sabato 3 novembre 2018

DREAMIN’


DREAMIN’

Basta con le lacrime del coccodrillo! We must have a dream! Mancano i sogni. Eppure, siamo fatti della stessa stoffa dei nostri sogni… (Shakespeare docet, anzi dreams). 
Rivoltando la frase, potremmo dire – l’ho pescato dal mare magnum del web – che “i nostri sogni sono fatti della nostra stessa stoffa…”
Ma io credo che i sogni, oltre a essere una ‘trama’ naturale, ‘tessuta’ per accelerare durante il sonno l’imprinting di alcune abilità apprese durante la veglia (ed è per questo che alcune illuminazioni – anche ‘scoperte’ – si hanno di notte: una notte illuminata a giorno), siano anche, junghianamente e oltre, dei ‘segnali’ indicatori di nuove ‘vie’ da percorrere durante il giorno (il dito che indica il ‘sole’). Non solo, diciamolo pure: i sogni sono delle ‘dritte’ provenienti direttamente dal mondo dello Spirito (comunque lo si voglia intendere: per l’agnostico, anche se non crede nella dimensione autre, conviene comunque agire ‘come se’).
Il sogno è da intendersi, quindi, come messaggio di ‘speranza’. Una speranza ‘reale’ (quindi, fede: i sogni possono, repetita iuvant, essere forieri di realtà future: una sorta di viaggio sulla ‘linea del tempo’), nel senso di apertura completa del ‘ventaglio delle chance’: infatti, anche nei momenti più disperati dell'esistenza si guarda al sogno come a qualcosa di ‘sveglio’, da afferrare e tenere ben stretto. Mettiamo le mani dentro al sogno, balziamoci dentro…
A proposito di salti. Un balzo nelle balze del sogno (signum aeternitatis) Il ‘salto in favella’ l’ho tratto da una parte dell’incipit a un mio romanzo in progress (“Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo?”. L’altro, “Gocce di pioggia a Jericoacoara”, è ormai adulto, e sa il fatto suo…).

KILLING ME SOFTLY
Uccidimi dolcemente, ma uccidimi… Entra nel rovescio del mio mondo e affonda il tuo cultro lì dove gli altri hanno fallito. Trascrivo febbrilmente i loghia onirici, battendo sul tempo i famelici gargoyle del subconscio, spasmeggianti nevrilmente dalla brama d’ingoiarli nei lenti gorghi amnesici. L’oceano notturno si è ormai contratto in un’anoressica pozzanghera: solo i vortici di alcuni citri d’acqua dolce – i sogni che hanno bucato le porte di corno (quelli che verità li incorona se un mortale li vede) – sono sopravvissuti. V’intingo la mia plume mentale, strappata all’uccello nottaiolo attardatosi a oziare sullo spoglio ramo dell’ultimo ramingo albero della fuggente selva dell’oblio e… fandango.
Because the night belongs to lovers, because the night belongs to lust, because the night belongs to us… È l’alba, la notte è scappata coi suoi amanti, i dardi aurorali scippati alla febica faretra hanno colpito a morte le mie effervescenti passioni ctonie (ma rivivranno allo scoccare della mezzanotte) e i gendarmi del mattino hanno ammanettato le mie voglie corsare (adieu fuitina stellare con Jessica Alba… ogni notte un trip diverso). It’s too late to apologize. Non ho più scuse. Dalla radiosveglia la voce velvet del sempre cool Timbaland mi riporta sulla battigia. It’s too late… Lascio Garden of nights (il Village da dreamer radical-chic – niente di particolarmente osé: solo Muse e qualche strip) e mi butto giù dal letto.
Della notte mi è rimasto solo il sorriso: lentamente passo per l’ultima volta il dito sulle sue labbra di sogno, prima che si assottiglino e sublimino, impalpabili come labili fili evanescenti, al balenare delle prime pallide luminescenze diurne. L’eco narcisa degli ultimi sparsi frammenti onirici cerca invano di raggiungermi, ma ammutolisce spaurita davanti all’alba sorgiva, sfiatando pudica nel lete delle memorie fuggitive. No pain no drama: ho già trascritto le stille essenziali, lascio senza magone le vaghe stelle dell’orsa.
Il telefono squilla (l’ultima, definitiva, rupture al notturno soffitto di cristallo – di lì, rapito, posso mirare l’epifania degli dèi). Squallida cocotte, vattene per la tua strada… io sono fedele al mio computer (e pensare che fino a qualche annetto fa manco me lo filavo…). Lascio a letto i miei clandestini philosophes prêt-à-porter (nouveaux o anciens, tutti mi fanno il filo, ma io mi fermo ai preliminari), snobbo la cornetta – di giorno sono fedele – e vado a tirare. Slash-flash: qualche strisciata di piccì, per tenermi su. Inizia la mia giornata.

Nessun commento: