LECTIO ed ELECTIO
TRACCE e SPUNTI di TEOLOGIA
(parte prima) Come afferma il Rendtorff (Teologia dell’Antico Testamento – vol.
2), l’Antico Testamento è un’opera teologica. Ed essendo la teologia un ‘discorso su
Dio’, sub ratione Dei ma da parte di uomini, è necessario che del libro
biblico se ne dia un’interpretazione, ossia una ‘mediazione’ (inter partes)
tra l’Io (individuale, sociale ecc.) e Dio. “La teologia è, proprio in
questo senso, un’indagine ermeneutica, un’interpretazione disciplinata di testi
immaginativi” (G. Green). E in effetti, la Bibbia “non è mai semplice
cronaca o descrizione, è sempre un commento interpretativo che avanza con
decisione sull’osservabile verso il costruito, in altre parole immaginazione
al di là del ‘dato’” (Introduzione all’Antico Testamento – W.
Brueggemann).
L’interpretazione teologica, cuore dell’’intenzionalità
interpretativa’ dell’AT, è l’ermeneutica del processo di
’espansione/immissione’ di Dio nella Storia (il coming out divino),
che, in quest’economia divina, si è fatto cronaca. Nondimeno, non semplice
cronistoria (Historie), ma ‘storicità’
(Geschichte) – successione di eventi che continuano ad
avere un senso e possono essere reinterpretati – e soprattutto, ‘storicità
esistenziale’ (Geschichtlichkeit): ‘storia ‘utilizzabile’, con significato per me qui e ora.
La Bibbia è un libro plurale, già all’interno di ciascun suo testo
individuale. Dialogico e teandrico: suo fine è far entrare il
(Suo) popolo in dialogo con il (suo) Signore, in un movimento circolare di
reciproca appartenenza (alleanza, patto, berit). Tuttavia, se è vero che
il testo è dischiuso a una pluralità di sensi, per una sua corretta
interpretazione teologica è d’ausilio la conoscenza della storia della sua
composizione. Sia il canone ‘vivo’ – ossia il ‘canone prima del canone’, quando
la Bibbia ancora non esisteva (“…un fiume di tradizioni e ricordi che
attraversa tutta la storia del popolo di Israele e della prima comunità
cristiana e ne feconda il terreno prima di confluire in un lago dalle acque
tranquille e immobili per secoli, che è appunto il canone scritto” – G. Girardet)
– sia il vecchio canone ‘chiuso’ hanno promosso interpretazioni sempre nuove e
una ricorrente attualizzazione, in una continua circolarità che dall’evento
porta al testo, il quale si fa di nuovo evento, e così via: un gioco
(teologico, ma anche immaginativo) di successive riprese del testo e sue reinterpretazioni.
Testo, contesto e pre-testo: la
parola-azione è dentro la situazione. C’è correlazione (fusione degli
orizzonti, secondo Gadamer) tra
orizzonte del testo e situazione individuale. Nondimeno, le situazioni, i
contesti, sono variabili, così come la ‘compagnia’ dei ‘professionisti’ della
fede (W. Brueggemann, op. cit.) che vi ha lavorato sopra.
Le reinterpretazioni non sono solo le nostre, ma anche quelle dei
compositori e/o redattori (alle prese con la stratificazione redazionale). I
testi non sono meri fatti letterari: in quanto intimamente congiunti con le
esperienze di fede, sono stati spesso riediti in funzione delle mutate esigenze
della comunità destinataria. Da qui le diverse riletture e riprese dell’Esodo o il prologo di Luca. Le parole dei testi sono una rappresentazione/ripresentazione
della parola di Dio, soggette, quindi, alla mediazione umana: durante l’iter
compositivo di un testo – nel suo passaggio dalla forma orale a quella scritta
(dalla stabilizzazione dei cicli al progresso redazionale) – è spesso mutata,
non solo la forma del messaggio, ma la sua stessa natura (i redattori hanno
attualizzato il messaggio e vi hanno inserito la loro prospettiva teologica).
Di qui le reinterpretazioni del sabato, dell’esodo, dei ‘detti di Gesù’ (loghia) – rivisti alla luce della
resurrezione – e la diversa prospettiva delle ‘beatitudini’ in Luca e Matteo.
Questo nei vari libri
che rileggono lo stesso evento. Passando al singolo libro, la sua ‘spoliazione’
– la sua messa a nudo – punta alla comprensione dell’intenzione dell’autore
originario e del redattore finale. Spesso entrambe valide e capaci
di interpellarci qui e ora. Tuttavia, se il testo biblico è un fatto
storico, culturale, religioso; spesso confliggenti sono gli impulsi che
lo hanno originato, diversificati gli ambienti e i tempi della loro
genesi, eterogenee le tesi perseguite (e anche l'attività letteraria del popolo
stesso). Gli Ebrei, lungi dal fare mera opera documentaria delle loro
esperienze, hanno composto i testi come ‘interpretazione’ dei fatti, per far
risaltare la propria storia quale frutto di un preciso disegno di Dio, presente
in modo del tutto particolare tra il Suo popolo. È per questo che ci troviamo dinanzi
a un'opera teologica: l'importante non è la riproduzione del fatto in se
stesso, ma il suo significato religioso, salvifico.
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