LOVE IS A PINK CAKE
Fiori di cellofan e cieli di marmellata. La ferita si richiuse subito. Dopo il primo fendente, senza che Arianna tentasse, non diciamo una contromossa da capoeira, ma almeno un’unghiata (le aveva sempre avuto corte, le unghie, solo ultimamente – canard enchainé –, da ragazza branchée se le era fatte french, alla moda), tutto filò liscio: dopo il botto iniziale, sulla battigia, fecero subito coppia. Una danza gestuale brut, un sincronismo di sguardi, parole, vibrazioni. Una stimmung gestaltica, quasi da trip da LSD. Lucy in the sky with diamonds. Tocchi virtuali, progressivi, in-gredienti. Tra una caipirinha e l’altra, in un crescendo di toni, senza nessuna stonatura. Come spesso avviene agli esordi. E poi?
“Love is a pink cake” scriveva Andy Warhol. Tutto era romantically correct: la spiaggia da sogno (la ‘torta rosa’), il romanzo di grido e l’abbronzatura fashion (più o meno naturista, come trent’anni prima). Da pop-art (e peep-show – di quelli soft, però). Una pink cake piena di cuoricini e con la faccia di Marilyn (o la sua – ma il compleanno era scaduto da circa tre mesi). A far da testimonial al (trans)oceanico love affair, dopo i primi tre giorni a Jericoacoara vissuti da single. In quello che, dopo qualche piccola pazzia loca a Fortaleza, doveva essere un suo eden privato. Con tanto di cancellata. Magari da aprirsi, ma solo quando le sarebbe frullato per la testa. Senza badare al serpente (e alla mela: intera o frullata, non importava).
In ogni caso, fino a quel fatidico martedì, nemmeno l’ombra di Adamo… Nessun fico (con o senza foglia). E nessun Dio. E nemmeno un deus ex machina, un Dio ‘tappabuchi’, per risolvere i problemi. Bastava a se stessa. Arianna e il suo paradiso prêt à porter: un odeon a gradini, illuminato dalle luci al neon, questo il suo eden. Tra kitsch e (hotel) Ritz. Proprio come lei: quel poco di snob, diciamo un dieci per cento (lascito della su’ nonna), un tocco di kitsch (idem, ma da parte di mummy yankee, figlia dei fiori). Infine, un eccesso di eleganza innata (dono di natura, suo carisma). E il babbo? Less than zero.
Lo sguardo di Tomás la portò in mare aperto. Un vortice d’acqua dolce la risucchiò e la fece scomparire negli abissi. Poi, di nuovo dal dolce al sale. Sapore di sale, sapore di mare, voglia di amare. Infine, la spiaggia, mano nella mano di Tomás, le forme morbide in linea con le dune, i capelli in sintonia con la brezza.
Il contatto, pelle a pelle, col corpo del macho togo di Rio valse a farla tornare coi piedi sulla sabbia. I muscoli di entrambi (anche quelli di Arianna, abilmente dissimulati), gli sguardi, sfrontati o interrogativi: tutti tesi verso il traguardo. Le fronti spaziose, le labbra carnose, dossi e valli tra dune e palme: lui, flessuoso ma maschio, tappeto su cui danzare, plaid da cui farsi abbracciare; lei, femmina ribelle (ma slave to love), flabello da sventagliare, divano da rifoderare, carrozzeria da smerigliare… Lui, una tantum, transgender di frontiere; lei, il più delle volte, costretta entro i confini (che, però, ogni tanto – carpe diem – oltrepassava, trasgrediva, trasognava). Reach out and touch faith…
Donna borderline, Arianna, non appiattita sulla vociante piazza dell’omogeneizzazione dei generi, né nostalgica di gerarchie, maschiliste o femministe. Era sempre lei a condurre il gioco. Per una questione di cellule… (per dirla alla Lucio Battisti, suo mito inox, malgré tout). Nondimeno, anche in lei, sotto sotto, la voce ‘tiranna’ (una sottile voce di silenzio) sussurrava (o gridava, nelle ‘segrete’ dei suoi heideggeriani sentieri interrotti): Your own Personal Jesus… Someone to hear your prayers… Someone who cares…
Reach out and touch! Predatrice, senza essere donna piranha (anche prima di Fortaleza). Lei la boccia, gli altri i birilli. Femmina virilmente in bilico (ma mai sboccata). Altalenante tra il casual sneakers e lo stilizzato tacchi a spillo. Come le ragazze di Miranda, la direttrice glam Prada-vestita. Mai virago, però.
“Viviamo in un mondo terra terra: per adattarsi ad esso il fanciullo abdica alla sua estasi” – Lorenzo l’aveva introdotta a R. D. Laing e a Mallarmé: “L’enfant abdique son extase.” Ma lei si sentiva ancora regina, non voleva certo abdicare ai suoi desideri. Regina con figli, ma senza eredi al trono; col marito-re spodestato, e lei, per di più, malata. Sì, ancora morbosamente infettata dal virus degli anni ’70: droghe (leggere) à gogo (il primo quarto), sexual healing (tra un quartino e l’altro), un po’ di politica (nel mezzo). Il “Sex is too good to share with anyone else” di Philip Larkin – poeta inglese pescato per caso nelle profondità del Web – le andava stretto. A lei piaceva condividerlo, il sesso (in genere con uno – numero fisso; talvolta introduceva la variabile: in questo caso, il numero ‘irrazionale’. Mai però il chorus line o la gang bang – una contro il branco. Preferiva il big bang, il grande amore, folle, passionale, esclusivo).
Mai ‘cefalea coitale’, e neanche coiti solo cerebrali. Ma di tanto partecipava, mentalmente e con brividi subliminali, a situazioni trasgressive e violente, che pur non avrebbe voluto veramente sperimentare. Sì, le accadeva di fantasticare hard, ma poi, nella realtà, esigeva coccole e tenerezza (di cui, però, faceva a meno nei suoi viaggi mentali. Lì andava giù pesante. E qualche volta pure nella realtà). Lei era istintiva, passionale, tutta cervello destro. E per questa sua erotica ‘lunaticità’, che pur mirava al traguardo di un eroico erotismo solare, si trovava spesso costretta a raccontar bugie. Perché, come le ricordava il suo diletto Oscar Wilde: “quando si racconta una bugia si trova appoggio su ogni fronte. Quando si dice la verità, ci si ritrova in una posizione molto penosa e solitaria, e nessuno crede a una parola.”
Bugie come verità nascoste (d’altronde, “la verità comincia dalle bugie”). Ma, scavalcata la grata, le sue emozioni, i suoi desideri, i suoi obiettivi, una volta evasi dalle ‘segrete’ della sua anima si ripresentavano all’evidenza del mondo travestiti da bugie. E poi si sa: “Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero.”
Tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara.
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