SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE
State attenti tutti quanti
non fa tanti complimenti
chi non balla, o balla male
lui lo manda all’ospedale…
Ed eccola ora qui, ancora in ballo. Viva, vivace… Prospera nonostante la tempesta, speranzosa malgrado la situazione. Aveva lasciato Pinocchio, ma non Mangiafuoco. In cerca di un gagà; non di un gadget ma di avventure a gogò. Nel paese di Kakà.
Più bionda che mai. E dal fascino sempre più intenso, altalenante tra il sensuale e l’algido. L’espressione sognante ma intensa, a labbra dischiuse – Oui, Je suis Deneuve –, quella della giovane ma vissuta Séverine, l’indimenticabile ‘Bella di giorno’ di Buñuel (film da lei clandestinamente visto non ancora quattordicenne – anche in questo un percorso simile a quello di Lorenzo). Arianna: belle toujours. Bella e possibile. Pronta a ballare (e correre) coi lupi. E a far da sponda ai colpi del destino. Onda su onda: Eros e Kairòs. E il cuore arso, le ceneri sparse (in attesa che qualcuno le sniffasse…).
Ma il momento era catartico: dal freddo artico al tropico del cancro (consona col suo segno zodiacale), il ghiaccio del suo cuore oceanico si andava sciogliendo al contatto con le correnti calde, sempre più superficiali. Rolling stones, alcuni iceberg si erano già staccati: ma attenta al Titanic... E agli squali.
Holidays on the ice (fino a poche ore prima; ora l’acqua iniziava a bollire). Ghiaccio bollente. Ice ed eros. D’altronde: l’erotismo non è questione di posizioni. Nasce da situazioni, diceva Mario a Emmanuelle. E Tomás aveva reiterato il concetto.
Strano tipo Tomás, ma simpatico. E soprattutto, bello e dannato. Desafinado. E con un fascino che andava oltre... Charme ‘autre’. Oltre il virile (Paolo Virilio, l’architetto-sociologo esploratore della modernità, sostiene che a ogni scoperta segue un disastro. E Tomás fu davvero una scoperta…).
Una volta scartato il ‘pacco’, Arianna divenne rosso carminio. Altro che la donna pallida, scarmigliata, affacciata al verone, di carducciana memoria! Carmina burana. Macho charmant, Tomás, tempestato di brillanti (occhi, pelle, denti, capelli), niente di burino. Burroso, ma con l’aria sfrontata di chi corre senza Nike sul ciglio di un burrone. Maschio vittorioso... Brown sugar. E il luccichio, goloso, degli occhi zuccherini di Arianna – Nike alata – ne era una palese conferma. E sì che lei era abituata a innamorarsi. Cascata tra le braccia di Lorenzo al ritorno – abbronzata al cioccolato – dal suo primo volo transatlantico, quello del ’74. Coccolata, annoiata, passionale, diaccia. Pappa e ciccia. Chocolat. E più d’un tranfert, più d’una caduta. Canard enchaîné.
Niagara falls: prima la follia d’amore, nostalgia canaglia, poi la corsa scatenata sui tornanti – le salite alla Bartali e le discese a folle, alla Coppi. In ultimo, rigor mortis. Memento mori (Nostalghia alla Tarkovskij: il tocco, esangue, giusto per lei, fiorentina doc). Un tour de force, e senza maglia rosa. Maglia nera. A gara, un’altalena di fasi: orale, anale, fallica, genitale. Vita geniale, fasi lunari: luna calante, luna crescente, luna nuova, luna piena... E il sole? Eclissi.
“Questo e nient’altro è la vita: la vita è piacere. Alla malora le angosce. È breve il tempo per vivere. Presto, il vino, le danze, le corone di fiori, le donne. Voglio star bene oggi, giacché è oscuro il domani.” Lì le donne, qui la donna, stufa di uomini, vogliosa di maschi. E di muschio. Il detto di Pallada, poeta alessandrino, una delle ultime voci pagane – non solo Ipazia – non ancora soffocate dal rumore dei passi dell’avanzante medioevo (quello buio), evocava le voci di dentro di Arianna. Sfocate, spolpate, ma ancora non soffocate dal vociare della metropoli.
Un arco teso, in attesa del dardo. Invocato, e lei infuocata. Vox clamans in deserto. Ma Lorenzo non aveva risposto. Insabbiato. Chiuso nelle sue risposte, recluso nelle sue certezze. E lei era fuggita dal carcere. In volo.
(tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara)
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