giovedì 8 marzo 2018

OTTO MARZO – FLY… FEMME FATALE

FLY… FEMME FATALE

Vola donna vola… via il velo: Dio è con te!
Otto marzo: otto volante. Donna: l’infinito svelato. E che l’otto e il tre (marzo) siano, rispettivamente, segni (e tracce) d’infinito è senz’altro emblematico. La donna è l’infinito “definito”.
Fire! Fire! Fire! Bessie la russa, Peppina e Concetta le italiane, Fannie l’ucraina. Sono solo alcune delle centoventinove ragazze morte nel rogo della camiceria Triangle Shirtwaist a New York. Era il 25 marzo 1911 (certo che il 9 e l’11 si ripetono un po’ troppo spesso nella Grande Mela – sarà il verme?). Sì, centoventinove donne fatali: queste sì femmes fatales.
E pensare che, se maschio significherebbe ‘maiuscolo’, ‘foemina’ varrebbe ‘minuscola’; più precisamente: fede minima (fides minus). Semmai, fidei munus (dono della fede). E poi le donne non hanno fede, hanno certezze
E a proposito di donne, non posso che passare il flabello (quello di Margherita Porete, la mistica. Ma il suo, come in ogni donna, è un flagello – nel senso di frusta, per flagellare, non tanto il pensiero debole, quanto i deboli di pensiero. “Siate caldi oppure freddi: ma i tiepidi li vomiterò nella Geenna.”) a un brano tratto dal mio “Gocce di pioggia a Jericoacoara”.

UBI FOEMINA-MAIOR MINUS-MACHO CESSAT

Pesanti gocce d’ardore e afrore sfiorarono le ardue tempie, rotolando, doce doce, sulle guance. Le dita, guadando sui rivi affioranti su ogni lembo di pelle, guadagnavano posizioni sulla terraferma (e sui corpi in movimento), tracciando segnature e marcando territori. Mischiati, uniti, complici: la spada di lui affilata, di nuovo nella guaina dopo volteggi solo aerei; lei, la foemina: lancia in resta.
La terra bruciava. Il vomere ricominciava a tracciare solchi, il terreno franava sotto i loro piedi. Sorgeva il sole invitto e la luna, sconfitta, impallidiva. Di nuovo albeggiava, dopo il tramonto, l’effimero, l’ossimoro con la esse blesa e la ‘o’ blasé. Nessun freno, nessuna remora, nessuna esitazione: il treno del desiderio si lanciò a fari spenti nella prima galleria.
L’universo fisico si fermò. Ma non il flusso erotico, anche eretico, in piena risorgiva, né lo slancio – élan vital – del furor fanico (fanatico e sexy: anche qui l’ossimoro sacro-profano non fa una piega).
Il monte (di Venere) franò, preso dal panico. Prima brividi a briciole, poi tremiti a valanga: la passione prese a correre nuda sopra (e sotto) i corpi, scavalcando ogni ostacolo, scivolandoci sotto (e sopra). Come sopra così sotto. Anche dietro (l’angolo). Ma sempre in avanscoperta (e sottocoperta).
“L’albero m’è penetrato nelle mani, la sua linfa m’è ascesa nelle braccia. L’albero m’è cresciuto nel seno profondo, i rami spuntano da me come braccia.” Sorrisi, gocce, origami. I rivi si fecero torrenti, poi fiumi, infine laghi, ma sempre tempestosi. Alla Ezra Pound. Cime tempestose, valli fiorite. Eros gentile. Fior da fiore, le sinapsi del circuito dell’Eros (esisteranno pure?) si moltiplicavano indefinitamente, creando nuovi circuiti primari e secondari, by-pass e collegamenti volanti. Senza rispettare regole e norme: a rischio di black-out.
Pensiero stupendo. Nasce un poco strisciando. Si potrebbe trattare di bisogno d’amore. Meglio non dire… La stanza s’illuminò di botto: tante lucciole (vere o virtuali) avevano invaso l’ambiente, sia pur chiuso, moltiplicando i lux. In un fiat. Una voce sottile, quasi di silenzio, lambiva le pareti. Come paracadutata dal cielo. Le carezzava, vellicava, titillava, permeandole e spremendo bolle e bollicine, togliendo i punti neri e disincagliando pori occlusi da troppo tempo, per poi affacciarsi timidamente nella camera e fondersi, ossimoricamente, coi fiati di lui e di lei.
“Questi amanti incorporei s’incontrarono, un cielo nello sguardo, cielo dei cieli a ognuno il privilegio di contemplare gli occhi dell’altro.” Prima Ivan Segreto, poi Kazu Matsui, ora Mark Almond a farli veleggiare sulla spuma del suo Cruising. E i versi della Dickinson, onde sempre più spumose, ma vieppiù dolci, nu babà…
“Vi furono mai Nozze come queste? Un Paradiso li ospitava. E Cherubini e Serafini furono i rispettosi invitati.” La costa era vicina. Il suono delle sirene del porto (delle nebbie) li invitava ad approdare. Le vele ammainate, i remi in barca, i sensi nella stiva. Ma il canto di altre sirene, flautato, dolce, invitante, ludico, innocentemente lubrico, iniziò a pervadere la stanza.
E tu ancora. E noi ancora. E le donne: sempre.


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