venerdì 29 ottobre 2021

ALICE ATTRAVERSO LO SPECCHIO

ALICE ATTRAVERSO LO SPECCHIO

 

Un po’ di riflessioni.

I can… Più facile a dirsi che a farsi. I care: idem! Siamo programmati – c’è un virus nel nostro programma: mancava al momento dell’attivazione – sì, siamo programmati per dire: I can’t, oppure non mi riguarda (me ne frego è più eclettico…).

Ma niente è immutabile su questa terra (il cielo può attendere – ma possiamo anche impadronircene…).

Alice attraverso lo specchio. Lo specchio (il ‘mondo’, ma anche le nostre convinzioni spesso limitanti: la nostra mappa interiore) riflette, in maniera spesso offuscata, distorta e deformata, la nostra immagine – per non parlare dell’immagine del mondo – e questa, spesso, non ci piace affatto. E quel che è peggio, non piace neppure agli altri. Tutto questo incide sui nostri rapporti e sulla qualità della nostra vita: frena la corsa verso il traguardo.

Occorre, dunque, cambiare lo ‘specchio’, oppure attraversarlo…

 

Il mondo esterno e quello interno ci ‘irradiano’: ‘rifrazione’, ‘diffrazione’, ‘diffusione’, ‘interferenza’… sono fenomeni associati ai movimenti ondulatori della luce (visibile, o invisibile, anche oscura) emessa dai vari corpi radianti che ci circondano: l’ambiente, il nostro vissuto, la traccia del DNA, o qualsiasi altra inferenza o influenza. Con un’immagine ancora semplice e ovvia, ma più pregnante, si potrebbe parlare di onde scaturenti dal mare della vita che si frangono sulle nostre spiagge e portano con sé relitti di ogni specie.

Mondo, vita, esistenza, fenomeni ondulatori… Qui sono in gioco concetti, filosofici ma anche pratici, come essere, tempo, esistenza (tanto per fermarci all’essenza delle cose). Questo blog è anche un manuale di super-vivenza (mi si passi il termine), finalizzato al miglioramento personale, che si pone come scopo il re-indirizzare, ristrutturare, resettare, la nostra vita (cambiando le ‘gomme’, modificando il ‘motore’, sostituendo l’asse, riverniciando la carrozzeria, cambiando la macchina…).

Tutto questo affinché la nostra vita dispieghi l’intero ventaglio di possibilità, abbia uno Scopo e attui un Progetto – che non resti tale, ma si realizzi.

 

Esistere significa ex-sistere, ossia andare oltre (ex) questo permanere (sistere: stare fermi, seduti). La vita, l’esistenza, lo stare in questo mondo e in questo tempo, è una possibilità aperta, in divenire, in fieri, in progress. Esistere significa, dunque, protendersi (pro-tendersi: tendersi in avanti) verso una nuova sistemazione – un reset – della realtà. Un ex-sistere, un andare oltre lo specchio, e non un in-sistere, un permanere all’interno della propria condizione esistenziale, fosse pure una comfort zone (una ‘turris eburnea’, una ‘gabbia di cristallo’: ci sarà pure il soffitto di vetro, ma lo si può rompere…).

L’uomo, per essere autentico (Heidegger mi offre lo spunto, ma, tolte le spine, i fiori dovete coglierli voi…), deve quindi trascendere sempre se stesso (ex-sistere) – ma, si badi bene, senza fatica o sforzi ossessivi (atteggiamento wu wei) e senza ostacolare o calpestare gli altri, ossia con atteggiamento win-win.

Deve continuamente ri-progettarsi, deve scegliere da sé e in assoluta libertà quale percorso vivere, ma ha bisogno di una guida: quando l’allievo è pronto, il maestro appare; tuttavia, se incontri il tuo maestro, uccidilo! (Una volta appreso, cammina sulle tue gambe…). Non sono la vostra stampella, ma Io sono il parapetto di un fiume: s'appoggi a me chi può! (F. Nietzsche. “Così parlò Zarathustra”).

 

L'esistenza inautentica consiste, invece, nella rinuncia al proprio tendere in avanti: rinuncia al futuro e a qualsiasi progetto. È l’accettazione distratta, dormiente, di un’esistenza già vissuta da altri, senz’alcuna possibilità creativa. Ecco perché occorre superare il ‘recinto’, ecco perché entrare nello specchio…

Se agisco sullo specchio posso cambiare l’immagine-di-me. Se poi entro nello specchio (ecco Alice…) troverò il Paese delle meraviglie: posso cambiare me, non solo la mia immagine, “selfie” o come appare agli altri.

Se poi vado ‘dietro allo specchio’, allora sarò io stesso il Paese delle meraviglie… (naturalmente, è solo un modo eclatante per dire che posso migliorare, anche in maniera “super” la mia vita – d’altronde, ci fu chi disse: il Regno è dentro di voi…).

    


 

domenica 24 ottobre 2021

SOUL TRACK

      

SOUL TRACK

La sua anima: umana, sub-umana, super-umana. Tre livelli antinomici della stessa istanza psichica, in continua lotta (e riappacificazioni) col corpo e lo spirito. Eppure, l’anima avrebbe dovuto fare da mediatrice… Quattro le fasi alchemiche: nigredo, albedo, citredo e rubedo. Lorenzo, nel suo altalenante excursus esistenziale, le aveva attraversate tutte, spesso ‘facendo a pugni’, non in progressione, piuttosto a salti random. Un po’ Fausto Coppi, un po’ Dottor Faust. Tanto più in quei pochi giorni passati a Pugnochiuso. Una continua apertura sui vari ‘loci’ della sua vita e sulle ‘piazze’ del mondo circostante (e di quello ‘sotterraneo’: la Terra di Lorenzo era ‘cava’). Un po’ terra-inverno-notte, un po’acqua-primavera-aurora, poi di nuovo aria-estate-giorno. Per finire, fuoco-autunno-tramonto. Ma anche bambino, adolescente, maturo, vecchio. Sempre in ordine sparso.

     E ora, in meno di una settimana, queste fasi le aveva riattraversate tutte, sia pur confusamente. Di certo, la nigredo e la rubedo, la terrestrità (se così si può dire) e la passione (anche vulcanica, e – perché no? – sulfurea). Forze luciferine e arimaniche, luce e ombra. Presenze e assenze, forze ed eventi che affondano le radici nell’invisibile. Anche queste le aveva sperimentate tutte. Anche il secondo corpo, il doppio mefistofelico, quello che lo teneva imprigionato nei pregiudizi.

     “Io sono il tuo nulla” sibilava Mefistofele. “Nel tuo nulla io voglio trovare il tutto” gridava Faust. Uomo plurale, uomo legione. In lui convivevano il lupo e l’agnello. Ma dalla legione, che più volte, malgré tout, aveva rischiato di affogare nella palude (e nella platitude), stava riemergendo, asciutto, il ‘legionario’. Il lupo aveva ingoiato l’agnello, ma questo, nutrendosi delle sue glandole – della sua ‘ghianda’, quella di Hillmann –, lo stava trasformando in leone. 

     Cammello, leone, fanciullo… (di nuovo! Ma questo ‘garzoncello’ era diverso, aveva combattuto contro il drago). Capì. Per l’ennesima volta (ma quando avrebbe preso la rincorsa definitiva per il ‘tuffo dal trampolino’? La piscina olimpionica era a un dipresso. Avevano però tolto, da dieci anni e passa, il trampolino…). C’era uno sviluppo lineare, predeterminato, ma da lui colorato. Non l’illimitato ciclico divenire, senza principio né fine, proprio di ogni Weltanschauung tradizionale, ma una visione rettilinea del tempo (in effetti, ondulatoria – con qualche improvvisa fuga indietro o in avanti. In Lorenzo Tradizione e Modernità s’intrecciavano, ma quest’ultima era sempre in fuga per l’innanzi). C’era una ‘ghianda’ sul suo ‘terreno’, la quale voleva, doveva, svilupparsi, nonostante i terreni circostanti, le erbe cattive, il loglio  – famiglia, amici, società – e, soprattutto, malgrado lui stesso. E ora la ghianda era diventata una quercia. Robur. Robusta, tenace, capace di sopportare le tempeste. Radicata ma flessibile (ossimoricamente) come una canna. Canna al vento (dello Spirito).

     Le sue radici. La passione infantile per l’India, per i suoi misteri, la sua spiritualità. E per la Grecia, la mitologia, i suoi dèi. La pulsione verso l’Olimpo e la passione per il Satyrion di Petronio. E, non ancora saturo, il suo infilarsi, sedicenne, negli antri oscuri dei cinema d’essai per vivere di Antonioni, Bergman, Buñuel. E per incontrare Pasolini e il suo angelo. Teorema risolto. Una via lattea di cui lui, Lorenzo, era, allora, solo un pulviscolo, un deserto rosso in cui, poi, sarebbe diventato un uomo blu.

     Due fili, Oriente e Occidente, Apollo e Dioniso, Beatles e Rolling Stones, perennemente intrecciati. Due occhi (quello fisico – Eros – e quello spirituale – Theos) puntati sul traguardo. Specie ora che non era più miope né astigmatico (e nemmeno presbiteriano, per fare una battuta ‘loffia’. Era pentecostale, a modo suo, tra il loft e il soft, ma, in ogni caso, un po’ di Calvino permeava il suo spirito).

     Occhi pieni di meraviglia. Il suo stupore notturno. Le sue città invisibili. Da Valdo a Marcovaldo. Oltre il guado, sino in oriente, cavalcando le tigri di Evola, danzando con Gurdjieff e Stella Kramrisch (all’indologa l’aveva introdotta proprio Galatea). Lorenzo raspava proprio nel fondo della notte. D’altronde, “il sapere è una farfalla notturna” diceva il don Juan di Castaneda, l’indio heidegerriano della foresta (la mariposa by night l’aveva catturata Furio Jesi, uno che aveva parlato pure di Evola, magari non troppo bene – ma per Lorenzo l’importante era parlarne…).

     Il suo sognare, per ritrovarsi con le mani nel sogno. E manipolare la realtà. Tableau universale e aura microcosmica. Per vivere appieno (finalmente!) le sue passioni. Micro-Mega, Steiner (Rudolf e George). Anche le donne. Megagalattiche (Arianna, Gaia, Galatea, per limitarsi alle prime lettere del suo alfabeto del desiderio). Galante ma svagato. Incostante, dimentico, talvolta sfocato (sfigato lo era stato abbastanza). Nel suo terreno c’era, sì, il fuoco, ma il vento spesso lo spegneva.

     Earth, wind and fire. Focherello, fuochino, fochetto. Ma questa volta il fuoco l’ebbe vinta. Anche perché non c’era nessun estintore.

 


 

giovedì 21 ottobre 2021

VERBA VOLANT (E VOLUNT). LA PAROLA COME AGENTE DEL CAMBIAMENTO

 

VERBA VOLANT (E VOLUNT)

LA PAROLA COME AGENTE DEL CAMBIAMENTO

 

«Le parole dei sapienti sono come delle frecce, come dei chiodi ben piantati…»

 (Qoèlet, o Ecclesiaste, nell’Antico Testamento).

 

Costruire ponti e non muri.

 

Suona la parola la malvestita realtà…

Pensaci bene: quante volte le tue parole, che pure avrebbero meritato un ascolto attento e partecipe, sono scivolate via come acqua sul vetro. Quante volte sei rimasto inascoltato, quante volte hai parlato al vento? Per dirla in musica: parole parole parole… fiumi di parole, fiumi di parole, prima o poi ci portano via…

Le parole: molte volte sono solo “fumus”; altre volte scorrono a fiume: ti travolgono ma non ti sconvolgono (nel bene e nel male). Può, talvolta, però accadere che una certa parola ti tocchi, penetri in te, si fissi nell’anima come un chiodo ben piantato, faccia breccia nel tuo cuore e ti cambi la vita: a change for a chance.

Queste sono le parole dei “sapienti”.

 

E con questo arriviamo al punto: le parole vestono (o svestono) la realtà – la parola, quando è articolata in modo sapiente, è in grado di creare o trasformare la realtà.

Spesso parlo di emozioni, e di come domandare/rispondere a esse (counseling, coaching, self-help); le parole, infatti, non solo agiscono sulle emozioni, ma possono anche guidarle: un leader può “manovrare”, nel bene e nel male, i suoi follower mediante l’uso strategico della parola (non solo cosa dice, ma, soprattutto, come lo dice).

Questo vale in generale: una parola efficace può suscitare interesse nell’interlocutore e far sorgere in lui una reazione immediata e sincera – può interessarlo ed emozionarlo. Si stabilisce, così, un dialogo che mette in sintonia le due persone: la parola diventa un ponte (dia-logos) gettato tra due sponde, due realtà, due mondi, i quali tendono ad avvicinarsi, a collaborare, arricchendosi reciprocamente.

La parola abbatte i “muri”, oppure li “colora” (le parole possono abbellire come dei murales), li scavalca, li sottopassa… Qualche volta ci sbatte contro.

 

L’uomo come essere parlante

 

L’uomo è l’essere parlante, l’uomo è la parola (non per niente Gesù è la Parola).

“Parlessere”: così lo psichiatra e filosofo francese Jacques Lacan definiva l’intrinseca inscindibilità tra uomo e linguaggio – uomo e parola sono un tutt’uno. Infatti, il linguaggio, più che acquisito e costruito con lo studio e l’esperienza, si configura come una “rete” che intesse – spesso intrappola – l’uomo sin già prima della nascita: secondo Lacan non è l’uomo che “parla un linguaggio”, ma è “il linguaggio che parla l’uomo”.

Il linguaggio non è, quindi, solo un semplice mezzo di comunicazione, ma è una struttura da cui l’uomo dipende e dalla quale è determinato.

Per dirla nei termini della “linguistica strutturale”, il linguaggio – la langue (la lingua “sociale”, astratta) – si fa parole (lingua “individuale”, concreta) e la parole si fa atto, tant’è che, in ambito socio-linguistico, si parla di “atto linguistico” (speech act).

La parola, da logos (parola come mezzo di comunicazione), si fa rhema, parola efficace, creativa – spesso nel vero senso del termine: ricordiamo che, in base all’etimologia aramaica (una sua possibile origine), abracadabra significa: creo ciò di cui parlo. Se invece ci si rifà a una sua possibile derivazione dall’arabo, allora: “fa’ che le cose siano distrutte”… In ogni caso la parola è efficace, che sia costruttiva o distruttiva. In pratica, tutto è nella parola: «nessuna cosa è dove la parola manca» (Heidegger – citazione tratta dalla poesia Das Wort di Stefan George).

 

La parola: nomen omen

 

La parola “nomina” le cose, le contrassegna, le crea. Basta la parola…

La parola: suono su una faccia, e pensiero sull’altra. Parola coessenziale all’azione. Parola in movimento, in divenire, in estasi. Parola in cammino, parola attiva, dinamica, scoppiettante: più che “parola”, è “verbo”, azione che attende una re-azione.

Parola che grida quando più tace. Parola che canta, sussurra, piange. Nella parola balugina la spiritualità dell’anima. E questa si fa corpo. Per accoppiarsi e poi scoppiare. È la parola che dà sostanza, essere, alla “res”, alla cosa: la parola può diventare realtà.

Ho giocato con le parole… L’importante è che, oltre a sbloccare il “cervello destro” (l’emisfero cerebrale più “creativo”, in genere sonnecchiante), le parole incidano nella realtà, siano delle frecce e delle spade taglienti, non solo spilli per inc… mosche (per dirla, crudamente, con Céline, scrittore senza peli sulla lingua).

Jung, il contraltare di Freud, parlando dell’opera di trasformazione delle cose operata dalle parole e dalla narrazione dei fatti, aggiunge:

«…le parole agiscono solo perché trasmettono un senso o un significato; in ciò consiste la loro efficacia. Ma il “senso” è qualcosa di spirituale. La si chiami pure “finzione”… Ma con una finzione noi agiamo in modo infinitamente più efficace che con preparati chimici (…) anzi agiamo perfino sul processo biochimico del corpo. Ora, sia che la finzione si produca in me sia che mi venga dall’esterno per mezzo della parola, essa può farmi sano o malato; le finzioni, le illusioni, le opinioni sono le cose più intangibili, più irreali che si possano immaginare, eppure da un punto di vista psicologico e perfino psicofisico sono le più efficaci.»

Rileggi ora con calma il brano precedente e rifletti sul senso complessivo. In ogni caso te lo riassumo, anche perché sintetizza lo spirito di questi articoli sul mio blog: le parole, se usate “strategicamente” (fosse pure con l’utilizzo di stratagemmi e finzioni verbali), sono il più potente agente di cambiamento psicofisico che si conosca…”

 

Le parole: men at work

 

Vediamo ancora come le parole possono diventare un fattore di condizionamento e cambiamento. Ti do ora alcuni esempi di uso mirato e creativo del linguaggio.

Primo esempio: «Ogni giorno noi ci troviamo a combattere tra due poli: la voce della fede e quella della sconfitta.».

Sì, la frase (tratta da un libro di teologia) ha un senso, anche profondo, ma può far fatica a radicarsi nella mente e, soprattutto, nell’anima. Leggi ora in inglese (ossia nell’originale) la seconda parte della frase: … the voice of faith and the voice of defeat.

Il gioco di parole, non solo è più simpatico, ma è più efficace, più pregnante – e non è solo un gioco, ma è un fuoco… (focus, ossia attenzione, concentrazione, messa a fuoco): riesce, infatti, a imprimere più a fondo il concetto.

Secondo esempio: è senz’altro più incisiva (e probabilmente rimarrà più impressa nella memoria profonda ed entrerà nella mappa mentale), per un inglese, la frase: the sin is a “defeat”, not a “defect”, piuttosto che la sua versione italiana: il peccato è una “sconfitta”, non un “difetto”.

 

Abbiamo visto due esempi molto elementari di uso del linguaggio a fini, non solo ludici, ma funzionali. Comunque, non c’è niente di nuovo: in molti testi della Tradizione (nella Bibbia, per fare un solo esempio – ma ce n’è in ogni cultura) non si riesce a star dietro alle centinaia di assonanze, giochi di parole e simbolismi atti a imprimere a fondo i concetti o a svelare il “mondo che c’è dietro al mondo…”

Niente di nuovo: fatto (o misfatto) è che la lingua si va sempre più appiattendo, con riflessi e ricadute negative sulle nostre potenzialità: sembra proprio che, con il passare del tempo, l’uso dell’emisfero cerebrale destro (quello “immaginifico”) sia andato man mano scemando.

Ma non è solo questione di caduta d’immaginazione (e di uscita dall’Eden): se dimentichiamo di stupirci di fronte al mondo visibile e invisibile che ci circonda, rimarremo istupiditi… 

 

Parole e PNL

 

Abbiamo parlato di parole. Abbiamo parlato anche di immagini: ricorda che “immaginazione” significa: in me il mago è in azione (“magh” in origine significava potente, sapiente, sacerdote: ti ricordi i “re magi”?).

Programmazione, mappe mentali e immaginazione, rappresentazioni verbali… tutto questo ci rimanda alla Programmazione Neuro-Linguistica (PNL). Questa disciplina, o metodo educativo strategico, che ho approfondito in diversi libri, attribuisce, infatti, grande importanza alle parole. E non solo a quelle “dette” (le rappresentazioni verbali – e la comunicazione verbale, o CV),  ma anche alla comunicazione paraverbale (le pause, i silenzi, i vari intercalare ecc.) e alla comunicazione non verbale (CNV), ossia quella trasmessa – o comunicata – dai canali motorio-tattile, chimico-olfattivo, visivo-cinestesico (il “linguaggio del corpo” o body language).

Non per niente John Grinder – il co-fondatore della PNL insieme a Richard Bandler – dopo essersi laureato in filosofia si appassionò alla linguistica. Così anche due tra i maggiori filosofi del ‘900: Heidegger e Wittgenstein. Per non parlare poi di Milton Erickson e del suo famoso Milton Model, costruito strategicamente in opposizione al Metamodello (anch’esso fondato sulla parola) e basato sull’uso creativo, suggestivo (dolcemente ipnotico) e strategico delle frasi, delle congiunzioni e delle interruzioni nelle sequenze verbali.

Ed è così che, grazie anche all’uso “charmant”, fascinoso, della parola – del suo suono, del suo “canto” (carmen, charme) – e al fatto che la parola, non solo è comunicazione, informazione e relazione, ma impone un comportamento (la parola informa, forma, conforma, trasforma, deforma…), la PNL si è affermata come una delle metodologie più valide, non solo nell’ambito delle tecniche di “accrescimento del potenziale umano”, ma anche in campo psicoterapeutico (e infatti, la si può fare rientrare, a pieno titolo, tra le “terapie brevi strategiche”).

Liberandoti dai lacci di un linguaggio limitato, puoi, in questo modo, aprirti a una comunicazione più aperta ed efficace con gli altri e, soprattutto, con te stesso.

 

Continuando a parlare dell’uso strategico e creativo della parola, ti devo a questo punto dare una perla (sperando che non sia calpestata…): l’intreccio e l’associazione libera di suoni, giochi linguistici, ossimori, paradossi, motti di spirito, simbolismi e voli pindarici, metafore, fiabe e racconti, sono un primo passo per accedere al mondo “immaginale” (per dirla con Henry Corbin), transpersonale e spirituale.

In ogni caso, senza andare così in alto, sono tutti mezzi e stratagemmi che ti aiutano ad ampliare la tua Stimmung e Weltanschauung prospettiva/atmosfera e la visione del mondo in quanto fanno entrare in gioco il “cervello destro”. Grazie a questo reset, verrai in possesso di una griglia interpretativa diversa della realtà che ti renderà più facile raggiungere i tuoi traguardi.

E siccome l’appetito vien mangiando, ecco qui due applicazioni: la prima è uno scioglilingua, la seconda, più gingillante, ti farà gongolare… (anche questo è un gioco di parole: ogni esercizio del genere elimina un tuo eventuale “blocco”).  

Fuor di celia, questi giochi di parole, di mia fattura – tinvito a crearne altri – contribuiscono all’incremento delle sinapsi: sono un ottimo “integratore” per il cervello…

Primo scioglilingua (e lubrifica-cervello):

Oggi sono un fuoco di fila: ho appena infilato (rifilato direbbero i maligni) un medi-file al miele in un blog di scrittura sopraffine; e poi, per finire, un mini-file al fiele in un forum di filosofia, a dar fiato alla Sophia Perennis (un po’ sfiatata, per non dire sviata, in questo tempo smagato: non ci sono più le fate di una fiata!).

Ancora:

Lascio il gregge e il grigio salvagente della ragion pura e m’immergo nelle bianche acque dolci della fantasia peregrina: guizzante come pesce liocorno in cerca di un’oasi di sale, gingillo il mio corpo azzurro e sfarfalleggio le pinne rosa tra i suoni ondeggianti, galleggiando, adagiato sull’onda vaga, tra le setose parole fluttuanti.

 

L’ultima parola

 

Bene, ti ho introdotto al magico mondo della parola “creatrice”: fiat lux.

Vorrei chiudere e sintetizzare questo post con una citazione “favolistica”: nel romanzo di Lewis Carrol “Alice nel paese delle meraviglie” c’è una conversazione illuminante tra Alice, che si è persa nel bosco, e lo Stregatto:

«Vuoi dirmi, per favore, che strada devo prendere per andare via da qui?»

Il gatto sorride ad Alice e le risponde:

«Dipende da dove vuoi andare: dove vuoi arrivare?»

«Non saprei… purché riesca ad andarmene via da qui!»

«Beh, allora poco importa che strada prendi…»

Andare via, andare verso… (quo vadis? o per essere più “di pancia”: quo vado?): si tratta dei cosiddetti Metaprogrammi, di cui parlerò, insieme al Metamodello e al Milton Model, in qualche prossimo articolo (se me lo dimentico, ricordatemelo…).

E tu, quo vadis?

 

N.B. Immagine tratta da

http://www.educazioneemozionale.it/2017/04/13/verba-volant-scripta-manent-la-manipolazione-delle-parole/