frattempo cresciamo a dismisura), saltiamo sui corpi, puntiamo
sulle anime (e lo spirito? Sotto sale). Ci arrampichiamo sui muri, scivoliamo
nei sottotetti, glissiamo sui salotti buoni. Ma verrà anche il loro turno –
tour e retour.
E allora, che aspettate? Il turn-over? Tornite
e guarnite le tartine al caviale, la pallina sta per fermarsi! Là bas.
Rien va
plus. Il gioco si fa duro. E scivoloso. Ma dolce è l’attesa (meno le doglie).
Arde il rovo, la voce chiama… “Siate caldi oppure freddi: ma i tiepidi li
vomiterò nella Geenna.” Caos calmo, ciechi spasmi, miasmi cosmici: l’universo
attende con ansia l’epifania teandrica – non
sa cosa vuole, ma vuole qualcosa!
Alta marea:
la terracquea arena è lì che aspetta, vociante, torbida, ondeggiante. Bassa
marea: nella platitude vacua vaticina torpida la platea (e non è il Vaticano). Ogni tribuna e tribuno è in tiepida attesa
di un messia o di una miss (tutto fa brodo – questa la voce del mondo). “Ah,
se Erostrato il grande li ghermisse e facesse assaggiare a tutti i tiepidi il
caldo estremo che raggela!” (la cultrea voce dal profondo).
E noi?
Infine nudi nello spirito, ancora paludati nell’azione, palestrati nell’animo continuiamo
a nasconderci nelle segrete latebre delle lubriche piazze affollate. Per poi
sbucare alla Kubrik nelle strade bucate e imbucarci, zampillanti e ludici come
eroine zompanti, tra gli zombi nei corridoi sussurranti – riservando ai gorgoglianti
portici le nostre residue ore aliene (è lì, nelle gallerie urbane, il nostro
brodo di coltura).
Tuareg nel
deserto che cresce, effimeri panici al galoppo, ossimorici lunatici grondanti
gelide passioni; cammelli sgobbanti, leoni reboanti, fanciulli vocianti
investiti da folate di sottile silenzio: questi noi siamo. L’ultimo uomo è appena nato e una donna sta per ucciderlo.
(tratto dall’inizio del mio romanzo inedito Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo?)
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