domenica 31 dicembre 2017

SILENT NIGHT – All You Need Is LOVE (and GROOVE)



SILENT   NIGHT

All You Need Is LOVE
(and GROOVE)

“Ho solo bisogno di silenzio, tanto ho parlato troppo è arrivato il tempo di tacere, di raccogliere i pensieri allegri, tristi, dolci, amari, ce ne sono tanti dentro ognuno di noi. Gli amici veri, pochi, uno? sanno ascoltare anche il silenzio, sanno aspettare, capire. Chi di parole da me ne ha avute tante e non ne vuole più, ha bisogno, come me, di silenzio.”
Alda Merini

Notte di Fine Anno, notte di silenzio e di botti. De profundis clamo ad te, Domine.
Silent night vs boogie nights. Nel giorno del Re (Sole – il “sole dell’avvenire”: Cristo come isola a cui approdare – nessun uomo è un’isola), facciamo bungee jumping tra la Realtà incandescente (ed evanescente) e lo Spirito effervescente e rutilante. 
Bingo! (stop col bunga-bunga e vai col bongo...). Sul banco – anche sottobanco – abbiamo visto apparire, anche quest'anno, la magia del Natale (quello che nasce dentro dall’Alto: il Natale altro che rompe il “Velo di Maya”).  
Maja desnuda (il mondo dello Spirito, cui ci fa accedere il “natale quotidiano”) vs Maja vestida (la realtà che vestiamo ogni giorno con i nostri abiti mentali, comprati al grande supermarket del mondo-maya delle apparenze).
Che dire? Occorre ‘morire’ (simbolicamente e nei comportamenti consolidati, se improduttivi – in questi giorni, reali sia pure ‘velati’) per poi ‘rinascere’…

“Il senso supremo dell’amore sessuale non è la nascita dei mortali, ma la resurrezione dei morti.” I versi di Dimitri Merezkovsky ben simboleggiavano l’atmosfera sacrale. Intinta di erotismo decadente, poi sempre più solare, ormai prossima al ‘risveglio’. Tutto istinto (e passione). La tensione non calò ma saltò di ottava in ottava. Passione montante. Ipertensione mistico-pratica. Red Passion. I corpi da ‘freddi’ – glaciali, da morgue – divennero ‘caldi’, da passione erotica e spirituale (territori confinanti). Sì, passion… Passion fruit. Come il piacere sessuale, dolce morso, che non è cibo da consumare, ma da centellinare. Stilla dopo stilla (e si vedono le stelle…). Che non deve consumare i corpi ma rigenerarli. Che deve toccare…
Dolcenera. Non solo sensazione eccitante, ma ‘conoscenza’: un “pro-tendesi verso l’altro”, un coinvolgimento reciproco gratificante e totalizzante. Step by step, poi rolling stones. Le anime cominciavano a farsi divine nell’unione con Dio: un ‘congiungimento’ con Dio così reale, così coinvolgente, così totalizzante, così ‘erotico’. Sic sic sic (aveva sostituito il six six six).
L’atmosfera carezzata dal groove velvet satin di Samantha James (tornata a bomba – più che altro, stella filante) e dalla soul dance di Alex & Victor (in libera uscita) fece il resto. E sul maxi-schermo (da YouTube) la voce sting-soft di Michael Stevens a far da guanciale (con un Kyle Eastwood tutto jazz a darci dentro a colpi di basso): Every little thing she does is magic (una cover. E poi, she, lei chi? Ma Ruah… lo Spirito. Prima, Arianna, adesso Ruah. Lo Spirito avrebbe sgualcito lenzuoli. E… coperto corpi).
Cheek to cheek (colt to colt, se fosse stato il giovane Clint, il su’ babbo – di Kyle). La vita aveva ricominciato a fluire. Coast to coast. Destra e Sinistra. Mystic river. I ghiacciai si erano sciolti. Nessun iceberg. Molti delfini, pinguini, foche. Qualche tricheco, pingue. Grateful life (anche per i dead).
Venite bambini, venite bambine e ditele che il mondo può essere diverso, tutto può cambiare, la vita può cambiare e può diventare come la vorrai inventare. Ditele che il sole nascerà anche d’inverno…
Lorenzo subentrò in pista a dar manforte alla ‘strategia del tocco’. Anche lui con-fuso con Julim (stessa scena nel bagno degli uomini: al posto di Diana, Ramon, modello colombiano ex narco ma ancora cocato, un po’ cocotte un po’ Cocteau; anche lui “in bagno a sniffare una bella riga di Tiramisù Boliviano.” E a far da pendant, invece di Gaia, Julim). Il ‘recipiente’: Lorenzo (Arianna era già stata ‘riempita’). Niente sesso, anche qui: solo ‘fusione’ angelica, per ‘rinforzare’ Lorenzo (Julim era ‘entrato’ doce doce in lui), come era stato per Arianna. Il tutto per dar luogo al progresso del ‘tocco’. Un ‘tocco progressivo’. Fusion Jazz.
Kindness in your eyes / I guess you heard me cry / you smiled at me/ Like Jesus to a child… George Michael dava gli ultimi tocchi al soffitto del dance-floor, sovrapponendosi all’incongruo – per il luogo (uno scherzo? O era forse solo nella sua mente?) – Francesco Tricarico di venite bambini… (Francesco chi? Carneade… salvo che per i più chic). Anche lui, Lorenzo, nella discoteca per ballare, folleggiare e… fare il trenino. Ma dietro al Logos. Incongruo? Come la vita (quante gallerie…).
L’uomo come logos che afferma se stesso, il Logos come volontà e sistema di valori. Logos, pneuma, gaia scienza… Un’altra costellazione in via di formazione (ex nihilo? No, dalla ‘terra’ preesistente): I Fratelli del Libero Spirito.
“Io mi riposo ‘tuttissima’ – trestoute”: non solo ogni uomo, ma ogni donna nella discoteca-del-destino era in pace, sola nel nulla, ma ‘tutta’ nella bellezza della bontà di Dio. Fusi ma non confusi.
“…senza muovermi minimamente per volere le pur grandi ricchezze che Dio ha in sé, l’anima riposa e gode. Dio opera in lei, per lei, senza di lei, tanto meglio quanto più lei è assente.” Visio facialis di Dio sul dance-floor. E di lì sui marciapiedi. Per le strade, sui muri, sui tetti… Visione beatifica già in questa vita. Visione corporea, carnale. Vis-à-vis. Poi, quando sarà il momento, giungerà l’attimo fuggente: la grateful death. Ma ora viviamo, godiamo, leviamo i calici…
Un lampo (esclar) seguì il fulmine del lumen gloriae, spegnendo con la sua luce smagliante fari e faretti del tempio-dance. Si sentì un suono di campane (un po’ hip-hop). Poi una fragranza al vetiver (questo il profumo dominante, ma l’intreccio aromatico andava ben oltre) invase e permeò l’atmosfera ambient. Ma ognuno la sentì nel suo intimo in modo differente (un unicum): la presenza reale, e sempre diversa, di Cristo che si contempla nell’anima e la riempie tutta, colorandola, insaporendola, profumandola. Dal ‘fumo’ al ‘profumo’: scandalo…
Pietra dello scandalo: il ‘nobile’ ingresso dello Spirito già in questa vita e l’affacciarsi di questa sulla plenitude (quasi), dopo l’uscita dalla platitude (in toto). Dopo il ‘tocco’, “l’anima può essere toccata dal dispiacere, ma questo non penetra nel suo fondo, non la tocca nel suo centro. Il centro di gravità permanente era stato raggiunto. Colpito. Scolpito nelle anime, nei corpi, negli spiriti.
Blue in green. Kind of blue. L’atmosfera si fece rosé. Fuori, buio assoluto (la luna dormiva, le stelle erano in libera uscita). A frotte sciamarono dalla discoteca, danzando, cantando, urlando (eppure sembrava s’udisse solo un sottile suono di silenzio). Si sparsero nelle strade, corsero sui muri, scivolarono sui tetti… A piedi, in bici, in moto (le macchine, appiedate). Cristo e l’arte della manutenzione dell’anima.
Tutti furono toccati. Soprattutto, i cuori. L’aria fu tutta impregnata, saturata, ossigenata. Cominciò a piovere. Diluvio universale (per il momento solo un inizio di piovasco estivo. Ma quante nuvole all’orizzonte!). Nessuna sirena nella notte, solo musica e danze. Preparate il vitello grasso (anche solo un’insalatona).
Il cielo s’illuminò. Solo un lampo. Eclar. I lampioni, più luminosi del solito. La luna si affacciò al verone (ma Firenze continuava a dormire). Le stelle si precipitarono sotto di lei (non tutte: Florence sogna e c’era chi sognava con lei. Anche chi flirtava all’ombra dei portici – del cielo).
Pioggia a catinelle. Diana inciampò in un barbone (e le stelle a guardare. Anche la luna, ritrosa). Poco mancò che cadesse (il marciapiede, per di più, era scivoloso). Non si allontanò. Si avvicinò ancor più. Nessuno la trattenne. Volle dargli un po’ d’amore. Ma si limitò a carezzarlo con affetto, carità. S’inginocchiò, lo guardò negli occhi. Pianse. Lui sorrise. I suoi denti erano più bianchi delle perle.
(Dalla chiusa di Gocce di pioggia a Jericoacoara – Premio “Emily Dickinson” 2012-13 per la letteratura).

venerdì 29 dicembre 2017

END GAME – PENSIERI DI FINE ANNO


END GAME
PENSIERI DI FINE ANNO
(cover)

Così vicina è la gloria alla nostra polvere
così vicino è Dio all’uomo
che quando il Dovere sussurra: Tu devi!
l’uomo risponde: Io posso…
(Ralph Waldo Emerson). 
Bene, chiudo l’anno con questa citazione illuminante, che riprendo da un vecchio post (come gran parte del resto: fatto è che non mi sento in gran forma – lo sarò dal 1° gennaio 2018…)
È un augurio, ma anche uno sprone all’attività, oltre ogni oltre possibile delusione o disillusione attuale. 
Ed è anche un inno all’entusiasmo (en Theos: il Dio dentro…).
Per questo, sempre di Emerson (senza Lake & Palmer), ti cito quest’altra:
Ogni grande e importante momento negli annali del mondo è sempre il trionfo di un entusiasmo. Il pensiero è il fiore, il linguaggio il boccio, l'azione il frutto.

Apriamoci, dunque, all’anno nuovo, per quanto le premesse non siano le migliori.
Quando le porte della percezione si apriranno tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite. (William Blake)
Sì, ci saranno sempre i problemi, ma:
Col complicarsi dei problemi, si vanno perfezionando anche i mezzi per risolverli. (Josè Ortega Y Gasset)
Sarà che sono un sognatore, ma io so che il 2018 sarà fatidico (l’ho detto anche l’anno scorso, ma ora sono più fiducioso): oltre il fato, forse a casa delle fate.
D’altronde: La casa della poesia non avrà mai porte. (Alda Merini)
In ogni caso, nel 2018, almeno per me e chi ha patria in questo blog, sarà un anno sacro.
Non potrà essere altrimenti, perché, per dirla con Nicolás Gómez Dávila:
Respiro male in un mondo non attraversato da ombre sacre.  
E non appena ti sveglierai il Primo dell’Anno stàmpati in mente (e nel cuore, anche nelle gambe e nelle braccia) queste parole e vedrai che qualcosa succederà (già dall’uno gennaio…):
Puoi essere più grande di qualsiasi cosa ti possa accadere.
Rifletti: l’idea di successo è sempre nella tua mente. Trovala…
(Norman Vincent Peale)

E infatti:
Se vuoi puoi, se puoi devi … Le vere decisioni si misurano con l’intraprendere nuove azioni. Se non agisci, non hai veramente deciso (Tony Robbins)
Ma ricorda questo, è sempre il buon Peale (che non perde mai il vizio) a dirlo: 
Chiedi a Dio ciò che vuoi, ma sii disposto ad accettare quello che Dio ti dà, perché potrebbe essere meglio di ciò che tu hai chiesto…
Sì, chiedi …e ti sarà dato!

lunedì 25 dicembre 2017

WHITE MERRY CHRISTMAS

WHITE MERRY CHRISTMAS
BARRY WHITE, BLACKBERRY & MAN IN MASK

È Natale (o giù di lì: siamo al fondo della discesa di questo scivoloso 2017 – sto per sbattere sulla palizzata del 31).
Natale: è sì la festa del dio sole, ma il sole è anche immagine di Gesù Cristo (il “sole di giustizia”), del nostro “sole interiore” (l'essere “figli di Dio”), del sole che scioglie il ghiaccio dei nostri cuori...
Fatto è che, tra white merry Christmas, blackberry e Barry White (e non solo: Alicia Keys e Beyoncé scalpitano) sto in souplesse da paresse natalizia (man in mask? Forse da masquerade – senza vampiri, semmai qualche vamp; meglio ancora, vampate di Spirito).
La neve mi imbianca (virtualmente), ma non mi sbianca, né mi sbanca. Sono più sbilanciato verso la saudade; se non Café del mar o Malibu, almeno (o al più: è una delle top ten tra i must della buena vita – quella da paresse balneare, s’intende) la mia Jericoacora, quella del romanzo (Gocce di pioggia a Jericoacora): di lì pesco la solita perla (i pascoli oceanici sono ancora fruttuosi…).
Il deserto cresce... guai a chi cela deserti dentro di sé! Io, nel frattempo, continuo a mirare (al)le stelle...

Good times, bad times. Lorenzo, sovraccarico, quasi ubriaco, di sensazioni sempre più hard (nel senso di: pienezza, interazione olistica di corpo-anima-spirito: quasi un intasamento dei sensi), si afflosciò nuovamente, dolcemente – soft – sulla sdraio (aveva passato le ultime ore sul terrazzino, apparentemente senza concludere granché): un timido assaggio di solare notte cosmica (riecco l’ossimoro!) gratificò la raggiunta quiete del suo animo, e di tutti i suoi sensi, prendendo il posto della sua precedente, pervadente, inquietudine. Dandogli, per la prima volta dal suo arrivo (era il secondo giorno), un senso d’invadente calma, di piacere quasi fisico, di atarassia, aponia, anarchia... Calma talora smossa da residui sfrigolii di un’ancora fresca agonia rattrappita, raggelata, ma sempre più scossa da nuovi brividi di giubilo, gioia, gaiezza: pochi, brevi, parziali.
Sentiva nella ghianda dell’anima che c’era something new in the air. Qualcosa di nuovo stava per accadere: su di sé, intorno a sé, dentro di sé, sentiva good vibrations. Sentì vibrare il nucleo, il cuore, l’antro sotterraneo che si celava dentro: un desiderio violento lo pervase, come magma pronto a eruttare che la crosta esterna comprimeva, tratteneva, faceva muraglia tutt’intorno. Bramose voglie in cerca di un significato, aneliti vulcanici, ma spesso degradati a basic instincts senza profondità vitale.
Nondimeno, dal mondo del sogno – il Tjukurrpa aborigeno in cui spesso si rifugiava, e da sempre (già nel ventre materno – così gli sussurrava l’Io subliminale) – più di una volta era riuscito a tirar fuori il ‘nucleo immaginale immanente’ (frase a effetto esplosa da Lorenzo in una delle conferenze amatoriali del suo periodo rosa), cioè la qualità ‘numinosa’ che lo sottendeva. In pratica, aveva dato corpo (nel vero senso del termine) ai voli della sua immaginazione.
Quel bisogno di creatività, di fuga dal mondo, di fantasie da realizzare, che può creare sia il gigante sia il mostro. Ma Lorenzo non era riuscito a essere né l’uno né l’altro; se non a sprazzi o, nel migliore dei casi, in maniera discontinua, frammentata. Arenato, frenato, appesantito dall’io sociale che non lasciava correre il suo io reale. Eppure la voce tiranna – Krishnamurti dixit – gridava...
E come strillava! Munch… Sussurri e grida. Un urlo sul ponte.
Ginsberg… che urlo! “Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa…” Anche Lorenzo arrancava, ma senza strillare. Non più nero di rabbia. Solo frenato. Senza remi, con molte remore. Ramingo.
Freni interni ed esterni. Per rompere i quali, e catapultarsi nella vita, aveva cercato – pensando che fosse lì il problema – d’integrare il puer con il senex (quest’ultimo, in lui, pressoché assente), affinché si riconciliassero e passeggiassero insieme. Ma il fanciullo aveva avuto sempre la meglio.
Aveva, infine (passo decisivo), compreso che il suo malessere esistenziale derivava da un bisogno inespresso di esplorare le contrade del mondo dello spirito, le città invisibili: un mal-essere che solo un rivolgimento completo del suo essere, una metànoia, avrebbe potuto dissolvere.

sabato 23 dicembre 2017

XMAS ON THE BLOCK – CHRISTMAS SONG



XMAS ON THE BLOCK
CHRISTMAS SONG
maschere incenso e mirra
(remix)

Natale è a un dipresso (scusate il termine “nostalgico”, ma tra poco sarò – e sarà – tutto “nuovo”). 
Tra due giorni Natale, due giorni fa: ventuno dicembre, solstizio d’inverno. Ventuno grammi: il peso dell’anima. "... se la psiche è l'anima, e l'anima è il mondo della nostra esperienza, come sostiene Aristotele, essa ci fa paura. Non ne vogliamo troppa o troppe varietà. La vogliamo ridotta a percezione e a immaginazione terrene, niente sogni a colori". (R. D. Laing).
Anima disanimata, parole senz’anima. Questo spesso è lo ‘spirito’ del Natale. Ma il Natale può essere altro, e ‘oltre’: Anche ultra (o ultrà). L’importante è che dietro lo specchio delle parole ci sia un’anima. Meglio, anima e sangue.
Sì, bloody Christmas (anche un po’ blue & green). Natale rosso vitale – anche Babbo Natale si è tinto di rosso: che sotto sotto non sia anche lui un ultrà? Carne e sangue: non solo sangue dei vinti (come in molti siamo tuttora – ‘sconfitti’ all’interno della lotta, o teatro, o cosmo, o caos, dell’esistenza), ma sangue dei vincitori.
Natale al sangue (non ‘esangue’). Sang real. Come quello di Aung San Suu Kyi. In attesa dell’instaurazione (o restaurazione), dopo tanta retorica, del modello di uomo e donna ‘persuasi’ – come direbbe Michelstaedter: la ‘persuasione’ dell’individuo (indiviso) autentico vs la ‘retorica’ dell’(in)dividuo (diviso) inautentico. Il Pensiero ‘diversificato vs il Bispensiero ‘unico’. E last but not least, un Natale eclar, cristico e solare, vs il Natale d’accatto e d’achat.
In sintesi (senza psicanalisi), una modalità di vita ‘vera’, pregna di senso e di valore, vs la falsità, la banalità, la massificazione, il vivere pseudomoderno basato sulla platitude di un sapere e di un vivere inautentico, impersonale, non creativo, come quello della tecnica, del consumismo e del mordi e fuggi su SUV con la protesi-cellulare incollata a orecchie sempre più insordite.
OK. Orecchio, occhio, good vibrations. Toti e Tata. Vi titillo, dopo tante quisquiglie, con due pinzellacchere: una mia (tratta dal mio romanzo Gocce di pioggia a Jericoacoara), l’altra, più ‘corposa’, tratta per copia e incolla da un vecchio post di Alessandra Colla, una cui il Natale non si attacca proprio…

Blue in green. Kind of blue. L’atmosfera si fece rosé. Fuori, buio assoluto (la luna dormiva, le stelle erano in libera uscita). A frotte sciamarono dalla discoteca, danzando, cantando, urlando (eppure sembrava s’udisse solo un sottile suono di silenzio). Si sparsero nelle strade, corsero sui muri, scivolarono sui tetti… A piedi, in bici, in moto (le macchine, appiedate). Cristo e l’arte della manutenzione dell’anima.
Tutti furono toccati. Soprattutto, i cuori. L’aria fu tutta impregnata, saturata, ossigenata. Cominciò a piovere. Diluvio universale (per il momento solo un inizio di piovasco estivo. Ma quante nuvole all’orizzonte!). Nessuna sirena nella notte, solo musica e danze. Preparate il vitello grasso (anche solo un’insalatona).
Il cielo s’illuminò. Solo un lampo. Eclar. I lampioni, più luminosi del solito. La luna si affacciò al verone (ma Firenze continuava a dormire). Le stelle si precipitarono sotto di lei (non tutte: Florence sogna e c’era chi sognava con lei. Anche chi flirtava all’ombra dei portici – del cielo).
Pioggia a catinelle. Diana inciampò in un barbone (e le stelle a guardare. Anche la luna, ritrosa). Poco mancò che cadesse (il marciapiede, per di più, era scivoloso). Non si allontanò. Si avvicinò ancor più. Nessuno la trattenne. Volle dargli un po’ d’amore. Ma si limitò a carezzarlo con affetto, carità. S’inginocchiò, lo guardò negli occhi. Pianse. Lui sorrise. I suoi denti erano più bianchi delle perle.
Socchiuse la porta della toilette sbirciando da una parte e dall’altra per assicurarsi di non essere vista da nessuno, e scivolò veloce lungo il corridoio per rientrare nel suo ufficio. Dalla più grande delle sale riunioni arrivava il brusìo festoso del rinfresco offerto dalla direzione, ma lei non vedeva l’ora di immergersi nuovamente nel silenzio della sua stanza, lontano da tutta quell’ipocrisia luccicante che le toccava subire ogni benedetto dicembre. Pazienza per il Capodanno: anche se non ricordava di essersi mai veramente divertita in quelle occasioni di allegria forzata che le mettevano addosso la voglia di scappare. Ma il Natale proprio no. Quello sì che era insopportabile, con le sue troppe luci, i troppi sorrisi, la troppa gentilezza — tutta roba destinata a finire in uno scatolone da portare in cantina e tirar fuori l’anno dopo, alla faccia dei buoni sentimenti.
Finalmente al sicuro dietro la scrivania, contemplò il calendario. Era soltanto il 21: mancavano ancora quattro giorni — lunghi, noiosi e minacciosamente traboccanti di telefonate, messaggi e biglietti d’auguri ai quali le sarebbe toccato rispondere. Qualcuno bussò alla porta, e lei si tuffò dietro il pc per dare l’idea di essere una persona molto impegnata. La porta si aprì lasciando spuntare un paio di teste sorridenti: «Ma come, è ancora qui?!? Le abbiamo portato qualcosina, se proprio non ce la fa a liberarsi e a venire di là con noi…» e una delle segretarie le mise sul tavolo un piatto di stuzzichini e un bicchiere di champagne. Poi scapparono via in un turbinìo di volants e paillettes — un cocktail in ufficio, che occasione di sfoggio…
Si tolse dalla faccia il sorriso di circostanza, e si riadagiò sulla poltrona (ergonomica e lussuosa, servirà pure a qualcosa essere in carriera, no?), sospirando. In realtà di lavoro da fare ne aveva sul serio, e parecchio. Ma in quei giorni prefestivi sembrava che la gente non ci stesse più con la testa, e anche le cose più semplici diventavano inspiegabilmente complicate. Avevano tutti quell’espressione indisponente, come bambini che già avessero combinato una marachella o che ne stessero architettando una, ma grossa grossa… E non c’era angolo in città che non fosse afflitto da qualcosa di scintillante o di rosso o di tintinnante, come se l’unico pensiero fosse — dovesse essere! — per forza quello del Natale col suo strascico di stucchevoli rituali.
Guardò l’ora, e andò ad aprire la porta: il brusìo si era smorzato, e gli uffici lentamente si svuotavano. Richiuse e andò alla finestra: giù in strada tutti sciamavano verso casa, impazienti di dare inizio al lungo ponte festivo. A lei, di andare a casa, non importava poi un granché — non l’aspettava nessuno, neanche un cane o un gatto. Nemmeno una pianta, per la verità: quelle che aveva gliele curava il portinaio, che si premurava di fargliele trovare sul pianerottolo il venerdì sera, con le foglie lustre e ben innaffiate, pronte a fare bella figura nel fine settimana. Non in tutti i fine settimana, naturalmente: perché spesso era fuori casa, in viaggio da sola o con qualcuno.
Se le avessero fatto notare che la sua indipendenza si avviava pericolosamente a far rima con solitudine, si sarebbe messa a ridere. Stava bene così, lei. Diceva. Forse lo pensava davvero: anche se le capitava raramente di pensare a se stessa. Si trattenne ancora un po’ a sistemare le ultime cose, poi chiamò un taxi e scese alla svelta. Ebbe la fortuna di trovare un tassista introverso — o semplicemente appassionato di radio, dal momento che la teneva a un volume troppo alto per fare conversazione. Durante il tragitto, più lungo del consueto a causa del traffico, ebbe modo di farsi una cultura sul solstizio in corso — vero, il 21 dicembre è il solstizio d’inverno, e la mente le si affollò anche di leggende ed equinozi e vaghe reminiscenze di geografia astronomica, tanto che si ritrovò sotto casa senza quasi accorgersene. Pagò il tassista, che ebbe la compiacenza di non augurarle un bel niente, e salì in casa.
La sera la trascorse uguale a mille altre sere, nell’appartamento curatissimo in cui soltanto il calendario denunciava l’avvicendarsi delle stagioni. La mezzanotte giunse veloce, e poi passò; non mancava molto alle due quando si decise ad andare a letto, dopo la routine di libri e film che le tenevano compagnia quando non c’era nessuno con lei, e mentre si preparava per dormire fu attratta da un insolito tremolìo nel cielo stellato che riempiva la finestra: l’aria era gelida e cristallina, e lassù all’undicesimo piano la notte sembrava in qualche modo diversa. Si avvolse in uno scialle e uscì sulla terrazza, guardando il cielo incuriosita come se fosse la prima volta: sul nero implacabile della notte d’inverno le stelle baluginavano incerte, e il fenomeno la sorprese. A un tratto, con la coda dell’occhio, colse un movimento strano, come quando si scorge per caso una stella cadente — siamo a dicembre, che sciocchezza! Ma il movimento strano si ripeté dopo qualche istante, e finalmente riuscì a capire: là dove prima aveva visto una stella, ora c’era soltanto il buio. L’idea le parve così assurda che non riuscì a staccarsi da dov’era, e rimase col naso in su, a contemplare incredula quello che sicuramente doveva avere solo immaginato. Ecco, di nuovo: era sparita un’altra stella. E poi, lentamente, una terza, e poi ancora un’altra e un’altra…
Attonita — no, spaventata — pescò nella tasca della tuta il cellulare (e chi avrebbe chiamato? la polizia? i carabinieri? i vigili del fuoco? a chi si telefona quando sparisce una stella? bisogna fare una denuncia?) e si avvide che ormai erano quasi le tre: e intanto piano piano, lentamente, le stelle sparivano lasciando la notte sempre più buia, e l’alba sembrava così lontana e chissà quando sarebbe sorto il sole a squarciare quelle tenebre… Ma se le stelle si stavano spegnendo, che sarebbe successo al sole? È una stella, no? Si sarebbe spento? Cioè, sarebbe sorto ancora? O era già sparito anche lui? Si accorse che stava battendo i denti, e non soltanto per il freddo; sentiva di avere gli occhi spalancati dal terrore, ormai, e non più dal semplice sforzo di vedere nel buio. Rientrò precipitosamente, mentre il cervello pulsava frenetico alla ricerca di un appiglio razionale che le permettesse di contenere il panico. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era “luce”; e d’un tratto le vennero in mente le cose che aveva sentito per radio, e insieme a quelle anche gli echi di vecchi racconti e i ricordi delle serate in famiglia, quando era bambina e le carte da scegliere nel mazzo erano così tante da non poterle contare…
Il cielo s’incupiva sempre più, lentamente ma senza posa, mentre lei rovesciava i cassetti e vuotava le scatole nel ripostiglio, alla ricerca dell’unico rimedio che avrebbe rimesso le cose a posto — forse… Forse?!? Finalmente, dal fondo di un sacchetto di nastri, carte da regalo e cianfrusaglie, emerse una candelina rossa, infiocchettata di verde, con un campanellino d’oro un po’ ammaccato. Reggendola trionfante fra le mani corse in cucina e l’accese sul fornello; poi corse sul terrazzo e la levò alta verso il cielo sempre più nero. Rabbrividiva — e non soltanto per il freddo — mentre ripeteva il gesto antico per scongiurare un terrore altrettanto antico: la fiammella tremolava nella notte, e aveva le mani ghiacciate.
A un tratto, con la coda dell’occhio, percepì qualcosa nelle tenebre che la sovrastavano: volse la testa di scatto ed ecco, là dove c’era il buio, brillava debolmente una stella. Poi, dopo un tempo interminabile, apparve un altro bagliore, e poi pian piano un terzo e un altro ancora, e il cielo non fu più un drappo denso ma un velo scintillante. Ora non sentiva più il freddo, e le labbra gelate le si stirarono in un sorriso spontaneo mentre restava lì, in piedi sul terrazzo, ad aspettare l’aurora. Sarebbe arrivata, lo sapeva; e dopo di lei l’alba e finalmente il sole — un sole tutto nuovo, trionfante nella luce che avrebbe spazzato via quelle ore cupe, rese ancora più buie dalla paura di una notte senza fine. All’orizzonte, il cielo si tinse lentamente di un lilla tenue che sfumava nel lavanda e poi in un rassicurante rosa pesca. L’alba era prossima, e con essa il nuovo sole.
Sbadigliò: era ora di andare a riposare, perché il giorno dopo sarebbe stato pieno di impegni — scrivere auguri e comprare regali e addobbare la casa. Natale è già qui.
P. S. Buon Natale e Buon Anno Nuovo.