VERBA
VOLANT (E VOLUNT)
LA
PAROLA COME AGENTE DEL CAMBIAMENTO
«Le parole dei sapienti
sono come delle frecce, come dei chiodi ben piantati…»
(Qoèlet, o Ecclesiaste, nell’Antico
Testamento).
Costruire ponti e non muri.
Suona la parola la malvestita realtà…
Pensaci bene: quante
volte le tue parole, che pure avrebbero meritato un ascolto attento e
partecipe, sono scivolate via come acqua sul vetro. Quante volte sei rimasto
inascoltato, quante volte hai parlato al vento? Per dirla in musica: parole parole parole… fiumi di parole, fiumi
di parole, prima o poi ci portano via…
Le parole: molte volte
sono solo “fumus”; altre volte scorrono a fiume: ti travolgono ma non ti
sconvolgono (nel bene e nel male). Può, talvolta, però accadere che una certa
parola ti tocchi, penetri in te, si fissi nell’anima come un chiodo ben
piantato, faccia breccia nel tuo cuore e ti cambi la vita: a change for a chance.
Queste sono le parole dei “sapienti”.
E con questo arriviamo
al punto: le parole vestono (o svestono) la realtà – la parola, quando è
articolata in modo sapiente, è in grado di creare o trasformare la realtà.
Spesso parlo di emozioni,
e di come domandare/rispondere a esse (counseling, coaching, self-help); le
parole, infatti, non solo agiscono sulle emozioni, ma possono anche guidarle:
un leader può “manovrare”, nel bene e nel male, i suoi follower mediante l’uso
strategico della parola (non solo cosa dice, ma, soprattutto, come lo dice).
Questo vale in
generale: una parola efficace può
suscitare interesse nell’interlocutore e far sorgere in lui una reazione
immediata e sincera – può interessarlo
ed emozionarlo. Si stabilisce, così, un dialogo che mette in sintonia le
due persone: la parola diventa un ponte (dia-logos) gettato tra due sponde, due
realtà, due mondi, i quali tendono ad avvicinarsi, a collaborare, arricchendosi
reciprocamente.
La parola abbatte i
“muri”, oppure li “colora” (le parole possono abbellire come dei murales), li
scavalca, li sottopassa… Qualche volta ci
sbatte contro.
L’uomo come essere parlante
L’uomo è l’essere parlante, l’uomo è la parola (non per niente
Gesù è la Parola).
“Parlessere”: così lo psichiatra e filosofo francese Jacques
Lacan definiva l’intrinseca inscindibilità tra uomo e linguaggio – uomo e parola sono un tutt’uno. Infatti,
il linguaggio, più che acquisito e costruito con lo studio e l’esperienza, si
configura come una “rete” che intesse – spesso intrappola – l’uomo sin già
prima della nascita: secondo Lacan non è l’uomo che “parla un linguaggio”, ma è
“il linguaggio che parla l’uomo”.
Il linguaggio non è,
quindi, solo un semplice mezzo di comunicazione, ma è una struttura da cui
l’uomo dipende e dalla quale è determinato.
Per dirla nei termini della “linguistica strutturale”, il linguaggio – la langue (la lingua
“sociale”, astratta) – si fa parole (lingua “individuale”, concreta)
e la parole si fa atto, tant’è che, in ambito socio-linguistico,
si parla di “atto linguistico” (speech act).
La parola, da logos (parola
come mezzo di comunicazione), si fa rhema, parola efficace, creativa – spesso
nel vero senso del termine: ricordiamo che, in base all’etimologia aramaica
(una sua possibile origine), abracadabra significa: creo ciò di cui parlo. Se invece ci si rifà a una sua possibile
derivazione dall’arabo, allora: “fa’ che le cose siano distrutte”… In ogni caso
la parola è efficace, che sia costruttiva o distruttiva. In pratica, tutto è nella parola: «nessuna
cosa è dove la parola manca»
(Heidegger – citazione tratta dalla poesia Das Wort di Stefan George).
La parola: nomen omen
La parola “nomina” le
cose, le contrassegna, le crea.
Basta la parola…
La parola: suono su una faccia, e pensiero
sull’altra. Parola coessenziale
all’azione. Parola in movimento, in divenire, in estasi. Parola in
cammino, parola attiva, dinamica, scoppiettante: più che “parola”, è “verbo”, azione
che attende una re-azione.
Parola che grida quando più tace. Parola che canta,
sussurra, piange. Nella parola balugina la spiritualità dell’anima. E questa si
fa corpo. Per accoppiarsi e poi scoppiare. È la parola che dà sostanza, essere, alla “res”, alla cosa: la parola può diventare realtà.
Ho giocato con le
parole… L’importante è che, oltre a sbloccare il “cervello destro” (l’emisfero
cerebrale più “creativo”, in genere sonnecchiante), le parole incidano nella
realtà, siano delle frecce e delle spade taglienti, non solo spilli per inc…
mosche (per dirla, crudamente, con Céline, scrittore senza peli sulla lingua).
Jung, il contraltare
di Freud, parlando dell’opera di trasformazione delle cose operata dalle parole
e dalla narrazione dei fatti, aggiunge:
«…le parole agiscono
solo perché trasmettono un senso o un significato; in ciò consiste la loro efficacia.
Ma il “senso” è qualcosa di spirituale. La si chiami pure “finzione”… Ma con
una finzione noi agiamo in modo infinitamente più efficace che con preparati
chimici (…) anzi agiamo perfino sul processo biochimico del corpo. Ora, sia che
la finzione si produca in me sia che mi venga dall’esterno per mezzo della
parola, essa può farmi sano o malato; le finzioni, le illusioni, le opinioni
sono le cose più intangibili, più irreali che si possano immaginare, eppure da
un punto di vista psicologico e perfino psicofisico sono le più efficaci.»
Rileggi ora con calma
il brano precedente e rifletti sul senso complessivo. In ogni caso te lo
riassumo, anche perché sintetizza lo spirito di questi articoli sul mio blog: le parole, se usate “strategicamente”
(fosse pure con l’utilizzo di stratagemmi e finzioni verbali), sono il più potente agente di cambiamento
psicofisico che si conosca…”
Le parole: men at work
Vediamo ancora come le parole possono diventare un fattore di condizionamento e cambiamento. Ti do ora alcuni esempi di uso mirato e creativo del
linguaggio.
Primo esempio: «Ogni giorno noi ci troviamo a combattere tra due
poli: la voce della fede e quella della
sconfitta.».
Sì, la frase (tratta da un libro di teologia) ha un senso, anche profondo, ma può far fatica a
radicarsi nella mente e, soprattutto, nell’anima. Leggi ora in inglese (ossia
nell’originale) la seconda parte della frase: … the voice of faith and the voice of defeat.
Il gioco di parole, non solo è più simpatico, ma è più efficace,
più pregnante – e non è solo un gioco, ma è un fuoco… (focus, ossia attenzione, concentrazione, messa a fuoco): riesce,
infatti, a imprimere più a fondo il concetto.
Secondo esempio: è senz’altro più incisiva (e probabilmente
rimarrà più impressa nella memoria profonda ed entrerà nella mappa mentale),
per un inglese, la frase: the sin is a
“defeat”, not a “defect”, piuttosto che la sua versione italiana: il peccato è una “sconfitta”, non un “difetto”.
Abbiamo visto due esempi molto elementari di uso del linguaggio
a fini, non solo ludici, ma funzionali. Comunque, non c’è niente di nuovo: in
molti testi della Tradizione (nella Bibbia, per fare un solo esempio – ma ce
n’è in ogni cultura) non si riesce a star dietro alle centinaia di assonanze,
giochi di parole e simbolismi atti a imprimere a fondo i concetti o a svelare
il “mondo che c’è dietro al mondo…”
Niente di nuovo: fatto (o misfatto) è che la lingua si va sempre
più appiattendo, con riflessi e ricadute negative sulle nostre potenzialità:
sembra proprio che, con il passare del tempo, l’uso dell’emisfero cerebrale
destro (quello “immaginifico”) sia andato man mano scemando.
Ma non è solo questione di caduta d’immaginazione (e di uscita
dall’Eden): se dimentichiamo di stupirci di fronte al mondo visibile e invisibile
che ci circonda, rimarremo istupiditi…
Parole e PNL
Abbiamo parlato di parole.
Abbiamo parlato anche di immagini: ricorda
che “immaginazione” significa: in me il
mago è in azione (“magh” in origine significava potente, sapiente,
sacerdote: ti ricordi i “re magi”?).
Programmazione, mappe mentali
e immaginazione, rappresentazioni verbali… tutto questo ci rimanda alla Programmazione Neuro-Linguistica (PNL). Questa disciplina, o metodo
educativo strategico, che ho approfondito in diversi libri, attribuisce, infatti,
grande importanza alle parole. E non solo a quelle “dette” (le rappresentazioni verbali – e la comunicazione verbale, o CV), ma anche alla comunicazione paraverbale (le
pause, i silenzi, i vari intercalare ecc.) e alla comunicazione non verbale (CNV),
ossia quella trasmessa – o comunicata – dai canali motorio-tattile,
chimico-olfattivo, visivo-cinestesico (il “linguaggio del corpo” o body
language).
Non per niente John Grinder – il co-fondatore della PNL insieme
a Richard Bandler – dopo essersi laureato in filosofia si appassionò alla
linguistica. Così anche due tra i maggiori filosofi del ‘900: Heidegger e
Wittgenstein. Per non parlare poi di Milton Erickson e del suo famoso Milton Model, costruito strategicamente
in opposizione al Metamodello
(anch’esso fondato sulla parola) e basato sull’uso creativo, suggestivo (dolcemente ipnotico) e strategico delle
frasi, delle congiunzioni e delle interruzioni nelle sequenze verbali.
Ed è così che, grazie anche all’uso “charmant”, fascinoso, della parola – del suo suono,
del suo “canto” (carmen, charme) – e al fatto che la parola, non solo è comunicazione,
informazione e relazione, ma impone un
comportamento (la parola informa,
forma, conforma, trasforma, deforma…), la PNL si è affermata come una delle
metodologie più valide, non solo nell’ambito delle tecniche di “accrescimento
del potenziale umano”, ma anche in campo psicoterapeutico (e infatti, la si può
fare rientrare, a pieno titolo, tra le “terapie
brevi strategiche”).
Liberandoti dai lacci di un linguaggio limitato, puoi, in questo
modo, aprirti a una comunicazione più aperta ed efficace con gli altri e,
soprattutto, con te stesso.
Continuando a parlare dell’uso strategico e creativo della
parola, ti devo a questo punto dare una perla (sperando che non sia calpestata…):
l’intreccio e l’associazione libera di suoni, giochi linguistici, ossimori,
paradossi, motti di spirito, simbolismi e voli pindarici, metafore, fiabe e racconti,
sono un primo passo per accedere al mondo “immaginale” (per dirla con Henry
Corbin), transpersonale e spirituale.
In ogni caso, senza andare così in alto, sono tutti mezzi e
stratagemmi che ti aiutano ad ampliare la tua Stimmung e Weltanschauung – prospettiva/atmosfera e la visione del mondo –
in quanto fanno entrare in gioco il
“cervello destro”. Grazie a questo reset, verrai in possesso di una griglia
interpretativa diversa della realtà che ti renderà più facile raggiungere i
tuoi traguardi.
E siccome l’appetito vien mangiando, ecco qui due applicazioni:
la prima è uno scioglilingua, la seconda, più gingillante, ti farà gongolare… (anche
questo è un gioco di parole: ogni esercizio del genere elimina un tuo eventuale
“blocco”).
Fuor di celia, questi giochi di parole, di mia fattura – t’invito a crearne
altri – contribuiscono all’incremento delle sinapsi: sono un ottimo
“integratore” per il cervello…
Primo scioglilingua (e lubrifica-cervello):
Oggi sono un fuoco
di fila: ho appena infilato (rifilato direbbero i maligni)
un medi-file al miele in un blog di scrittura
sopraffine; e poi, per finire, un mini-file al fiele in un forum di filosofia, a dar fiato
alla Sophia
Perennis (un po’ sfiatata, per non dire sviata, in questo tempo smagato: non
ci sono più le fate di
una fiata!).
Ancora:
Lascio il gregge e il grigio salvagente della ragion pura e
m’immergo nelle bianche acque dolci della fantasia peregrina: guizzante come
pesce liocorno in cerca di un’oasi di sale, gingillo il mio corpo azzurro e
sfarfalleggio le pinne rosa tra i suoni ondeggianti, galleggiando, adagiato
sull’onda vaga, tra le setose parole fluttuanti.
L’ultima parola
Bene, ti ho introdotto
al magico mondo della parola “creatrice”: fiat
lux.
Vorrei chiudere e
sintetizzare questo post con una citazione “favolistica”: nel romanzo di Lewis
Carrol “Alice nel paese delle meraviglie” c’è una conversazione illuminante tra
Alice, che si è persa nel bosco, e lo Stregatto:
«Vuoi dirmi, per
favore, che strada devo prendere per andare via da qui?»
Il gatto sorride ad
Alice e le risponde:
«Dipende da dove vuoi
andare: dove vuoi arrivare?»
«Non saprei… purché
riesca ad andarmene via da qui!»
«Beh, allora poco importa
che strada prendi…»
Andare via, andare
verso… (quo vadis? o per essere più
“di pancia”: quo vado?): si tratta
dei cosiddetti Metaprogrammi, di cui
parlerò, insieme al Metamodello e al Milton Model, in qualche prossimo
articolo (se me lo dimentico, ricordatemelo…).
E tu, quo vadis?
N.B. Immagine tratta da
http://www.educazioneemozionale.it/2017/04/13/verba-volant-scripta-manent-la-manipolazione-delle-parole/