FLY… FEMME FATALE
Vola donna vola… via il velo: Dio è
con te!
Otto marzo: otto
volante. Donna: l’infinito svelato. E che l’otto e il tre
(marzo) siano, rispettivamente, segni (e tracce) d’infinito è senz’altro
emblematico. La donna è l’infinito “definito”.
Fire! Fire! Fire! Bessie la russa, Peppina e Concetta le
italiane, Fannie l’ucraina. Sono solo alcune delle centoventinove ragazze morte
nel rogo della camiceria Triangle Shirtwaist a New York. Era il 25 marzo
1911 (certo che il 9 e l’11 si ripetono un po’ troppo spesso nella Grande Mela
– sarà il verme?). Sì, centoventinove donne fatali: queste sì femmes
fatales.
E pensare che, se maschio significherebbe ‘maiuscolo’, ‘foemina’ varrebbe
‘minuscola’; più precisamente: fede minima (fides minus). Semmai, fidei
munus (dono della fede). E poi le donne non hanno fede, hanno certezze…
E a proposito di donne, non posso che passare il flabello (quello di
Margherita Porete, la mistica. Ma il suo, come in ogni donna, è un flagello –
nel senso di frusta, per flagellare, non tanto il pensiero debole, quanto i deboli
di pensiero. “Siate caldi oppure freddi: ma i tiepidi li vomiterò nella
Geenna.”) a un brano tratto dal mio “Gocce di pioggia
a Jericoacoara”.
UBI FOEMINA-MAIOR MINUS-MACHO CESSAT
Pesanti gocce d’ardore e afrore sfiorarono le ardue tempie, rotolando, doce
doce, sulle guance. Le dita, guadando sui rivi affioranti su ogni lembo di
pelle, guadagnavano posizioni sulla terraferma (e sui corpi in movimento),
tracciando segnature e marcando territori. Mischiati, uniti, complici: la spada
di lui affilata, di nuovo nella guaina dopo volteggi solo aerei; lei, la foemina: lancia in resta.
La terra bruciava. Il vomere ricominciava a tracciare solchi, il terreno
franava sotto i loro piedi. Sorgeva il sole invitto e la luna, sconfitta,
impallidiva. Di nuovo albeggiava, dopo il tramonto, l’effimero, l’ossimoro
con la esse blesa e la ‘o’ blasé. Nessun freno, nessuna remora, nessuna
esitazione: il treno del desiderio si lanciò a fari spenti nella prima
galleria.
L’universo fisico si fermò. Ma non il flusso erotico, anche
eretico, in piena risorgiva, né lo slancio – élan vital – del furor
fanico (fanatico e sexy: anche qui l’ossimoro sacro-profano non fa una piega).
Il monte (di Venere) franò, preso dal panico. Prima brividi a briciole, poi
tremiti a valanga: la passione prese a correre nuda sopra (e sotto) i corpi,
scavalcando ogni ostacolo, scivolandoci sotto (e sopra). Come sopra così sotto.
Anche dietro (l’angolo). Ma sempre in avanscoperta (e sottocoperta).
“L’albero m’è penetrato nelle mani, la sua linfa m’è ascesa nelle braccia.
L’albero m’è cresciuto nel seno profondo, i rami spuntano da me come braccia.” Sorrisi, gocce,
origami. I rivi si fecero torrenti, poi fiumi, infine laghi, ma sempre
tempestosi. Alla Ezra Pound. Cime tempestose, valli fiorite. Eros gentile. Fior da fiore, le
sinapsi del circuito dell’Eros (esisteranno pure?) si moltiplicavano
indefinitamente, creando nuovi circuiti primari e secondari, by-pass e
collegamenti volanti. Senza rispettare regole e norme: a rischio di black-out.
Pensiero stupendo. Nasce un poco strisciando. Si potrebbe trattare di
bisogno d’amore. Meglio non dire… La stanza s’illuminò di botto: tante
lucciole (vere o virtuali) avevano invaso l’ambiente, sia pur chiuso,
moltiplicando i lux. In un fiat. Una voce sottile, quasi di silenzio,
lambiva le pareti. Come paracadutata dal cielo. Le carezzava, vellicava,
titillava, permeandole e spremendo bolle e bollicine, togliendo i punti neri e
disincagliando pori occlusi da troppo tempo, per poi affacciarsi timidamente
nella camera e fondersi, ossimoricamente, coi fiati di lui e di lei.
“Questi amanti incorporei s’incontrarono, un cielo nello sguardo, cielo dei
cieli a ognuno il privilegio di contemplare gli occhi dell’altro.” Prima Ivan Segreto,
poi Kazu Matsui, ora Mark Almond a farli veleggiare sulla spuma del suo Cruising.
E i versi della Dickinson, onde sempre più spumose, ma vieppiù dolci, nu
babà…
“Vi furono mai Nozze come queste? Un Paradiso li ospitava. E Cherubini e
Serafini furono i rispettosi invitati.” La costa era vicina. Il suono delle
sirene del porto (delle nebbie) li invitava ad approdare. Le vele ammainate, i
remi in barca, i sensi nella stiva. Ma il canto di altre sirene, flautato,
dolce, invitante, ludico, innocentemente lubrico, iniziò a pervadere la stanza.
E tu ancora. E noi ancora. E le donne: sempre.
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