WHITE
MERRY CHRISTMAS
BARRY WHITE, BLACKBERRY & MAN IN MASK
È Natale (o giù di lì: siamo al fondo della discesa di questo scivoloso 2017 – sto
per sbattere sulla palizzata del 31).
Natale: è sì la festa del dio sole, ma il sole è anche immagine di Gesù Cristo
(il “sole di giustizia”), del nostro “sole interiore” (l'essere “figli di Dio”), del sole che scioglie il ghiaccio dei
nostri cuori...
Fatto è che, tra white merry Christmas, blackberry e Barry White (e non solo: Alicia
Keys e Beyoncé scalpitano) sto in souplesse da paresse natalizia (man in mask? Forse da masquerade
– senza vampiri, semmai qualche vamp; meglio
ancora, vampate di Spirito).
La neve mi imbianca (virtualmente), ma
non mi sbianca, né mi sbanca. Sono più sbilanciato verso la saudade; se non Café del mar o Malibu,
almeno (o al più: è una delle top ten tra i must della buena vita –
quella da paresse balneare, s’intende) la mia Jericoacora, quella del romanzo
(Gocce di pioggia a Jericoacora): di lì pesco la solita perla (i pascoli oceanici sono
ancora fruttuosi…).
Il deserto cresce... guai a chi cela deserti dentro
di sé! Io, nel frattempo, continuo a mirare
(al)le stelle...
Good times, bad times. Lorenzo,
sovraccarico, quasi ubriaco, di sensazioni sempre più hard (nel senso di:
pienezza, interazione olistica di corpo-anima-spirito: quasi un intasamento dei
sensi), si afflosciò nuovamente, dolcemente – soft – sulla sdraio (aveva
passato le ultime ore sul terrazzino, apparentemente senza concludere granché):
un timido assaggio di solare notte cosmica (riecco l’ossimoro!) gratificò la
raggiunta quiete del suo animo, e di tutti i suoi sensi, prendendo il posto
della sua precedente, pervadente, inquietudine. Dandogli, per la prima volta
dal suo arrivo (era il secondo giorno), un senso d’invadente calma, di piacere
quasi fisico, di atarassia, aponia, anarchia... Calma talora smossa da residui
sfrigolii di un’ancora fresca agonia rattrappita, raggelata, ma sempre più
scossa da nuovi brividi di giubilo, gioia, gaiezza: pochi, brevi, parziali.
Sentiva nella ghianda dell’anima che
c’era something new in the air. Qualcosa di nuovo stava per accadere: su di sé,
intorno a sé, dentro di sé, sentiva good vibrations. Sentì vibrare il nucleo,
il cuore, l’antro sotterraneo che si celava dentro: un desiderio violento lo
pervase, come magma pronto a eruttare che la crosta esterna comprimeva, tratteneva,
faceva muraglia tutt’intorno. Bramose voglie in cerca di un significato,
aneliti vulcanici, ma spesso degradati a basic instincts senza profondità
vitale.
Nondimeno, dal mondo del sogno – il
Tjukurrpa aborigeno in cui spesso si rifugiava, e da sempre (già nel ventre
materno – così gli sussurrava l’Io subliminale) – più di una volta era riuscito
a tirar fuori il ‘nucleo immaginale immanente’ (frase a effetto esplosa da
Lorenzo in una delle conferenze amatoriali del suo periodo rosa), cioè la
qualità ‘numinosa’ che lo sottendeva. In pratica, aveva dato corpo (nel vero
senso del termine) ai voli della sua immaginazione.
Quel bisogno di creatività, di fuga dal
mondo, di fantasie da realizzare, che può creare sia il gigante sia il mostro.
Ma Lorenzo non era riuscito a essere né l’uno né l’altro; se non a sprazzi o,
nel migliore dei casi, in maniera discontinua, frammentata. Arenato, frenato,
appesantito dall’io sociale che non lasciava correre il suo io reale. Eppure la
voce tiranna – Krishnamurti dixit – gridava...
E come strillava! Munch… Sussurri e
grida. Un urlo sul ponte.
Ginsberg… che urlo! “Ho visto le menti
migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche,
trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa…” Anche
Lorenzo arrancava, ma senza strillare. Non più nero di rabbia. Solo frenato.
Senza remi, con molte remore. Ramingo.
Freni interni ed esterni. Per rompere i
quali, e catapultarsi nella vita, aveva cercato – pensando che fosse lì il
problema – d’integrare il puer con il senex (quest’ultimo, in lui, pressoché
assente), affinché si riconciliassero e passeggiassero insieme. Ma il fanciullo
aveva avuto sempre la meglio.
Aveva, infine (passo decisivo), compreso
che il suo malessere esistenziale derivava da un bisogno inespresso di
esplorare le contrade del mondo dello spirito, le città invisibili: un
mal-essere che solo un rivolgimento completo del suo essere, una metànoia,
avrebbe potuto dissolvere.
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