mercoledì 14 giugno 2017

SHOCK ADDIZIONALI – Caos calmo


SHOCK ADDIZIONALI
Caos calmo

Tempo sospeso. In ballottaggio. E io ballo da solo…
In attesa di uno shock addizionale, un altro brano da “Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo?” Un po’ scioccante, mai scocciantesì, talvolta caotico, di un caos calmo, ma sempre scoccante e croccante, del tipo “cocciante”: ...corriamo per le strade e mettiamoci a ballare, perché lei vuole la gioia, perché lei odia il rancore. E poi, coi secchi di vernice coloriamo tutti i muri, case, vicoli e palazzi, perché lei ama i colori. Raccogliamo tutti i fiori ... e prendiamole una stella.

Uno shock addizionale. Gurdjieff! Continua la mia rêverie (sono sempre appeso – non quello dei tarocchi, l’arcano dell’iniziazione mistica, passiva. E non è un trucco, non sono nemmeno taroccato: mi sento vivo, originale, unico, attivo – anche un po’ trickster). Succedono cose…
Meditazione guidata (più che altro, un sogno: con il pilota automatico). Vedo tanti graffiti sui muri (e sul Muro, anche se non c’è più). Ci buttiamo tutti (non solo quelli del salon) su tutto e tutti, come tanti sciami esplosi da un gigantesco alveare (il grattacielo a cui sono sospeso alla Cattelan). Basta col vivere in ginocchio! (ma non alziamo il gomito…)
“Quando Tyler ha inventato il Progetto Caos, Tyler ha spiegato che lo scopo del Progetto Caos non aveva niente a che fare con il prossimo. A Tyler non importava se qualcun altro si faceva male o no. Lo scopo era far prendere coscienza a ciascun partecipante al progetto del potere che ha di controllare la storia. Noi, ciascuno di noi, possiamo assumere il controllo del mondo. È stato al Fight Club che Tyler ha inventato il Progetto Caos.” Pungiamo. E poi scappiamo (e gli altri, quelli del mercato e i march ettari? Sbattono sul vetro, come mosche impazzite). Dobbiamo cambiare il mondo… (anche senza moschetto), dobbiamo ‘tradurlo’, dopo aver strappato l’originale (ma era solo una copia – ci avevano traditi…). E dobbiamo farlo subito! È il momento “delle negazioni assolute e delle affermazioni sovrane.” Basta con la “clasa discutadora”, con la “classe che discute” e che, nel suo discutere, non scuote nulla, se non la coda (che finisce per mordere). Torniamo alla “regione dove la vita è dura.”
Speed, ice, crystal, crack, special k, popper… (ma Nietzsche va oltre gli ausili chimici. È droga pura. È vero acido. E noi abbiamo bisogno del suo aiuto. Forse con lui Dio rivivrà…). Mi accendo, ma non voglio tirare troppo la corda. La coda non c’è più.
“La morte di Dio è una opinione interessante, ma non tocca Dio.” Diana, la ‘sacerdotessa’ del ‘tiaso’ vaticina senza freni (il suo Sansone è, in questo momento, Dávila: è aggrappata alla sua chioma). È un vaso di Pandora (ma non c’è il carbone, almeno per ora. Solo torrone). Una nuova Frine? Di certo l’onda lunga di Lou e Frei.
«A chi non appartiene la causa che io debbo difendere? Essa è, innanzi tutto, la causa buona in se stessa, poi la causa di Dio, della verità, della libertà, della giustizia; poi la causa del mio popolo, del mio principe, della mia patria; infine la causa dello spirito, e mille altre ancora. Soltanto, essa non dev’essere mai la mia causa!» Diana, la stirneriana, è unica. Bellezza alla Frine, al di là del bene e del male. Esperienza di fuoco, del fuoco distruttore, scintille di rinascita. Hot like fire. La musica mi rimbomba in testa, mi rianima, mi infiamma. Diana sta per passare la torcia: noi andremo dietro di lei. Dobbiamo raggiungere lo stadio (l’ultimo, quello olimpico – sto sempre a testa in giù, ciò giustifica la rêverie: sogno o son desto?). Mi ritrovo con gli altri, dietro alla fiaccola. Molti non li conosco (anzi, tranne quelli del mio kreis, tedofora compresa, nessuno). Siamo in tanti, ma vogliamo essere pochi, rari, unici. The year of the cat.
“Quanta povertà, quanta avarizia è nelle vostre anime, voi uomini! Fango è nel fondo della loro anima… Certo, costoro sono astinenti: ma la cagna sensualità guarda con invidia da tutto quanto essi fanno. Lussuria mascherata da compassione.” Torno bambino, mi tolgo la maschera. Guardo giù: tutti uguali, ancora… (nulla cambia, tutto passa, qualcosa scorre), tutti mascherati, tutti in uni-forme… Faccio un capitombolo (sono in gran forma). Sfioro il ’69 (in Italia fu quello a dare la mossa), atterro nel ’68: “…l’anno degli anni, l’anno della follia, del fuoco e del sangue, l’anno della morte…”
 Sì, il maggio ’68, un brano d’epoca esaltato (ed esaltante), una speranza – e un brandello – di rivoluzione (la mia, più che certezza, è epoché, ma alla Husserl: attesa, sì, ma non scettica …scattante). Le jolie mai: élan vital, vida loca, un pout porri di immagini e immaginazione – più potere (all’Idea), meno dovere (ma poi venne l’Ikea). Sussurri (pochi – molti nel cuore) e grida, giovanilità dionisiaca e fulgore apollineo. Poi tutto svampò, vampirizzato dalle sinistre zecche sciamate dalle paludi della planitude e dal deserto circostante (Stefano, dietro di me, ha un sussulto, diciamo pure un principio di rutto: il ‘brutto’ non riesce proprio a mandarlo giù…). I leoni finirono di ruggire, tornarono i cammelli (e, di soppiatto, il drago lucente – quanto al ‘caimano’: è in karmacoma…). 
Una risata mi seppellisce (non mi compungono punto le parole di Paul Auster sull’”inutile Sessantotto”). Il ’68 (un rigurgito, un gorgoglio, forse qualche gargoyle sgorgante dal mio ‘profondo’), insomma cosa fu ‘sto Sessantotto? Passione, politeia, fanaticum et tremendum? Solo una puntura, levità, fou rire? Filosofia come vita, elogio del dubbio? Dannunziana e futuristica immaginazione al potere, rivolta contro il mondo moderno? Krisis? Caos? SOS? Karmaloka o karmacoma? Legittima suspicione, sospensione temporale, lampi di eternità? Flash (droga) o flesh (carne)? Vanità delle vanità, di tutto un falò. Fou rire. Frodo lives. Kissenefrega. Sfottetemi pure, ma mi viene proprio da infierire…
Il file continua (e come sottofondo: Tokio Disco dei Reverso 68). Trilogia di New York (Berlino, Parigi, Gotham City – ma tutte le strade portano a Roma, sarà vero?). Mi affaccio dalla rêverie, Diana l’alemanna mi fulmina: torno nel gorgo akashico. Metto i fiori nei cannoni. Jolie mai. Maggio si avvicina (e siamo nel Terzo Millennio). Sarà una nuova rivoluzione, dopo quarantanni di deserto. E sì, avevano fatto tabula rasa, avevano raso il suolo, ma si erano dimenticati di volare! (e il deserto, intanto, continuava a crescere – eclisse dei valori, ellisse di furori: la parabola continua, e non è un’iperbole). “Erano bande di giovani svergognati che massacravano alberi per farne bastoni. Ogni albero è una creatura che vive, come insegnano i popoli primitivi. Il Sessantotto fu barbaro.”  Lévi-Strauss in jeans ed eskimo, io in pelle Lou Reed nera. Mi viene da arrossire.

lunedì 12 giugno 2017

VENI VIDI VICI – TRE SOMARI E TRE BRIGANTI


VENI VIDI VICI
TRE SOMARI E TRE BRIGANTI

Giorno post-elezioni. Il cambiamento è rimandato a data da destinarsi, ma non è detto…
Quindi, no drama non pain (come canterebbe Mary J. Blidge): i giochi (di potere) sono tutt’altro che fatti. Adda passà ‘a nuttata…
E per passare a temi più generali, se proprio si è rimasti turbati, allora basta cancellare l’’errore’ con un colpo di spugna (o di gomma) mentale e ripartire: una sgommata e via. L’importante, come per ogni progetto, è mantenere il focus (sia fuori, sia dentro – nel senso di ‘fuoco dentro’, ossia entusiasmo: Dio dentro di te).
Se parlo di cambiamento, metanoia, senso della vita, è allora prioritaria la “riconversione delle emozioni” (specie dopo la prima tornata elettorale). Per questo ti sverso, prima qualche goccia dal mio Che cos'è la PNL. Come vincere ansia, fobie e dipendenze, poi, tanto per rimanere nell’ambito della “scrittura creativa” (e “consapevole”), una mia breve esercitazione estemporanea, tratta dall’inedito Nietzsche; sneakers o tacchi a spillo?.

LA RICONVERSIONE DELLE EMOZIONI
Come hai ben compreso, innanzitutto devi ‘utilizzare’ l’immaginazione. Puoi guidare la tua mente come se fosse una macchina (ovviamente è molto di più), pilotandola nella direzione da te prescelta e cambiandola quando vuoi. Se vuoi, inserisci il ‘pilota automatico’, che, una volta impostato, ti condurrà allo stato emozionale più funzionale al momento. Ciò detto, superiamo il perché (ti serve per comprendere il meccanismo generatore delle fobie, non per risolverle): come ricorda Bandler, la comprensione non produce il cambiamento. Ma produce ben poco anche il cosiddetto ‘condizionamento operante’, ossia dare un rinforzo positivo per i comportamenti ‘corretti’ e uno negativo per i comportamenti ‘scorretti’: se può andare bene con gli animali, non funziona con l’uomo.
Tu puoi conoscere bene il perché delle tue paure e delle tue dipendenze, puoi darti lo ‘zuccherino’ davanti a un ascensore e una piccola scossa elettrica ogni volta che prendi una sigaretta in mano, ma difficilmente otterrai un risultato. A questo punto meglio un’abbuffata: fuma una decina di sigarette una dietro l’altra...

ESERCIZIO DI RICONVERSIONE DELLE EMOZIONI 
(DA NEGATIVE A POSITIVE)
·  Pensa a una tua credenza limitante o demotivante che t’impedisce di raggiungere il tuo obiettivo (non so parlare in pubblico…). Fa’ un fermo-immagine del tuo film mentale e visualizza un’immagine di quella credenza limitante. Estraine le submodalità visive, auditive e cinestesiche, cercando di sentire dentro di te tutte queste sensazioni di disagio e sconforto.
·  Pensa ora a una credenza potenziante, che ti motivi davvero e che t’infonde energia e sicurezza (voglio avere solo applausi!): fa’ anche qui un fermo-immagine ed estrai le submodalità.
·   Sostituisci ora le submodalità della credenza potenziante a quelle della credenza limitante, ossia ‘copia’ le sensazioni della prima e ‘incollale’ sulla seconda. Fa’ girare tutte queste sensazioni dentro di te, fatti ‘invadere’ da esse…
Torna ora a pensare alla credenza limitante: ti apparirà del tutto indifferente (non sentirai più alcuna sensazione di disturbo dentro di te).
Visualizzati ora nel modo migliore in cui vorresti essere: vivi nel tuo film la vita che vuoi…
·   Abbandonati alla fantasia, alle immagini, ai suoni…  
Visualizzati mentre, come in un videoclip, cavalchi la tua cabrio nera, bordeggiando una spiaggia senza fine: tu occhi ardenti, lei capelli al vento…
E poi di', con intensità: questo è il giorno, sì, ora…
Visualizzati poi nella tua condizione attuale… mettila fuori fuoco, fa’ sì che le immagini siano sempre più sfocate e… a passi veloci entra nel film a colori della tua vita desiderata. Corri, corri… finché raggiungi la cabrio nera. E ci entri dentro… E non sei solo! Ora sei un altro!
Fa’ tutto con emozione, illuminando e colorando il tuo film, ingigantendo i particolari e soffermandoti sulle situazioni positive. Ossia, lavorando sulle submodalità dei sistemi rappresentazionali (visivo: luminosità, colore, grandezza; uditivo: velocità, tono, timbro; cinestesico: peso, forma, intensità…). Ormai sai bene che, ogniqualvolta sei in presenza di una memoria intrusiva o di una situazione fobica (un balcone, se soffri di acrofobia, oppure una piazza vuota – agorafobia – o un ascensore, una gallina… c’è chi ne ha paura), si riattiva il percorso neurale attivatosi la prima volta che ti sei trovato in quella situazione per te traumatica. E sai anche bene che per smorzare le sensazioni fisiche devi lavorare su come ti rappresenti mentalmente la situazione ‘fobica’.
A tal proposito, una dritta: come per acquietarti fai l’occhiello pollice-indice con la mano destra, per lavorare sulle submodalità (avvicinare le immagini, aumentare la luminosità o i suoni) usa il ‘telecomando’. Fa’ così:
    passa, strisciando, il pollice sinistro sotto il pollice, l’indice, il medio, l’anulare e il mignolo destro quando vuoi ‘aumentare’; al contrario (l’indice sinistro che tocca il mignolo destro, poi, strisciando, di seguito, anulare, medio, indice) quando vuoi ‘diminuire’.
Fa’ questa ‘strisciata’ mentre visualizzi una situazione con un crescendo di emotività. Poi, per ‘fissarla’ in modo ‘energico’, fa’ il click sinistro (pollice stretto tra indice e medio). Dopo un po’ di prove vedrai che il ‘telecomando’ comincerà a funzionare… Variando d’intensità le modalità percettive, ossia ‘sfumando’ o intensificando i suoni, i colori, le sensazioni… cioè agendo sulle ‘submodalità’ come se usassi il telecomando della televisione, potrai modificare i tuoi stati d’animo, quindi gestire le emozioni. 

INCONTRO AL BUIO

È tardi, la macchina è in panne, ma la casa di Gaia è vicina, in pieno centro.
Me la faccio a piedi. Me la sbatto di SUV e gipponi – ma indulgo con le cabrio, rigorosamente nere. Del resto, per dirla con la Verasani di Quo vadis, baby? “… dove ci sono le Range Rover non può esserci una gran sete di conoscenza.”
Il vento fischia sulla pelle. Gocce di pioggia m’imperlano il viso: il nevischio liquefatto dal fuoco interno mi avvampa. Allungo il passo. È la mia prima volta e non posso tardare. L’atmosfera è da romanzo giallo. Tinta di noir. V’intingo la penna dei miei pensieri – quelli dopo l’ultima chat – e riscrivo mentalmente le ultime parole di Gaia: “Ti aspetto a mezzanotte, l’ora giusta per passare dalle parole ai fatti.”
Uno schizzo da una pozzanghera, un clacson, due voci che battibeccano. Crudo il ritorno alla realtà. Il portico mi inghiotte pietoso, la luna si piega, s’incurva maliziosamente – alla Totò –, cerca d’infilarsi nel passaggio coperto. Vi sbatte la testa (è luna piena), tenta d’illuminarmi, ma non ce n’è bisogno: sono tutto un fuoco.
“Stanotte allenerò le mie labbra a sorridere e dovrò quindi pensare a lavarmi fino alla morte i denti.” Un pensiero (a) folle alla Piero Ciampi mi assale. Sbando, complice un’altra pozzanghera, ingaggio una breve lotta con le mie fumisterie cerebrali, inciampo ma tiro dritto. Rimetto la mia mente a cuccia e proseguo. Niente facce, niente piedi, solo ombre. Notte d’ambra: una cocotte mi sussurra qualcosa, un transex traballa su tacchi follemente siliconati, ma io glisso su entrambi.
Scivolo a folle sull’impalpabile velo del pavé, spio tutt’intorno: sono di nuovo solo, tutto il resto è noia. Pioviggina, sono disarmato: un altro portico mi accoglie prodigo nel suo seno, ma io lo titillo solamente. Sarà per la prossima volta.
Un quarto a mezzanotte. La città è tutta colorata di buio e di fari arancio – ne sento la fragranza. Nient’altro, solo l’aria della notte e l’odore del fumo. E le stelle. Spremo il parapioggia, sotto i portici non serve, tiro su il bavero – l’immancabile giubbotto para… di pelle nera alla Lou Reed – e sfilo via accanto a visi senza faccia.
Asfalto bagnato. Fischia il vento – e mi gorgoglia il ventre: sono a digiuno. La città mi scivola accanto, sopra, sotto… Ma sento qualcosa d’incombente: c’è qualcosa nell’aria. Lascio il Fight Club dei sogni, allungo ancora il passo, scavalcando il tempo, dondolo ondeggio sbando scivolo. Suoni sincopati e barriti alla Miles Davis mi inseguono, sbucati da chissà dove: mi sento come un ‘miles gloriosus’ nella giungla urbana. Ma sono solo un tassello nel suo patchwork di stoffe e colori, nella jam-session di suoni, parole, fiati, sussurri, bisbigli.
Tutto il mondo dorme. Respiro a plesso solare aperto, mi ricarico guardando la luna piena e mi disintossico inspirando la polvere delle stelle. “Mugola in lontananza un aspirapolvere.”
Tre minuti a mezzanotte. Sono in orario. Sbatto contro un tipo. Il ganzo – virante al gonzo – mi guarda, caracolla, scocca la saetta: stecca, il dardo cade afflosciato. Lo guardo, senza riguardo, lo fulmino. Getta la spugna. Si allontana frettolosamente, quasi inciampa su se stesso, sfuma nelle tenebre.
Mezzanotte. Spremo il citofono (notte da arancia meccanica?). Non ce n’è bisogno, lei è dietro al portone. Me lo apre, con circospetta levità, quasi fosse uno scrigno segreto. Tattoo senza tabù. Le nostre labbra s’incrociano, s’incollano, rimarginano ogni vuoto. Atmosfera da Cantico dei Cantici: Le tue labbra somigliano a un filo scarlatto, la tua bocca è graziosa; le tue gote, dietro il tuo velo, sono come un pezzo di melagrana.
Entro. Non c’è bisogno di parola d’ordine. In ogni caso, la conosco: Doppio specchio – ma è tanto per giocare. Ma non è sempre un gioco…
   

sabato 10 giugno 2017

THE SOUND OF SILENCE

THE SOUND OF SILENCE

And in the naked light I saw
ten thousand people maybe more
people talking without speaking
people hearing without listening
people writing songs that voices never share
noone dare, disturb the sound of silence
E nella luce pura vidi
migliaia di persone, o forse più
persone che parlavano senza emettere suoni
persone che ascoltavano senza udire
persone che scrivevano canzoni 
che le voci non avrebbero mai cantato
e nessuno osava, disturbare il suono del silenzio

Riprendo, dopo una sosta “epoché”, le pubblicazioni. Oggi è giorno di silenzio elettorale e vorrei tacere. Ma c’è ancora vita sulla terra… e anche morte. Sempre più sembra valere il “mors tua vita mea” (ma c’è sempre stato, sin dai tempi di Caino).
Silenzio, vita, morte… E allora, in attesa della vera “ripresa”, ripesco qualcosa dal mare magnum di Gocce di Pioggia a Jericoacora, lì dove la “politica” tende a farsi “metapolitica” (oggi c’è metà politica e metà ritorno al “paleolitico”, comunque lo si intendi).

“Vita, morte, la vita nella morte. Morte, vita, la morte nella vita. Noi col filo, col filo della vita nostra sorte filammo a questa morte.” Lorenzo amava la vita, ma non ferocemente, disperatamente. Non ci teneva proprio a fare, alla Michelstaedter, la crisalide o, come suprema trasgressione, alla Pasolini, il tuffo nella morte, il grande nulla lucente. Anche se, tra camerati, si diceva: “chi divide pane e morte non si scioglie sulla terra.”
Non voleva essere, alla Céline, una scheggia di luce che finisce nella notte. Né come il suo compagno di appartamento (di Carrara, anarchico di marmo – allora c’era un coacervo di colori, amicizie, rivalità, con il confine tra odio e amore spesso labile –, ma pronto a sciogliersi al primo colpo), finito nel vortice della droga senza neppure tirare la catena (con quanta struggente nostalgia Lorenzo ricordava la sua voce roca e la sua chitarra stoica modulare, all’unisono, il suo autobiografico canto d’amore: Non gettarmi in pasto i tuoi sedici anni, te li divorerei…). Lui voleva essere – questa volta Michelstaedter andava bene – un ‘persuaso’: colui che non dipende dal mondo e dalle circostanze, ma solamente da se stesso. Non un essere-per-qualcuno, ma, detto senza retorica, un-essere-che-basta-per-sé, la sintesi suprema di conoscenza e azione.
Vita, morte, la vita nella morte. Morte, vita, la morte nella vita. Sì, c’era un montante interesse per la morte negli anni Sessanta (e il suo compagno cantautore si era fatto contagiare, acidamente). “Passa la gioia, passa il dolore, accettate la vostra sorte, ogni cosa che vive muore e nessuna cosa vince la morte … spegnete l’infausta brama che vi trae dal retto sentier.”
Cupio dissolvi… Morte borghese, morte burina, ma anche morte ‘ariana’, nella ‘buriana’, come quella del Ce ne freghiamo! cantata da Mario Castellacci nel suo fascistissimo Men Sing (a proposito, anche Women sing: “E un cuor di donna vi farà la corte, che vi ha seguito sotto la mitraglia, un cuore che disprezza gli imboscati!”).

Neo-scapigliatura, post-esistenzialismo, panna montata, yoghurt sempre più inacidito? Lui era nella ‘terra di mezzo’, nel Giardino dei Supplizi. Lì dove il latte s’infratta col miele. Lorenzo, kalós kaí agathós, bello e d’indole buona, non mieloso, però, né lattiginoso, amava sin troppo il mondo, ma non voleva divorarlo, né farsi sbranare da esso: voleva solo riempirlo di senso. “Voleva costringere il proprio caos a diventare forma.” E ne trasse le debite conclusioni e cambiò (non di molto) rotta (scampando alla catastrofe della ‘peggio gioventù’ post-sessantottina, quella annegata coi suoi ideali e le sue utopie).
Novello san Paolo corsaro in viaggio verso Roma, buttò a mare la zavorra carnale (e il ‘tutto è politica’, dogma allora irrinunciabile – ma poi risalì a galla, alleggerito) e alzata la vela maestra si lasciò andare al vento dello Spirito. E volò. Volle andare, alla D’Annunzio, verso la vita. Non solo anticonformismo, radicalità e rivoluzione, ma impulso e anelito verso la trascendenza.
“Temo che non ci libereremo di Dio perché crediamo ancora nella grammatica...” Del resto, dal senso profondo di quel suo fascismo ‘idealitario’ (un po’ idealistico, un po’ elitario e, raschiando il fondo del barile, anche un po’ social-compassionevole), aveva attinto l’essenza mistica – l’orizzonte dello Spirito –, porta d’accesso alla quarta dimensione (metafisica) dell’esistenza. Ben oltre il Crepuscolo degli idoli, Lorenzo, l’’illuminista romantico’ hippy-dandy-sessantottino (un ossimoro al cubo), aveva recuperato – sia pure con affanno – l’afflato religioso alla vita. E surtout, la consapevolezza di un telos, di un destino da compiere. Il Satya Yuga era vicino…
Un fiume in piena, Lorenzo, l’ardito, l’esoterico kalós kaí agathós (repetita iuvant) amante dell’esotico. In cerca dell’oro nel Kaly Yuga. E ne aveva trovato un filone. Da Massimo Scaligero a Julius Evola (Lorenzo: evoliano sì, ma pure – ossimoricamente evoluto – femminista), passando per Che Guevara (idolo di una certa destra radicale, non dimentichiamolo…), sino, ultima Thule, a Burne-Jones.
Eretico ed erotico. Nietzsche, il salato, sciroppato con l’amaro Schopenhauer. E poi, dopo il latte cagliato, il salto della quaglia. Dalla lotta di classe alla latta di glassa virtualmente gettata dal pittore preraffaelita in faccia a Oscar Wilde: “Più la scienza diventa materialistica, più io dipingo gli angeli: le loro ali sono la mia protesta in favore dell’immortalità dell’anima.”
Sì, gli angeli – perché quest’intromissione alata ora che Lorenzo nuotava come un pesce?, proprio loro, i messaggeri invisibili che danno corpo ai nostri desideri, mandati a servire gli eredi della salvezza, a portarli sul palmo della mano, perché il loro piede non inciampi in nessuna pietra.
L’angelo necessario di Massimo Cacciari (Lorenzo aveva un debole per il filosofo delle calli, ci aveva fatto il callo), indispensabile per la realizzazione dell’uomo e per la piena comprensione di sé. Ma anche gli angeli ‘calligrafici’ di Wim Wenders, queste ali di Dio che nel film cult Il cielo sopra Berlino si fan sotto per conoscere le angosce degli uomini, che essi spiano per strada, inseguono nei negozi, rincorrono fin nelle biblioteche.
Gli angeli, queste eteree figure che aiutano l’uomo a ‘disvelare’ l’invisibile e a rendergli possibile l’accesso alle regioni (e ‘ragioni’) nascoste della Realtà. E che, con un’ala in cielo e l’altra sulla terra, amano infilarsi nelle crepe del muro divisorio tra spazio-tempo umano (chronos) e spazio-tempo oltre-umano (aion), per aiutarci a darci una mossa…