sabato 30 aprile 2016

Save a prayer





 SAVE A PRAYER


Don't say a prayer for me now... save it till the morning after.   

Non dire per me una preghiera adesso... tienila in serbo per domattina.
(da Save a prayer, dei Duran Duran).

C’è un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare, un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli…
È questo il tempo della semina. Ultimamente mi sono riavvicinato alla teologia: questo blog, come sapete, è un eserciziario (onda anomala) di scrittura, pensieri sparsi – una tela con un télos – con denotazione e connotazione prevalentemente psico-spirituali, anche se nasce come blog d’architettura (e come tale ha avuto nel passato una segnalazione ragguardevole).
Ma ora è tempo di seminare qualcosa di ‘teologico’. Troppa logica umana e illogicità dis-umana (anche se fa parte dell’essere umano oscillare tra i due poli) connotano questi tempi: nondimeno, c’è voglia di fare e, soprattutto, di essere.
Domani è giorno di ‘riposo’ (la festa/sosta del lavoro): bene, per questo giorno sabbatico – almeno nelle intenzioni – niente di meglio di un momento di sosta ‘essenziale’.
Fermati e ascolta il tuo Dio.

La preghiera.
Abbiamo visto come gli esercizi di attenzione sono strategie di indebolimento dei processi automatici del pensiero. L’attenzione, sia essa ‘concentrativa’ o ‘contemplativa’, alimenta infatti i processi di pensiero e di atteggiamento connessi con l’essenza, cioè il tuo vero Io, e indebolisce, dissolve, disinstalla, ogni automatismo alimentato dagli stati di distrazione della mente, ridando fiato alla consapevolezza e liberandoti dal tuo falso-Io.
La preghiera è collegata con l’attenzione, la contemplazione e la meditazione. Non parlo della preghiera sdolcinata, automatizzata, ripetitiva, ritualistica o pappagallesca (quella dell’uomo n. 1, direbbe Gurdjieff), cui spesso hai attinto (se sei un ‘credente’, sia pure flebile…), ma della preghiera ‘vera’, quella connessa con la tua ‘precarietà’ (‘pregare’ e ‘precario’ hanno la stessa origine), ossia della “preghiera di desiderio”, quella che ‘ricorda’ (riporta al cuore: cor in latino) la tua essenza, mette in moto la tua intenzione e indirizza l’attenzione verso lo “stato desiderato”. Come qualcuno ha detto: quando preghi capitano ‘avvenimenti’…
La preghiera, infatti, può incidere (mi limito a dire può) sul presente, sul futuro e, strano a dirsi, sul passato… Questo in quanto la preghiera è indipendente dallo spazio e dal tempo. Ed è anche indipendente dalla sonorità della parola (la cui efficacia, se “parola divina” – o con risonanza divina, tipo il Sia la luce! di Genesi o le “parole guaritrici” di Gesù –, è riconosciuta da ogni cultura). Questo perché la preghiera può essere efficace sia se ‘detta’ (anche ‘urlata’) sia se ‘muta’ (come, d’altronde, il mito: storia archetipica ‘muta’, ossia non raccontata da cronache storiche – ma spesso il mito è ben più efficace e ‘vero’ di tante storie attestate e certificate).
Nondimeno, più che di preghiera in sé – che, in ogni caso va ben oltre il chiedere a Dio, in quanto è piuttosto uno ‘scendere’ nelle profondità della nostra anima per aprire la porta dello spirito – preferisco parlare di stato di preghiera, ossia di un’atmosfera spirituale che avvolge l’uomo come un’aura che attira e diffonde energia positiva (e di successo).
In ogni caso, sia essa un’atmosfera (una stimmung) sia essa una ‘petizione’ (rivolta prima alla tua vera essenza, cioè al tuo spirito, poi allo Spirito), la preghiera è un’attenzione contemplativa, una “preghiera di centratura”, un focalizzare l’attenzione e acquietare la mente, un assorbimento estatico dello spirito nel mare magnum del mondo invisibile. Fatto è che la vera realtà – quella che tu vedi con gli occhi dell’essenza – fuoriesce da dietro al tuo “schermo mentale” solo quando abbandoni la (falsa) consapevolezza abituale dello stato di veglia e ‘sali’ allo stato di coscienza superiore, ossia di ‘supercoscienza’ o di “coscienza transpersonale” (a tal proposito Aurobindo, filosofo ‘mistico’ indiano, ha introdotto il termine Supermind – sopramente o metamente, ossia coscienza ‘altra’).
Ti sto infatti dicendo che ci sono diversi livelli di coscienza. Lo stadio di coscienza ‘preparatoria’ è quella posto a livello fisico-emozionale (sensazione corporee, percezioni sensoriali, emozioni, fino alle cognizioni elementari sotto forma di immagini, archetipi e simboli, sia pur senza averne consapevolezza chiara). Questo stadio corrisponde alla coscienza del tuo Io. Se trascendi questo stato, ti poni a livello della coscienza transpersonale, che include, non solo una chiara visione della realtà, in tutte le sue sfaccettature e sfumature, ma soprattutto ‘illuminazioni’, intuizioni, visioni, profezie e… miracoli.
C’è poi l’esperienza mistica: esperienza del vuoto, della ‘Divinità’ in sé (nuda e semplice, senza ‘predicati’). Qui fai esperienza del “puro essere”, dello Spirito, dell’Origine. È lo stadio del “fiat lux”, in cui tutto si può creare…

Non si tratta, in ogni caso, come ti ho già detto, di eliminare l’Io o di combatterlo. Devi solo farlo tornare nel suo cantuccio (finora ha occupato il ‘salone’…) e ridargli il peso (minimo) e l’importanza che gli spetta. L’Io è solo il centro organizzativo della tua struttura personale, ma il ‘dirigente’ dev’essere l’essenza, che può e deve ristrutturare la tua persona al momento opportuno. L’esperienza mistica, e con modalità più semplici la preghiera, ti disidentifica dall’Io e ti riunisce con l’essenza.
Essenza, presenza… Lo psichiatra americano Morgan Scott Peck, nel suo libro The road less traveled (La strada meno frequentata), ribadisce alcuni concetti di Jung: in particolare, che la scienza non è in grado di spiegare quelle misteriose coincidenze ‘significative’ (le ‘sincronicità’, da Scott Peck chiamate ‘serendipicità’) che costellano la vita di ogni uomo e che favoriscono – ossia aiutano, sostengono e proteggono – la vita umana e la crescita spirituale. Questi fenomeni, conferma Scott Peck, sono ricorrenti e comuni a tutta l’umanità, ma, per quanto possano essere influenzati dalla coscienza umana, la loro origine non deriva dalla volontà o da processi decisionali consci. Questi “stati di grazia” originano da un’altra realtà…
"Qual è l’origine della grazia? L’amore infatti appartiene alla coscienza, ma la grazia no. Da dove viene questa forza che si origina oltre i confini della coscienza e favorisce la crescita spirituale degli esseri umani? (…) Per spiegare i miracoli della grazia e dell'evoluzione noi supponiamo l’esistenza di un Dio che, amandoci, desidera la nostra crescita. A molti quest’ipotesi appare troppo semplicistica, addirittura ingenua e infantile. Ma non abbiamo molte alternative. Nessuno del resto è riuscito a formularne una migliore o anche semplicemente diversa. Siamo perciò costretti a scegliere fra l'ipotesi forse puerile di un Dio che ci ama e il vuoto teoretico (…) Se postuliamo che la nostra capacità d’amare, l’impulso a crescere ed evolverci è un afflato divino, non possiamo fare a meno di chiederci perché Dio voglia la nostra crescita. Qual è il fine di questa crescita? Qual è l’obiettivo dell’evoluzione? Cosa può volere Dio da noi? (…) Tutti coloro che postulano l’esistenza di un Dio benevolo non possono che giungere a un’unica, terribile conclusione: Dio vuole che diventiamo Lui. La nostra crescita ha come fine ultimo la divinità. Dio è il fine ultimo dell’evoluzione. Dio è la fonte della forza che ci spinge a crescere e ne è al tempo stesso la meta. È infatti questo che diciamo quanto intendiamo che Dio è Alfa e Omega, il principio e la fine."
Parole ‘forti’, quelle di Scott Peck: tu sei a un passo da Dio… (tradotto in piennellese: sei sulla strada del peak state – o per dirla alla buddista-induista: Tat tvam asi, tu sei Quello). In ogni caso, è l’apertura a un’opportunità ulteriore: non solo fonte di fiducia nei momenti più difficili della vita, specie quando non c’è più nessun’altra risorsa umana, ma, soprattutto, una riserva di ‘energia’ per affrontare ogni situazione partendo da una condizione di ‘forza’.
Ama e fa’ quel che vuoi!
(tratto dal mio Prendi la PNL con Spirito! Armando ed.)